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I nuovi cittadini

«Duplicati per lasciare eredi dopo la morte, muta per adattarti all'ambiente e, soprattutto, estenditi dove puoi, colonizza!» Ecco l'atavica origine dei problemi di coabitazione nelle nostre città (E. Coco)

  • Caterina Gromis di Trana
  • novembre 2009
  • Martedì, 10 Novembre 2009

Il problema è antico, se di problema si tratta. Ed è ancora attuale, fonte di studi e osservazioni e anche palestra di riflessioni, come quelle di Emanuele Coco, storico e filosofo della scienza, che ne fa argomento di un bellissimo libro dal titolo un po' complicato: Ospiti ingrati - Come convivere con gli animali sinantropici.

Che cosa vuol dire "sinantropici"? I dizionari dicono: "Animali che convivono con l'uomo avendo invaso nicchie da lui create artificialmente". Non sono i classici domestici, cani e gatti, né i "pets" da compagnia tipo pesci rossi, iguane e tartarughe, rilasciati in natura, cioè allo sbaraglio in un ambiente che non è il loro, da certi scriteriati che non sanno quello che fanno. Non si tratta neanche di animali esotici, clandestini arrivati per varie vie e adattati alle nostre latitudini con mille strategie, spesso a danno dei loro simili indigeni. Sinantropici sono gli animali che, davanti all'imposizione dell'edilizia e del sistema sociale di Homo sapiens, si sono adeguati e ne hanno fatto tesoro. Capaci di sopravvivere al di fuori di un habitat limitato, le specie che hanno trovato benessere anche nell'ambiente artificiale delle città sono la dimostrazione della più pura intelligenza biologica. Cos'altro è l'intelligenza se non capacità di adattarsi? Sarà poco poetico, ma in questo senso è di gran lunga più intelligente un ratto di una lepre, e infatti... di lepri in città non se ne incontrano. Ma l'ambiente urbano non è solo regno di topi e scarafaggi: quanto a fauna selvatica riserva sorprese mica da poco, degne di soddisfare la smania di biodiversità che anima ogni naturalista che si rispetti. Ce n'è per tutti i gusti, dai mammiferi agli uccelli ai rettili agli anfibi ai pesci allo sterminato mondo degli invertebrati. Si tratta sempre di specie pioniere, capaci di adattarsi a quella che è la principale caratteristica dell'ecosistema urbano, l'instabilità. In città l'intervento umano può causare trasformazioni in tempi molto veloci, impensabili o improbabili negli ecosistemi naturali.

Le specie generaliste, opportuniste e onnivore, sono avvantaggiate in questo ambiente instabile perché riescono a colonizzare nicchie ancora libere. È facile tracciare l'identikit di questi cittadini "intelligenti":
- dotati di flessibilità in scelte vitali come il luogo dove nidificare;
- tolleranti al disturbo;
- capaci di condurre vita solitaria o di gruppo, secondo come gira il vento;
- propensi ad avere comportamenti territoriali molto adattabili;
- in grado di riprodursi anche in ambienti non ottimali.

Con tutto questo, passi la capacità di adattamento, ma non si tratta di masochismo: devono esistere alcuni fattori che invogliano questi "intelligenti" a restare, altrimenti, superata la prova di sopravvivenza, proprio perché intelligenti se ne tornerebbero nelle campagne da cui sono venuti. Le condizioni climatiche per esempio, in città sono relativamente migliori rispetto alle aree extraurbane, più stabili e meno estreme, generalmente caratterizzate da una temperatura più elevata e da minore ventosità e umidità. Tra rifiuti e cibo offerto dall'uomo c'è una gran disponibilità alimentare; l'acqua, anche se non è di sorgente, non manca mai; la caccia è vietata e anche il bracconaggio è impossibile; i predatori sono pochi o nulli e i luoghi adatti alla riproduzione molteplici.

L'età, la dimensione e la localizzazione delle aree verdi, polmoni di benessere per bestie e persone, chiaramente influenzano parecchio la presenza e la distribuzione della fauna selvatica urbana. Sembra ovvio che se a Torino ci sono i gheppi è più facile che stiano al parco del Valentino che in via Vanchiglia, ma è tutto relativo, ognuno ha le sue necessità: i gheppi cacciano lucertole, topini e cavallette e stanno dove possono trovare le loro prede. Tra i falchi, i pellegrini hanno scelto la zona del centro più cementificato: la guglia della Mole Antonelliana, il miglior posto di vedetta che si possa immaginare per dar la caccia ai colombi. Peccato che non basti una coppia di falchi pellegrini per tenere a bada le popolazioni di piccioni, sarebbe un esempio troppo bello di lotta biologica. Ci vuol altro purtroppo, e non per caso: i piccioni che rovinano manufatti e insozzano monumenti non sono discendenti diretti dei colombi selvatici torraioli, inurbati per sfruttare le opportunità di nido e rifugio offerte da torri e campanili. Quelli che hanno imparato a sfruttare ogni risorsa possibile dell'ambiente urbano originano da razze diverse di colombi domestici, sfuggiti o abbandonati, che hanno nel tempo formato popolazioni randagie. Hanno mantenuto con l'uomo un rapporto di commensalismo e conservato la caratteristica dei colombi domestici, selezionata dall'uomo, di riprodursi tutto l'anno, a differenza dei colombi selvatici che nidificano solo in estate: quel che si dice covarsi una serpe in seno. Una consolazione c'è per chi sa riconoscere altro in questa feccia colombiforme: da alcuni anni nelle città si incontrano i colombacci, colombi belli a dispetto del loro nome, selvatici dignitosi che conservano tutto il loro fare da selvatici e non si presterebbero mai e poi mai a scene di assalto al becchime come quelle che si vedono a Venezia in piazza San Marco.

Tra storni, fringuelli, merli e passerotti, anche martin pescatori, anatre e gabbiani se un fiume la attraversa, la città può essere il paradiso degli ornitologi, che devono solo badare a non dar troppo nell'occhio mentre si aggirano con fare circospetto col binocolo sul naso, per non passar per matti. Anche gli erpetologi però possono spassarsela, chiedendosi se la popolazione di rana verde che abita nella fontana di quella tal piazza è un relitto di tempi passati o un arrivo recente, di uova o girini rilasciati da altri essere umani innocenti. Gli anfibi e certi rettili legati all'acqua, rarefatti dove i terreni sono stati bonificati, prosciugati e cementificati, nei laghetti e nelle fontane delle aree verdi urbane possono trovare rifugio e protezione e ritornare così all'onor del mondo grazie all'intervento dell'uomo, dopo che per mano sua si sono trovati vicini all'estinzione. Facile a dirsi? Forse, ma nemmeno così difficile a farsi, se la coscienza ecologica tanto decantata si accompagna a qualche nozione di cultura naturalistica, utile a vincere il ribrezzo istintivo tipico dell'uomo verso rane, rospi e serpenti.

Gli animali che la città può ospitare di solito sono di piccola taglia, perché essere selvatico e grosso è imbarazzante se si è sotto gli occhi di tutti. Eppure i furbi ci sono anche tra i più corpulenti. Le volpi per esempio si spingono nelle periferie per razzolare nelle discariche. I più diabolici però sono i cinghiali, capaci di conquistarsi la prima pagina sui giornali per la loro sfacciataggine. A Torino si sapeva da tempo dei danni che provocano grufolando nei giardini in collina, ma finché non c'è stato lo scoop importava a pochi. Poi un giorno un titolone "Cinghiali in Piazza Vittorio", ha scosso l'opinione pubblica e mentre i guardiaparco si davano da fare per riportare la città all'ordine, quelli che vedono la vita con un occhio all'evoluzione hanno avuto un pensiero a quei filamenti di molecole del brodo primordiale e a quanto lontano ci hanno portato. e selvatico e grosso è imbarazzante se si è sotto gli occhi di tutti. Eppure i furbi ci sono anche tra i più corpulenti.

Le volpi per esempio si spingono nelle periferie per razzolare nelle discariche. I più diabolici però sono i cinghiali, capaci di conquistarsi la prima pagina sui giornali per la loro sfacciataggine. A Torino si sapeva da tempo dei danni che provocano grufolando nei giardini in collina, ma finché non c'è stato lo scoop importava a pochi. Poi un giorno un titolone "Cinghiali in Piazza Vittorio", ha scosso l'opinione pubblica e mentre i guardiaparco si davano da fare per riportare la città all'ordine, quelli che vedono la vita con un occhio all'evoluzione hanno avuto un pensiero a quei filamenti di molecole del brodo primordiale e a quanto lontano ci hanno portato.

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