Storia secolare e sede monumentale
La Collezione di Zoologia, che fa parte del Sistema Museale di Ateneo dell'Università di Bologna, è una delle più importanti del panorama italiano, sia per la consistenza che per la varietà dei suoi reperti, nonché sicuramente la più antica. La sua origine va ricercata nella collezione privata di Ulisse Aldrovandi (1522-1605), uno dei padri delle Scienze Naturali moderne. Ad essa si unirono reperti della wunderkammer seicentesca del collezionista Ferdinando Cospi (1606-1686) e poi la collezione del conte Luigi Ferdinando Marsili (1658-1730), fondatore dell'Accademia delle Scienze di Bologna. La raccolta acquisì poi ulteriore prestigio, fama e contributi economici, anche da parte di Gioacchino Bonaparte (Murat) durante le Guerre Napoleoniche di inizio Ottocento.
Proprio nel corso del XIX secolo la crescita continuò incessantemente, soprattutto ad opera dei professori dell'Alma Mater e direttori del Museo Camillo Ranzani (1775-1841) e Giovanni Giuseppe Bianconi (1809-1878), grazie a donazioni e acquisizioni. Fiorenti furono gli scambi con le istituzioni museali internazionali, ad esempio con il Musée National d'Histoire Naturelle di Parigi (la preziosa Zebra del Capo, Equus zebra, e il calco in gesso del Dodo, Raphus solitarius, ne sono testimonianza). Tra le acquisizioni, spicca la collezione mozambicana, formata dai reperti inviati tra il 1841 e il 1859 dal commerciante bolognese Cavalier Carlo Antonio Fornasini: uccelli, rettili, anfibi, mammiferi e crostacei.
Nel Novecento, fu l'illustre zoologo Alessandro Ghigi (1875-1970), rettore dell'Università di Bologna negli anni '30, ma anche politicamente compromesso col fascismo, a commissionare la realizzazione dell'edificio di Via Selmi 3, progettato appositamente per ospitare le collezioni di Zoologia, Anatomia Comparata e Antropologia. A questo periodo risalgono importanti acquisizioni come quella della collezione di trofei di caccia africani dei Marchesi Pizzardi, la collezione di vertebrati d'Abruzzo e Molise di Giuseppe Altobello e importanti collezioni di uccelli come la Zaffagnini Bertocchi (una delle più complete dell'avifauna italiana), la collezione della Cirenaica raccolta dello stesso Ghigi, quella di galliformi di cui Ghigi era un esperto, e quella centro-americana di Alula Taibel. Nel 1936 le raccolte furono trasferite dalla sede originaria dell'Istituto delle Scienze presso Palazzo Poggi nel nuovo edificio, nato per ospitare l'allora nuovissimo Museo di Scienze Naturali di Bologna. Il palazzo fu progettato ispirandosi a modelli museali anglosassoni e allestito secondo la visione ottocentesca dell'uomo considerato al vertice della natura, nonché sulla base di concetti di natura zoogeografica.
Prese piede anche il concetto di organismo integrato nel suo habitat e facente parte di una comunità animale, e il Museo di Bologna fu il primo in Italia, ispirandosi al Museo di Storia Naturale di New York, ad allestire diorami come quelli della fauna dei Parchi Nazionali d'Abruzzo e del Gran Paradiso (Toschi 1984). L'esposizione accoglieva il visitatore – e lo accoglie tuttora - coinvolgendolo nella strabiliante varietà di forme, colori e specie del mondo animale; visitare, quindi, gli spazi della Collezione di Zoologia oggi è un'ottima occasione per conoscere e apprezzare esemplari di grande valore per la storia degli studi naturalistici dal Cinquecento a oggi.
Animali esotici da Ulisse Aldrovandi (1500) a Pio IX (1800)
I reperti di Aldrovandi costituiscono un unicum nella storia della tassidermia, ed una delle loro peculiarità è quella di essere giunti in buono stato ai giorni nostri dopo oltre cinque secoli. Le tecniche di preparazione del tempo, alle quali il naturalista accenna solo brevemente, si dovevano basare sull'affumicatura e sull'utilizzo della cenere, e probabilmente non erano troppo dissimili da quelle utilizzate nell'antichità dagli Egizi. Ad Aldrovandi furono anche inviati nuovissimi (per il tempo) e preziosissimi reperti animali dalle Americhe, continente allora scoperto solo da qualche decennio.
La maggior parte delle grandi collezioni zoologiche museali si trova concentrata nei paesi occidentali dell'emisfero settentrionale; molte di queste provengono da Paesi ricchi di biodiversità, ma poveri economicamente. Si tratta dell'eredità delle esplorazioni scientifiche e insieme del colonialismo. In alcuni casi, le collezioni zoologiche costituiscono l'unica testimonianza esistente della passata biodiversità di quei paesi, cancellata dall'impatto delle attività umane. Per questo, attraverso la digitalizzazione e lo studio delle collezioni storiche, è doveroso restituire importanti dati naturalistici di molti paesi extraeuropei. Ne è un esempio la collezione dei Colibrì (Trochilidae) conservata a Bologna, la cui storia appare peculiare.
Arrivata nelle raccolte museali nel 1851, come una delle numerose donazioni fatte dal pontefice Pio IX alla città, nascondeva il probabile intento politico del papa di ottenere la benevolenza dei liberali felsinei, in un periodo storico turbolento che culminerà con la caduta dello Stato Pontificio e la realizzazione dell'Unità d'Italia nel 1861.
I colibrì provenivano probabilmente dalle missioni in America Meridionale che avevano voluto omaggiare il pontefice con doni dell'elevato valore simbolico-spirituale oltre che meramente estetico. Questi uccelli, infatti, oltre ad essere creature preziose, "animati giojelli", che simboleggiano istanze positive quali bellezza, gioia, buona sorte, guarigione e il miracolo della vita, in molte culture precolombiane erano ritenuti messaggeri di buone notizie, in analogia con gli arcangeli della tradizione giudaico-cristiana. La collezione include oltre 200 soggetti, tra cui molte specie dell'area amazzonico-andina settentrionale e dell'area amazzonico-atlantica meridionale, che sembrerebbero corrispondere alle due principali aree di influenza gesuita nell'America meridionale (attuali Colombia, Perù e Paraguay).
Il gatto africano e Ghigi
Il Museo custodisce un gatto selvatico di Cirenaica, che Ghigi si procurò a Cirene (Libia) durante il periodo coloniale e descrisse come un tipo classico di gatto selvatico. Il gatto domestico è simile per apparenza a quello selvatico: cos'ha allora di speciale questo esemplare? Per rispondere, iniziamo riportando le parole di Ghigi: "comprai un gatto selvatico ammazzato di fresco, causa di un secondo peccato zoologico, che si chiama Felis lybica cyrenarum"; l'autore intendeva così dire che il reperto era autenticamente locale, non domestico, e che costituiva una specie mai documentata.
Per "peccato", Ghigi intendeva, come scritto altrove, che "potrebbe anche non essere una novità e non sarebbe la prima volta, come non sarà l'ultima, che uno zoologo sbaglia quando crede che un animale appartenga ad una varietà o ad una specie nuova". Definire specie nuove, mai descritte da altri, è uno dei compiti degli zoologi, che può rivelarsi particolarmente arduo per specie, come il gatto, che abbiano sia varietà addomesticate che no. I gatti condividono una lunghissima storia evolutiva con gli umani, ma sono notevoli perché in molte società mantengono il doppio status di animale domestico e selvatico.
L'addomesticamento dei gatti ebbe probabilmente inizio come relazione simbiotica tra i gatti selvatici e le popolazioni delle società agricole quando gli umani si trasformarono da cacciatori-raccoglitori in agricoltori, circa 12.000 anni fa. Gli uomini traevano infatti vantaggio dalla predazione dei gatti sui topi, principale minaccia per la conservazione delle scorte di grano. Nuove analisi genomiche, condotte su migliaia di gatti provenienti da tutto il mondo, indicano che la domesticazione avvenne nel bacino del Mediterraneo orientale. I gatti addomesticati seguirono l'uomo espandendosi nelle vicine isole, poi più a sud, attraverso la costa levantina, fino alla Valle del Nilo (non distante dalla Cirenaica).
Le analisi genetiche e genomiche del gatto selvatico di Cirenaica, e quelle sui pochi altri gatti selvatici musealizzati, potranno forse raccontare - come i geroglifici degli antichi Egizi (pieni di gatti!) - l'origine della domesticazione del gatto.
Criticità e nuovi orizzonti
Il Museo custodisce migliaia di reperti animali, tra i quali numerosi olotipi (individui che rappresentano le specie descritte dagli zoologi). È un patrimonio zoologico estremamente rilevante, ma a rischio. Molte le collezioni delicate; mammiferi e uccelli sono particolarmente esposti alle infestazione di Dermestidi, insetti Coleotteri le cui larve si nutrono anche di derma e peli e del piumaggio degli uccelli. Il liquido di dimora di rettili e anfibi va regolarmente controllato e sostituito. Tante le attenzioni richieste da questo immenso patrimonio.
La ricerca e lo studio sulle collezioni sono un altro impegno fondamentale per l'aggiornamento delle conoscenze scientifiche e conducono spesso a nuove scoperte. È il caso di un recente contributo scientifico che ha evidenziato la presenza in colelzione di un esemplare di Cercopithecus ascanius atrinasus, scimmia che vive soltanto in una piccola area forestale dell'Angola settentrionale, descritta nel 1965 e di cui ufficialmente non esistono reperti fuori dall'Africa.
Il museo accoglie oltre 22.000 visitatori all'anno. Grazie al dialogo con i fruitori, è emersa l'importanza del museo come luogo di aggregazione intergenerazionale. E' in progetto, dunque, valorizzare ancor più questo aspetto rafforzando e incrementando i programmi educativi, e integrandoli con progetti di citizen science e iniziative di lifelong learning.
Per approfondimenti:
Collezione di Zoologia — Sistema Museale di Ateneo – SMA, Università di Bologna
Gli articoli "I Musei delle Meraviglie" sono curati da Sabrina Lo Brutto, Università degli Studi di Palermo e National Biodiversity Future Center; Vittorio Ferrero, Università degli Studi di Torino; Franco Andreone, Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino.