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Il timido dei boschi

Nelle aree più appartate della nostra penisola, dalla Toscana in giù, ma anche nelle Alpi Liguri e in Friuli, sopravvive uno degli animali più elusivi della nostra fauna: il gatto selvatico

  • Patrizia Gavagnin
  • gennaio 2010
  • Giovedì, 28 Gennaio 2010

Il gatto selvatico non è una specie alpina. Nelle regioni europee in cui è presente frequenta aree di media montagna, in una fascia compresa tra 300/400 e 800 m, raramente al di sopra dei 1000 m. La morfologia dell'animale con arti corti fa sì che lo spostamento sulla neve fresca e alta sia difficoltoso. La copertura nevosa ne influenza la presenza ostacolando la locomozione e gli spostamenti, ma anche impedendo la cattura dei roditori che muovendosi sotto la neve diventano inaccessibili. Inoltre un innevamento importante ostacola nel periodo riproduttivo gli spostamenti dei maschi, che hanno una ripartizione uniforme sul territorio.
L'aggettivo silvestris che definisce la specie nella nomenclatura scientifica descrive perfettamente l'habitat ideale del gatto selvatico: un'estesa superficie di boschi di latifoglie e boschi misti, perché in queste aree sono abbondanti le prede preferite. Poco frequentati sono invece i boschi artificiali di conifere e i castagneti puri, ambienti più poveri di fonti alimentari idonee. Molto importante è anche ciò che interrompe l'area boscata: una radura, una prateria a margine del bosco, un versante soleggiato sono buone zone di caccia.
Le esigenze ecologiche del gatto selvatico sono quelle di un'ampia superficie formata da boschi maturi dove i popolamenti delle specie-preda sono ricchi e consolidati, la copertura nevosa non è estesa e permane per un tempo limitato, gli insediamenti umani sono sparsi e non continui. L'alterazione dell'habitat idoneo induce la rarefazione o la scomparsa del felide. Il progressivo disboscamento e l'utilizzo umano sempre più spinto del territorio, verificatisi nell'Italia settentrionale a partire dal XVII secolo, hanno fatto sì che sparissero i grandi boschi planiziali, che ricoprivano la Pianura Padana e la parte mediana delle valli alpine occidentali, dove esistono le condizioni ecologiche per le latifoglie. Le specie selvatiche che vivevano in questi boschi e in particolare i carnivori, che sono territoriali e perciò meno diffusi, hanno dovuto spostarsi e cercare altrove condizioni idonee per la sopravvivenza. Il lupo e la lince trovano nelle montagne più impervie e isolate un luogo di rifugio e vi sopravvivono fino ai secoli XIX-XX, il gatto selvatico non può arroccarsi alle maggiori altitudini per via dell'insormontabile ostacolo rappresentato da una copertura nevosa cospicua e scompare da gran parte dell'areale settentrionale.
La presenza fino al 1700 di gatti selvatici nelle aree di pianura a ridosso delle valli alpine è testimoniata dai documenti inerenti la caccia nelle tenute della Casa Reale di Savoia presenti all'Archivio di Stato di Torino. Nei registri dei guardiacaccia della Reggia di Venaria Reale venivano riportati gli abbattimenti dei "nocivi", cioè gli animali carnivori che interferivano con le cacce reali, relativi agli anni 1721-1790, e risultano abbattimenti di gatti selvatici distinti da quelli di gatti domestici vaganti.
Interessante conoscere l'evoluzione della presenza in Piemonte nei secoli successivi.
Un'inchiesta del Museo di Storia Naturale di Milano negli anni 1975-76 aveva fornito informazioni circa la presenza del felide nella parte pedemontana delle valli Stura, Gesso, Tanaro, Po e Varaita. Alcune notizie provenivano anche dalla Val d'Ossola, dove le condizioni ecologiche, per superfici boscate ed entità dell'innevamento invernale, sono simili.
Recentemente, con l'aiuto del Servizio Tutela Fauna dell'Amministrazione Provinciale di Cuneo, è stata condotta una ricerca presso le collezioni museali e private allo scopo di individuare gli esemplari naturalizzati sicuramente selvatici e definire un'area di interesse dove svolgere successive indagini.
Sono stati individuati gatti selvatici provenienti dalla provincia di Cuneo conservati presso il Museo Regionale di Scienze Naturali e presso il Museo della Montagna e un esemplare di probabile provenienza locale naturalizzato presso il Parco della Mandria. L'area corrispondente all'attuale Parco Regionale, per lungo tempo area di caccia reale, è rimasta parzialmente intatta con lembi dell'antica foresta planiziale a querco-carpineto; è probabile che in questi boschi siano sopravvissuti più a lungo gatti selvatici altrove già scomparsi. Notevole interesse rivestono tre esemplari ritrovati presso il Museo Regionale e le collezioni private di due Istituti Scolastici: sono gatti presumibilmente ibridi con caratteristiche simili tra loro, tutti provenienti dall'area della Mandria.
Un'altra zona importante è quella situata a ridosso della Liguria, dove si ha continuità con i popolamenti del felide del versante ligure.
L'alterazione dell'habitat non ha rappresentato per il gatto selvatico l'unico motivo di rarefazione: un ruolo importante è stato svolto dalla caccia accanita e dal bracconaggio, perché questa specie è stata a lungo considerata un "nocivo" e veniva abbattuta nel corso di campagne di caccia in cui era consentito l'uso di mezzi altrimenti proibiti come i lacci, le trappole, le tagliole e i bocconi avvelenati, e la cattura poteva avvenire anche in periodo di caccia vietata. Gli abbattimenti avevano anche lo scopo di vendere le pelli dei gatti e, più localmente, era diffuso il consumo alimentare delle carni. Questa abitudine trova riscontro in Francia, in Spagna e in Italia; più di un anziano nelle valli imperiesi ha riferito di aver mangiato il gatto selvatico e non mi stupirei nell'udire altrettanto nelle valli piemontesi.
La specie ha sofferto di un grave pregiudizio ed è stata descritta per lungo tempo come feroce e sanguinaria, pericolosa anche per l'uomo. Alcune sue caratteristiche: l'essere un predatore molto discreto, dalle abitudini essenzialmente notturne, con canini affilati e artigli appuntiti, gli ha conferito la fama immeritata di una particolare ferocia, nata forse di fronte a un animale preso in una tagliola e dunque stressato, ferito o mutilato, non facile da avvicinare, come non sarebbe nemmeno un gatto domestico. La fama di carnivoro sanguinario che "beve" il sangue delle sue prede lo ha accompagnato nei disegni e nelle preparazioni naturalistiche dove è rappresentato, il più delle volte con il muso spalancato e i denti in mostra, spesso con qualche preda.
Schauenberg, zoologo svizzero, ricorda a questo proposito la difficoltà di reperire crani nei Musei perché venivano utilizzati nelle naturalizzazioni per rappresentare l'animale con attitudine più feroce.
Alla rappresentazione di una ferocia inusitata non sfuggono illustri zoologi dell'epoca passata come Buffon, e uno scrittore come Italo Calvino, che riferisce ne Il Barone rampante l'incontro con il più feroce gatto selvatico dei boschi.
Un altro fattore che causa rarefazione della specie e perdita della variabilità genetica è l'ibridazione con il gatto domestico, evento drammatico per una popolazione isolata.
Il domestico che si unisce al selvatico può trasmettergli infezioni proprie dei gatti dell'ambiente antropizzato che possono risultare fatali ed esercita una notevole competizione sulle specie-preda.
I diversi fattori descritti hanno giocato un ruolo determinante nella rarefazione del gatto selvatico in alcuni casi e, in altri, nella sua totale scomparsa.
Il conseguimento della tutela legale tramite la normativa europea e nazionale ha fornito uno strumento importante per migliorare lo stato di conservazione del felide in Europa e in Italia e favorire un'espansione degli areali. Quale futuro si riserva ora a questa specie?
La situazione è stata efficacemente analizzata al Seminario dell'Unione Europea tenuto a Nancy nel 1992 da cui sono emerse le Linee Guida per la Conservazione del Gatto selvatico in Europa.
Il gatto selvatico è una specie forestale che necessita di ampi spazi boscati: occorre cercare di aumentare la naturalità degli ambienti boscati, limitando lo sfruttamento selvicolturale e mantenendo l'agricoltura tradizionale, assicurando la presenza di corridoi faunistici per favorire la dispersione degli animali giovani in cerca di un loro territorio, proteggere il bosco dagli incendi che sono eventi traumatici per la fauna e controllare che i tagli di piante non creino eccessiva frammentazione nella superficie forestale mantenendo un equilibrio tra piante d'età e piante giovani. Il fattore di disturbo umano gioca un ruolo importante nella rarefazione dell'animale. Occorre migliorare la gestione faunistico-venatoria e attuare campagne di sensibilizzazione dei cacciatori in modo che siano informati dell'importanza di questa specie animale.

Si nutre di prede vive

Il gatto selvatico è con la lince rappresentante italiano della famiglia dei Felidi. È un animale solitario e individualista, il territorio del maschio è molto esteso e ricopre quello di un paio di femmine. I due sessi entrano in contatto soltanto al momento della riproduzione, la sola femmina accudisce la prole.
La comunicazione intraspecifica è principalmente olfattiva, il territorio è marcato tramite depositi d'urina ed escrementi e graffiate sui tronchi. È un carnivoro obbligato: si nutre di prede animali vive, cacciate al suolo, afferrate con l'aiuto degli artigli e uccise con un morso alla nuca.
Come in tutta la famiglia dei Felidi, esiste un particolare adattamento alla cattura di specie vive. Il cranio è corto rispetto alla larghezza, la curvatura della mandibola potenzia l'effetto del morso e conferisce al capo un aspetto globoso. Uno spazio nella mascella posteriore ai canini favorisce la profonda penetrazione di questi nella preda, fattore importante per il successo della tecnica di caccia. La dentatura è specializzata per il morso e l'attacco, consumando alimenti privi di scorie l'apparato digerente è il più breve e il più semplice tra tutti i carnivori. L'andatura digitigrada permette spostamenti leggeri e silenziosi, essenziali per una specie che va all'agguato. Durante la deambulazione gli artigli corti e acuminati stanno in una plica cutanea, sono associati a un tessuto interdigitale estensibile e favoriscono la presa della preda tramite gli arti anteriori. Il mantello, formato da due tipi di pelo con diversa funzione protettiva, è più folto nei mesi invernali, favorendo l'isolamento termico.
Il suo dominio vitale è lo spazio in cui l'animale si muove per le attività quotidiane: la caccia, il riposo, la ricerca del partner.
Nella parte centrale del territorio gli escrementi sono ricoperti con foglie e piccoli rami del sottobosco, alla periferia sono liberi per segnalare il dominio a conspecifici estranei. Le fasi attive sono un'alternanza di caccia e di riposo, prevalentemente notturne. I maschi hanno in media territori vasti alcune centinaia di ha e utilizzano più rifugi, impiegando anche diversi giorni per visitare tutto il loro dominio. I territori delle femmine sono più piccoli e compresi in quelli dei maschi, hanno rifugi più vicini che visitano frequentemente, specialmente in inverno. Gli spostamenti di maggiore entità avvengono nel periodo riproduttivo e coinvolgono soprattutto i maschi. Negli studi condotti in diverse regioni europee è stato rilevato che le risorse alimentari influenzano l'organizzazione spaziale. Nell'Europa continentale e meridionale l'alimentazione è costituita essenzialmente da piccoli roditori. Queste specie si trovano nei boschi di latifoglie ricchi di sottobosco con radure e spazi aperti tra la vegetazione. Oltre ai roditori può predare lepri, avifauna legata al suolo e, più raramente, anfibi. Cavità rocciose e macchie fitte con alberi e arbusti fungono da tana per il riposo del gatto e il controllo del territorio. Le abitudini di caccia sono notturne con un'alternanza di fasi di caccia e di riposo, durante il giorno sosta in rifugi tranquilli. E simile nelle dimensioni a un grosso gatto domestico.
La parte terminale della coda è tronca e non a punta come quella del gatto domestico e possiede una serie di bande orizzontali nero brunastre di cui l'ultima più estesa.

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