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Che caldo, dimagrisco!

Gli effetti del clima sugli ungulati di montagna.

  • Marco Rughetti
  • Agosto/Settembre 2012
  • Venerdì, 31 Agosto 2012


Nel Nord del Piemonte (provincia di Verbania) e nel limitrofo Canton Ticino (Svizzera) si è osservata negli anni una diminuzione nel peso dei camosci (Rupicapra rupicapra) sia giovani che adulti. Una ricerca dell'Università di Sherbrooke (Quèbec) effettuata sui dati degli animali abbattuti nelle aree di caccia di queste due zone, suggerisce che il calo di peso debba attribuirsi alle temperature sempre più calde registrate in estate, che ostacolerebbero la crescita in peso dei giovani e l'accumulo di grasso corporeo negli adulti (figura 1). Anche senza essere degli esperti, la percezione comune è che le estati in Piemonte siano sempre più calde e gli inverni meno nevosi. Pur essendo vero che mesi particolarmente caldi o inverni poco nevosi possono essere ricordati a memoria d'uomo, per avere un'idea di ciò che sta realmente accadendo bisogna guardare la tendenza temporale sul lungo periodo più che il valore assoluto di ogni singolo anno; a questo proposito è assodato che nell'ultimo secolo la temperatura delle Alpi sia aumentata di 1.1 °C, più del doppio dell'innalzamento termico medio globale. I cambiamenti climatici, oltre alle ovvie ricadute economiche per l'uomo, hanno degli effetti sulla biologia degli animali, e sono sempre più numerose le ricerche scientifiche che lo dimostrano. Tra gli Ungulati, è provato che le pecore di Soay (Ovis aries) dell'isola di Hirta (Scozia), abbiano subito negli anni una diminuzione della massa corporea poiché non hanno più bisogno di essere particolarmente grasse per superare gli inverni sempre più brevi e caldi. Sembra inoltre che gli stambecchi (Capra ibex) del Gran Paradiso stiano subendo una flessione numerica consistente della popolazione a causa di una minor sopravvivenza dei giovani, causata da primavere sempre più anticipate. Le alte temperature agiscono sulla sopravvivenza e la crescita corporea degli ungulati di montagna tramite un effetto diretto sulla quantità e sulla qualità del foraggio di cui questi si nutrono. La temperatura e il fotoperiodo sono infatti i fattori ecologici determinanti che agiscono sulla fenologia delle specie vegetali in ambiente temperato. Sulle Alpi, temperature primaverili sempre più alte causano un anticipo della ripresa vegetativa da parte delle piante, un rapido aumento della produttività delle stesse ma un periodo più breve di foraggio di alta qualità. Quest'ultimo consiste nella prima erba, più tenera e maggiormente energetica, che spunta dopo il ritiro della neve, e che è indispensabile per la crescita degli erbivori. Normalmente, infatti, la variabilità topografica a media e piccola scala e le differenze spaziali e temporali nello scioglimento della neve permettono agli erbivori di cercare i versanti e le altitudini migliori per trovare il primo foraggio. Al contrario le alte temperature primaverili, sciogliendo velocemente la neve e accelerando la crescita della vegetazione, ridurrebbero l'eterogeneità ambientale, con una conseguente riduzione del periodo di accessibilità al foraggio altamente energetico. Tale fenomeno è stato provato per altri ungulati di montagna quali le capre di montagna (Oreamnos americanus) e il muflone americano (Ovis canadensis), specie, queste, in cui l'anticipo della ripresa vegetativa e le temperature più alte influiscono negativamente sulla crescita dei capretti e degli agnelli. Gli Ungulati, purtroppo, non sono gli unici a pagare le spese del riscaldamento globale: per il fagiano di monte (Tetrao tetrix) ad esempio, inaspettati cali delle popolazioni potrebbero essere attribuiti a cause climatiche, come suggerito da studi effettuati in Finlandia. In questo caso è provato che l'aumento delle temperature inneschi nella specie una riproduzione anticipata con un conseguente anticipo nella schiusa delle uova. Tuttavia, la nascita anticipata dei piccoli di fagiano non coincide con le condizioni ambientali ad essi ottimali e la pioggia, spesso in concomitanza alla scarsa qualità del cibo, incrementerebbe il tasso di mortalità dei pulli con conseguenze negative per la dinamica di popolazione. Anche in ambiente alpino, dunque, un aumento della temperatura dei mesi da aprile a luglio, che costituiscono il periodo importante per la nascita dei capretti di camoscio e per il loro allattamento, potrebbe determinare un scarsa qualità del cibo e una conseguente riduzione del peso corporeo non solo dei giovani ma anche degli adulti, pur se di minor entità. Studi di questo tipo evidenziano gli interessanti effetti dei cambiamenti climatici sulla biologia delle specie e in particolare degli ungulati di montagna; studi che necessiterebbero di una più approfondita comprensione nei loro meccanismi.

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