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Alieni con le ali

Nei manuali di birdwatching, quando ci sono, gli uccelli alloctoni appaiono alle ultime pagine dedicate a "stranezze" e rarità. Eppure c'è chi prevede per loro un futuro sempre più roseo nel nostro Paese, a cominciare dai parchi

  • Giulio Ielardi
  • novembre 2009
  • Sabato, 31 Ottobre 2009

L'ultimo – o forse già il penultimo, chissà – è il panuro di Webb. Un piccolo passeriforme dal becco robusto e la lunga coda, di origini asiatiche, che frequenta prevalentemente le zone umide. Il suo ingresso nell'avifauna italiana? Risale al 1995 allorché un commerciante di uccelli della provincia di Varese pensò bene di liberarne in natura circa 150 individui. E dove andarono a finire, schivando fabbriche e viadotti, se non in un parco? Nel mese di aprile si ebbe la prima osservazione in un'area protetta: la riserva regionale Palude Brabbia, perla del sistema regionale lombardo. Oggi la loro consistenza numerica è stimata tra i 2000 e i 4000 individui.
Non tutte le storie degli uccelli esotici di casa nostra hanno avuto un inizio così casuale – e un lieto fine almeno dal punto di vista della specie. Ad esempio all'origine della presenza del francolino di Erckel, un fasianide di discrete dimensioni importato in Italia a partire dagli anni Quaranta del secolo scorso, furono precisi interessi venatori. Dei vari nuclei insediati qua e là, resta attualmente un'unica popolazione consolidata e guarda caso ancora in un parco. È quella dell'isola di Zannone, wilderness del parco nazionale del Circeo. Si sarebbe originata da sole 6 coppie immesse in un anno imprecisato, forse tra il 1956 e il 1958.
E ancora. Nel parco delle Lame del Sesia nidifica dal 1989 l'ibis sacro. Ai ricercatori non è chiaro se le prime coppie siano giunte dalla Francia oppure si sia trattato di individui sfuggiti localmente a qualche privato. Da allora la specie sembra essersi diffusa e l'incremento numerico osservato farebbe pensare a un processo di naturalizzazione in atto.
Oppure il cigno reale. Una coppia venne liberata nella riserva naturale regionale del Lago di Burano in Toscana e dal 1994 vi si riproduce. Dal 1998 ciò avviene anche nella riserva statale delle Saline di Tarquinia – stavolta siamo nel Lazio – e, più recentemente, anche nell'oasi Wwf del Lago di Alviano in Umbria. E tra cigni neri, gobbi della Giamaica, maine e molti altri si potrebbe continuare a lungo nel descrivere quella che a detta di molti esperti si configura come una delle principali minacce future per la nostra fauna. Anche il più recente lavoro a carattere nazionale al riguardo, lo studio della Lipu Valutazione dello stato di conservazione dell'avifauna italiana, non è incoraggiante. Datato maggio 2009 e svolto su incarico del ministero dell'Ambiente, seppur non specificatamente rivolto all'impatto delle alien species, lo studio si proponeva di valutare lo stato di conservazione delle specie ornitiche nidificanti incluse nell'Allegato I della Direttiva Uccelli. Su 75 specie di non passeriformi considerate, ben 34 godono di uno stato di conservazione giudicato "cattivo": e tra le 13 specie di passeriformi, addirittura, ben 11 sono contraddistinte dal medesimo bollino rosso. Insomma, l'attenzione va tenuta alta.
Va pur detto però che l'allarme suscitato dalle specie aliene (o più correttamente alloctone), nel caso degli uccelli, è di minore rilievo di quello caratterizzante le popolazioni nostrane di anfibi, rettili, mammiferi e – soprattutto – pesci d'acqua dolce. E ciò in ultima analisi a causa della facilitata mobilità di questa classe animale, che consente tanto ai nuovi arrivati di spostarsi verso lidi più adeguati (in caso di introduzioni casuali e dunque di natura antropica) che ai padroni di casa di evitare l'eventuale convivenza forzata.
Cambiamenti climatici, traffico di persone e merci, operazioni più o meno consapevoli di wildlife management: le cause sono sempre quelle e i nuovi arrivi comunque all'ordine del giorno. Nei parchi italiani non ne mancano gli esempi.
La coturnice orientale o chukar, ad esempio. Si è insediata stabilmente nel parco nazionale dell'Arcipelago toscano, e più precisamente nelle isole del Giglio e di Montecristo. Grazie all'assenza delle congeneri pernice rossa e coturnice, almeno il rischio di inquinamento genetico è qui scongiurato.
Sempre in Toscana, ma prima ancora nel Nord Italia, fa scalpore tra gli addetti ai lavori il caso del bengalino comune. Diffuso da tempo tra gli allevatori per fini amatoriali, si è insediato in Italia nel Veneto fin dagli anni Settanta e attualmente conta una discreta popolazione lungo il parco del fiume Sile. Tra le altre segnalazioni, in Toscana sono note popolazioni nidificanti nel parco di Migliarino-San Rossore-Massaciuccoli e nella riserva naturale del Padule di Fucecchio. Ancora in Toscana va segnalata la diffusione crescente anche dell'usignolo del Giappone, in via di naturalizzazione, avvistato pure nei boschi dei Colli Euganei (parco naturale veneto).
Restiamo al nord. Tra le aree protette più note d'Italia, è proprio il parco lombardo della Valle del Ticino ad ospitare la principale popolazione italiana di colino della Virginia, introdotto dal nord America alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso. Mentre sono i parchi urbani ad aver raccolto gli ospiti forse più esotici di tutti. E stavolta si tratta di pappagalli.
Il primo ad arrivare è stato il parrocchetto monaco, ormai abituale presenza nelle liste dei birder di casa nostra. Dal vivace colore verde-azzurro, la sua presenza a Milano come nidificante venne in realtà certificata già nel lontano 1945 dal padre dell'ornitologia italiana, Edgardo Moltoni. Oggi il suo areale a macchia di leopardo interessa molte regioni italiane, dal Lazio alla Sardegna.
Più grande è un altro pappagallo, il parrocchetto dal collare. Si tratta di una specie molto adattabile, originaria dell'Africa centro-occidentale e dell'Asia meridionale, capace di colonizzare ambienti anche assai diversi purché caratterizzati dalla presenza di alberi di alto fusto. La prima città italiana che ne ha ospitato colonie è stata Genova, alla metà degli anni Settanta del secolo scorso. Oggi le aree urbane e periurbane interessate sono molte. Il suo volo rettilineo e vociante anima spesso i cieli dei parchi urbani di Roma, ad esempio. Qui la prima segnalazione di nidificazione nel parco dell'Appia Antica risale al 2002 e dalle osservazioni effettuate la popolazione sembra in incremento. Nella Capitale è presente anche nelle ville storiche (Villa Borghese, Villa Pamphjli), a Monte Mario e sul litorale, nonché in diverse riserve della cinta rurale periurbana (Marcigliana, Valle dell'Aniene, Decima-Malafede, Valle dei Casali, Insugherata) gestite dall'ente regionale RomaNatura. Giusto nel Lazio, va annotato, l'Agenzia Regionale Parchi ha avviato da qualche tempo un Progetto Atlante su tutte le specie alloctone presenti nel territorio regionale ed in particolare nelle aree protette, in collaborazione con l'Ispra. Quella del monitoraggio resta una delle esigenze più avvertite.
«L'impatto delle invasioni biologiche è ancora largamente sottostimato, se non sconosciuto, da parte di molti decision makers, NGOs, governi e dal pubblico», ha scritto il nuovo responsabile dell'Invasive Species Specialist Group dell'Iucn – l'italiano Piero Genovesi – nell'ultimo numero del bollettino del gruppo. Che si chiama Aliens, riecheggiando il cult movie di Ridley Scott (1979): ma è tutto vero.

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