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Madama talpa, signor talpone

Le specie italiane sono tre: Talpa caeca, Talpa europaea, Talpa romana. I loro areali di distribuzione in certe zone si sovrappongono, senza gran disturbo. Tutte ci vedono poco, ma la Talpa caeca nemmeno si sforza di dischiudere le palpebre

  • Caterina Gromis di Trana
  • dicembre 2009
  • Mercoledì, 30 Dicembre 2009

Belle sono belle, non c’è che dire, così lucide, morbide e grassocce, quasi dei peluche. E infatti nell’industria dei pupazzi per bambini sono gettonatissime. Dal vero però la simpatia è un’altra cosa: maledette talpe, non fanno altro che danni, con quelle montagnole inaspettate che lasciano sgomenti i giardinieri. Sembra incredibile che un piccolo animale quasi cieco sia capace di distruggere da un giorno all’altro il lavoro di mesi richiesto dalla manutenzione di un prato, di un campo, di un’aiuola. Colpa di quelle micidiali gallerie, che nascondono, nel loro intricato sistema di cunicoli in profondità, insidie e pericoli in ogni ambiente: gli argini dei fiumi scavati dalle talpe possono franare; il taglio del fieno deve essere ritardato perché la terra smossa lo impolvera e lo sporca e i sassi spinti in superficie rovinano le falciatrici; il fondo dei campi sportivi diventa terreno molle dove si affonda rischiando di farsi male; radici e sementi nei giardini vengono messi sottosopra... Ce n’è per tutti i gusti.
L’organizzazione anatomica di questi animali asseconda i loro istinti da minatori, rendendoli unici e inconfondibili, molto diversi dal primitivo insettivoro del quale conservano vaga memoria, un’idea come di qualcosa di già visto, simile a quel che capita ai figli degli uomini quando per brevi istanti evocano nei gesti, nello sguardo, nei modi, bisnonni mai conosciuti.
Le specie italiane sono tre, molto simili: Talpa caeca, Talpa europaea, Talpa romana. I loro areali di distribuzione in certe zone si sovrappongono, senza gran disturbo. Tutte ci vedono poco, ma la Talpa caeca nemmeno si sforza di dischiudere le palpebre. Hanno zampe anteriori cortissime e molto forti con palmi ruvidi e callosi, come le mani dei contadini e dei giardinieri: quasi una sfida a chi tra uomo e animale lavora meglio la terra. Le zampe funzionano come leve, azionate da muscoli potenti, e allo stesso tempo sono pale, ruspe e zappe con cinque dita fornite di unghioni robusti. Il corpo cilindrico e appuntito all’estremità anteriore, senza interruzioni tra capo e collo, è una trivella. Non per niente nel linguaggio umano chiamiamo “talpe” i macchinari capaci di costruire quel prodigio che è una metropolitana sotterranea, in grado, a Torino, di collegare via Nizza e Collegno.
La straordinaria morbidezza della pelliccia sembra un vezzo e invece serve per ridurre al minimo l’attrito con il terreno, tanto che le talpe sottoterra possono muoversi con rapidità sia all’avanti che all’indietro, quasi come se nuotassero. Le zampe sono attaccate al corpo lateralmente e servono a “sguazzare” lungo le gallerie. Quando, cosa rarissima, corrono sul terreno, sono goffe e sgraziate, mentre nel loro ambiente sotterraneo sono velocissime: costruiscono i loro cunicoli su misura, con precisione da ingegneri, in modo da riuscire, appoggiando le zampe alle rotondità delle gallerie, ad accelerare dandosi spinte degne di nuotatori olimpici. I cilindri animati sembrano senza orecchie, ma anche questo è un trucco evolutivo: manca solo il padiglione auricolare, asperità dannosa che sarebbe inutile ostacolo ai movimenti nei budelli del sottosuolo. Le talpe ci sentono benissimo, e dato che le vibrazioni si propagano sottoterra meglio che nell’aria, un efficace deterrente alla loro esuberanza è uno speciale attrezzo ad ultrasuoni, inventato per allontanarle in modo non cruento dai prati e dai giardini. Questo apparecchio emette vibrazioni e onde sonore irregolari che si propagano in cerchi concentrici sempre più ampi, dando talmente noia ai traffici sotterranei da spingere le talpe, che secondo le vecchie storie hanno un carattere insofferente e irascibile, ad andare a sfogare i loro malumori altrove. E guai a chi si trova sulla loro strada: iperattive e furiose, non esitano ad aggredire le loro simili, ucciderle e già che ci sono mangiarsele, quando non riescono a placare altrimenti la loro fame insaziabile. Possono sopravvivere pochissimo tempo senza cibo: in cattività non superano le 27 ore di digiuno senza conseguenze letali. Questa voracità quasi mostruosa non ha requie: giorno e notte sono attive, non vanno in letargo d’inverno né si riposano in estate. Oggi si sa di più sulle loro gallerie, quelle di passaggio per procurarsi il cibo, che provocano un incurvamento nei terreni lavorati, e quelle di profondità, segnalate da mucchietti di terra schizzata di fuori, luoghi dell’intimità. Qui, dopo violenti combattimenti tra maschi, in primavera si consumano infuocati amori protetti dall’oscurità e si costruiscono culle sicure per i piccoli.
Una volta venivano attribuite alle talpe capacità architettoniche al di sopra del vero. I loro nidi venivano disegnati sui vecchi libri di storia naturale come case complesse e inespugnabili, piene di dispense, passaggi segreti, alcove, trabocchetti, vicoli ciechi. In realtà le numerose montagnole che catturano l’attenzione anche delle persone più distratte, nascondono gallerie meno fantasiose ma molto funzionali, vere e proprie fortezze.
L’appassionato scavare, dannoso alle piante, è compensato da un’altrettanto potente foga nel mangiare, soprattutto lombrichi, ma anche larve di insetti nocivi, che spariscono dal terreno drenato per bene dalle talpe. Questo entrare a far parte del mondo privilegiato della lotta biologica, come mezzi naturali di difesa dai parassiti, fa sì che in alcuni paesi, come la Germania, godano della protezione dell’uomo.
In passato invece furono condotte vere e proprie campagne di sterminio, con tanto di premio in denaro per ogni talpa uccisa. Ai tempi dei Tre Moschettieri, il loro pelo vellutato adornava i volti più alla moda al posto delle sopracciglia. La pelliccia fino ad anni non lontani era apprezzata, ma quante talpe per una sola dama!
Oggi che il termine “nocivi” non è più di moda le talpe si ritrovano tra i pochi animali non compresi nelle norme di legge che regolano la protezione della fauna selvatica, insieme a topi, arvicole e ratti. Ormai è una rarità non essere in via di estinzione, poter fare a meno dei protezionisti e conservare un orgoglio da nemico: quindi è quasi un onore per la talpa, il disprezzato “Tërpon” dei piemontesi, rimanere sempre uno scocciatore abbastanza antipatico... ma con i palmi dei piedi rosa, così irresistibili da far dimenticare l’indole iraconda e musona che mostra il “signor Talpone” nella fiaba di Pollicina, e da provocare un leggero tremito del cuore, nonostante quelle odiose gallerie.

IL MESTIERE DEL TALPAIO

Le vie che nella storia hanno portato alla conoscenza del mondo animale sono infinite e per le talpe passano attraverso il mondo dei tranelli. Una volta, quando quello del “talpaio” era un vero e proprio mestiere, le trappole rudimentali costruite con le molle dei vecchi materassi non erano reperti da ecomuseo e gli interventi negli orti e nei giardini erano richiestissimi. Oggi la figura del “tarpunè” è quasi scomparsa e i pochissimi che ancora praticano questo lavoro antico, tramandato di padre in figlio, non amano la pubblicità per non provocare il levar di scudi degli animalisti.
A questo personaggio schivo, qualche comune ancora si rivolge quando c’è da rimediare ai danni nelle campagne, sugli argini e nei campi sportivi: è lui che più di qualsiasi studioso accademico conosce le abitudini delle talpe e i loro segreti spostamenti sotterranei, grazie a tanta pazienza condita di astuzia e sapienza.

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