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Il pellegrino comodo

  • Bruno Gambarotta
  • Maggio 2011
  • Domenica, 1 Maggio 2011

Assistiamo da qualche anno a un crescente ritorno di interesse per i pellegrinaggi, soprattutto per quello diretto a Santiago di Compostela. Le amministrazioni locali hanno provveduto a ripristinare e a segnalare sul territorio di loro competenza i tratti della Via Francigena, incoraggiate dal fatto che ne esistono diverse varianti, tutte più o meno legittimate dall'uso che in passato ne è stato fatto. Lo spirito però che anima questi nuovi pellegrini è almeno in parte diverso da quello che muoveva i loro predecessori e in sostanza ha maggiori connotati di laicità. Il bisogno di percorrere a piedi questi sentieri non è tanto motivato dall'impellente bisogno di impetrare una grazia o di scontare i peccati in modo da accorciare gli anni da trascorrere in purgatorio (un sito ultraterreno inventato peraltro dopo l'anno 1000, prima di quella data l'opzione a disposizione dei credenti era binaria, o paradiso o inferno). Il pellegrino che si avvia a piedi verso il luogo di devozione lo fa per un bisogno di ricerca interiore, di sperimentare ritmi di vita antichi, di recuperare un tempo di meditazione negato dalla vita moderna. Sergio Valzania, nell'ultimo periodo in cui diresse i programmi di Radio Rai, promosse diversi pellegrinaggi, prendendovi parte anche lui, almeno nelle tappe conclusive. Avevano varie mete; ne ricordiamo una al monte Athos, con Davide Riondino. In uno degli ultimi Valzania portò a Santiago di Compostela il professor Piergiorgio Odifreddi, noto per le sue nette prese di posizione contro le credenze religiose. I pellegrini del nostro tempo sono "assistiti", in molti sensi; coperti da assicurazione, monitorati, inseriti in una rete che fa trovare, al termine di ogni tappa, una confortevole camera d'albergo o, al peggio, la cella di un convento ospitale, una sostanziosa cena con prodotti tipici locali, un furgone che trasporta i bagagli da una tappa all'altra.
Anche se è modificato in senso laico, grande rimane il valore del pellegrinaggio in tema di riscoperta della natura e di un modo di camminare, respirare e assorbire il paesaggio che si credevano perduti per sempre. Perciò, in questo senso, l'avverarsi di un miracolo è assicurato e consiste in una rigenerazione dell'individuo che al ritorno non sarà più quello di prima, ma un essere migliore, più consapevole, più pensoso, disposto all'ascolto.
Mi ricordo da ragazzo le gite parrocchiali in pullman al santuario di Oropa. All'andata si cantavano canti di chiesa attinti da un repertorio vastissimo; mi sono sempre chiesto se gli autisti avessero diritto a soprassoldo a compenso parziale di quella lagna che dovevano subire. Al ritorno, se fra i gitanti c'era qualche suora, guidati da lei si recitava il rosario. Partiva il rosario e la più parte cadeva addormentata, adducendo come giustificazione lo sbalzo di altitudine. Invece si trattava della digestione che assorbiva tutte le energie, poiché, giunto il momento di aprire le sporte ed estrarre i contenitori del cibo preparato dalle madri, iniziava la cerimonia degli assaggi e degli scambi.
Da allora ho sempre pensato che un pellegrinaggio in un luogo consacrato al culto mette a dura prova la fede. Vi è mai capitato di visitare la chiesa del Santo Sepolcro di Gerusalemme? Io l'ho frequentata nel Natale del 1963 quando ancora i luoghi santi si trovavano tutti nella parte araba di Gerusalemme che sarebbe stata ricongiunta solo dopo la guerra dei sei giorni. Ero lì come operatore di ripresa della Rai per la visita di Paolo VI. Mi ero portato una copia dei Vangeli con l'intenzione di usarli come guida. Fra le tante disillusioni, la maggiore è derivata dalla scoperta che il Golgota, il monte su cui Gesù è stato crocifisso, che noi, incoraggiati dalla grande pittura di tutti i secoli, immaginiamo alto sulla città, è un montarozzo di tre metri, inglobato nel santuario, una delle chiese più brutte di tutta la cristianità. Era la stagione dei riti natalizi e, poiché ogni cappella all'interno dell'edificio è appannaggio di una delle tante varianti del culto di Cristo, i celebranti facevano a gara a sopraffarsi alzando il volume sonoro delle preghiere e dei canti; al confronto il mercato del pesce di Palermo è una oasi di silenzio e di raccoglimento. Meglio affidarsi alle immagini di Giotto, Masaccio, Piero della Francesca.