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Il viaggio inizia dalle radici

Cesare Lasen, geobotanico originario del Feltrino e primo Presidente del Parco nazionale delle Dolomiti Bellunesi, ci racconta la sua vita, la bellezza di quest'area protetta e la straordinaria vita delle piante.

  • Claudia Reali
  • Gennaio 2022
  • Lunedì, 7 Marzo 2022
Cesare Lasen sulle sue amate Dolomiti bellunesi  - Foto p.g.c. Archivio PNDB Cesare Lasen sulle sue amate Dolomiti bellunesi - Foto p.g.c. Archivio PNDB

Alchemilla lasenii è una piccola pianta appartenente alla famiglia delle Rosacee. Il suo nome scientifico racconta due storie speciali. Alchemilla deriva dall'arabo "alkemelyck", alchimia, perché gli alchimisti, cercando la pietra filosofale, usavano le stille d'acqua che si generano all'apice dei denti delle foglie idrorepellenti di questo genere botanico; lasenii, la specie, è un omaggio a Cesare Lasen, che ne raccolse un esemplare in Busa delle Vette, nel Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi, il 18 luglio del 1986. Se Lasen non fosse un grande botanico non l'avrebbe conservata nel suo maestoso erbario e lo studioso tedesco Fröhner, nel 2005, non avrebbe potuto descriverla dandole una nuova identità. «Non è da tutti avere una pianta dedicata», scherza Lasen. Ma nessuno più di lui se la merita.

Classe 1950, è originario del paesino omonimo, nel comune di Feltre (BL), alle pendici del Monte San Mauro. Cresce con i nonni in una casa rurale, la più lontana dal villaggio. «Mancava tutto: acqua corrente, energia elettrica, la strada per arrivarci. Tutto attorno c'era solo la natura. Prati, boschi e le cime dolomitiche. È stato il mio imprinting». A cinque anni e mezzo si trasferisce a Milano con i suoi genitori e il fratello in una piccola portineria di 20 metri quadrati. Si diploma perito chimico industriale e poi si iscrive a Biologia, dove in quattro anni si laurea senza andare fuori corso pur lavorando tutti i giorni all'Enel. «Facevo una vita monastica, senza distrazioni. Mi mancavano immensamente i miei monti, però ero felice di aver intrapreso un percorso di studi che mi appassionava, dove spiccavano molte discipline di scienze naturali. La folgorazione è arrivata con l'esame di fitogeografia. Ho capito che era la mia strada. D'altra parte il regno vegetale è fondamentale per la vita nel Pianeta. Le piante fanno fotosintesi! E così mi sono specializzato in botanica. Ho anche avuto la fortuna di conoscere persone che mi hanno ben indirizzato come il professor Sandro Pignatti. La mia tesi? Flora e vegetazione del Monte San Mauro. Dopo la laurea mi sono licenziato dall'Enel e sono tornato in Veneto. Finalmente».

Un botanico alla presidenza del parco

Cesare Lasen per vent'anni, dal 1975 al 1994, si dedica all'insegnamento e alla ricerca. Il suo interesse preminente è rivolto alla floristica, alla fitosociologia e alla geobotanica. Si occupa anche di ecologia, di conservazione della natura e di valutazione della qualità ambientale. È autore di oltre 290 pubblicazioni scientifiche. Partecipa a centinaia di convegni nazionali e internazionali. Con questo curriculum nel 1993 viene nominato primo presidente del neonato Parco nazionale delle Dolomiti Bellunesi. «Erano anni difficili. C'era Tangentopoli e nel Veneto erano saltate tante teste. Io ero fuori dai giochi politici e quando mi chiesero di diventare presidente rimasi perplesso. Poi, con spirito di servizio, raccolsi la sfida. È stata un'esperienza complicata ma unica. Si partiva da zero. Sono fiero di aver contribuito nel mio quinquennio a far conoscere il parco dal punto di vista scientifico, storico e naturalistico. Ho seguito direttamente la redazione del Piano del Parco e ho imparato molto a livello amministrativo e istituzionale. Alla fine del mandato però non ho voluto rinnovarlo. Volevo vestire di nuovo i panni dello studioso senza essere costretto a diventare un politico».

Un circo glaciale sospeso tra le cime

Eppure non poteva esserci presidente più adatto per un parco nato per la grande ricchezza e rarità della sua flora. A testimonianza di ciò risale al 1400 il Codex Bellunensis, prezioso erbario figurato che illustra e descrive piante raccolte da botanici-farmacisti sulle montagne che oggi fanno parte dell'area protetta e oggi conservato alla British Library di Londra. Anche nel 1700 le Vette Feltrine e il Monte Serva furono meta dei più importanti botanici del tempo.

Il parco, istituito nel 1990 ma operativo dal 1993, si estende per oltre 31mila ettari (16mila dei quali inclusi in otto Riserve naturali niogenetiche del Consiglio d'Europa), sviluppandosi da una quota minima di 412 m a una massima di 2.565 m. È caratterizzato da un'ampia varietà di ambienti: dai prati del fondo valle alle pareti rocciose di alta quota, passando per boschi di latifoglie, foreste di conifere, arbusteti, praterie e macereti. La natura è trionfante e sono pochi i centri abitati che punteggiano l'area. Tanti i luoghi imperdibili: gli alpeggi delle Vette Grandi e Monsampiano; la Piazza del Diavolo; il Lago della Stua e la Val Canzòi; il Lago e la Val del Mis con i Cadini del Brenton; il Bus de le Nèole; la Val di Piero e la Val Vescovà; la Foresta di Caiàda; la Val del Grìsol e, fra le vette più caratteristiche, l'obelisco, visibile anche da Belluno, della Gusèla del Vescovà. «Il posto che io amo di più in assoluto è la Busa delle Vette, detta anche Busa delle Meraviglie o Enciclopedia della natura», racconta Cesare. «È un circo glaciale sospeso tra le cime. Qui si susseguono durante la bella stagione fioriture mirabili. La magica sequenza inizia quando si scioglie la neve: dapprima crochi e soldanelle guadagnano la luce; poi è la volta della Primula orecchia d'orso dal giallo intenso e della bianca Saxifraga burserana; a seguire ci sono esplosioni policromiche nelle quali, di volta in volta, alcune specie vistose e spettacolari, conferiscono l'impronta prevalente. Il clou si manifesta verso la fine di giugno quando i ghiaioni si tingono di giallo smagliante: è l'Alisso dell'Obir, una rarità assoluta».

Imparare dalle piante

Brillano gli occhi a Cesare quando descrive la bellezza di questi paesaggi. «Io mi definisco un ecologo più che un botanico. Ho sempre amato le scienze naturali complessivamente. Ma le piante, con la loro dinamica evolutiva, sorprendente ed entusiasmante, mi hanno sempre insegnato qualcosa. Ogni giorno io imparo da loro. Sono dinamiche, si adattano all'ambiente con strategie incredibili e, soprattutto, al contrario di ciò che succede nella società umana, mettono in atto una forma di competizione collaborativa, finalizzata al migliore utilizzo delle risorse disponibili. Tutte hanno un ruolo, dalla specie più piccola all'albero più grande, e concorrono a una realtà migliore». Dal 2011 Cesare è membro del comitato scientifico della Fondazione Dolomiti Unesco. Nello stesso anno è stato premiato con il "Pelmo d'oro", manifestazione che ha lo scopo di valorizzare la cultura alpina sulle Dolomiti Bellunesi. Ha donato il suo erbario con oltre 20mila fogli alla Fondazione Cariverona che l'ha offerto in comodato d'uso al Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi. È un patrimonio unico di conoscenza che va salvaguardato. Ogni pianta raccolta è frutto di un'immersione nella natura. «Tutto quello che ho studiato sui libri l'ho sempre verificato sul campo. Passo dopo passo, solcando sentieri impervi, respiro profondamente ed esploro con tutti i sensi. Così le piante mi raccontano il loro mondo straordinario».

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