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Fellini e il Sacro Graal

  • Aldo Molino
  • novembre 2009
  • Martedì, 10 Novembre 2009

Mescolate assieme Fellini, il Graal, Rennes le Chateau, e i Templari. Aggiungete uno sconosciuto eremita, Gorbaciov, l'ex Unione Sovietica e le Madonne nere. Immaginate poi signorili palazzotti, solitarie vie selciate dove di notte il rumore dei passi è inframmezzato soltanto dal latrare di qualche cane. Tutto con vista panoramica sulla Torre Cives e sul Parco regionale dei Monti Pelati. Questo luogo non è il parto di un fantasioso romanziere: basta, infatti, recarsi a Torre Canavese, partendo dalla circonvallazione di Castellamonte o da Agliè, seguendo le indicazioni per Bairo (qualcuno ricorda ancora fra Cimabue e l'Uvamaro) e Torre.
Poco più di 600 abitanti, il villaggio di Torre, sorto all'incrocio di due importanti vie romane, è appoggiato ai primi rilievi morenici baltei a poca distanza da Castellamonte, il paese della ceramica. Molti gli antichi e nobili palazzi come quello cinquecentesco dei Conti San Martino de la Turre, Palazzo Cocaris, Palazzo Testa ... E in alto, nella parte più antica del paese, il castello dei San Martino, signori del luogo, acerrimi rivali dei Valperga e fedeli alleati dei Savoia. Il maniero risale al X secolo ed è antecedente alla non lontana torre trecentesca del ricetto, parte fortificata del borgo dove in caso di pericolo venivano un tempo riparate vettovaglie e derrate agricole e trovavano rifugio durante i periodi più torbidi gli abitanti del luogo.

Oggi il castello, che ha subito nel tempo progressive trasformazioni e ammodernamenti, è proprietà dell'antiquario e mercante d'arte Marco Datrino, alla cui intraprendenza si devono le prestigiose iniziative che hanno dato notorietà al paese come l'indimenticabile mostra dedicata ai Tesori del Kremlino che vide esposti preziosi tesori mai usciti prima dalla Russia. La prima iniziativa artistica ha avuto luogo nel 1990, con la mostra dedicata alla "Pittura russa dal Museo di Kiev", una rassegna che comprendeva opere del realismo ottocentesco, delle avanguardie di inizio secolo e del realismo socialista successivo alla rivoluzione d'ottobre. Dalle relazioni con l'ex Unione Sovietica e dai legami stabiliti in quell'occasione, si è sviluppata l'iniziativa condivisa con l'amministrazione di trasformare il paese in una grande pinacoteca a cielo aperto.

Da Piazza Olivetti, su per le vie del paese, sino al giardino Belvedere, i pannelli dipinti che adornano le facciate e i muri delle case ci raccontano suggestioni e paesaggi delle ex repubbliche sovietiche. Il percorso si conclude con la sala espositiva nel centro incontri di via Balbo che, nel 2003, ha ospitato Michael Gorbaciov ed è stata intitolata alla moglie Rissa: un autentico scrigno di opere d'arte dove l'esiguo spazio espositivo obbliga a una rotazione tra le opere, patrimonio della pinacoteca. Oltre ai sessantatré artisti europei ospitati dall'Europa Orientale e autori delle ottantotto opere "plein air", negli anni, Torre si è arricchita anche di altri contributi tra cui dodici pannelli di pittori canavesani e del murales di quattordici metri nel Giardino dei Ceramisti realizzato con tessere di terra cotta, secondo la tecnica "raku", propria dei grandi maestri della ceramica.

La strada più antica di Torre è la Viassa, e di questi tempi ospita una singolare mostra permanente a cielo aperto dedicata a Federico Fellini. Per visitarla, basta seguire le indicazioni. L'iniziativa, dal titolo Ciak! Visioni Felliniane in scena, che ha avuto l'appoggio della Fondazione Fellini presieduta da Pupi Avati e della Galleria Datrino, propone scenografie e personaggi dell'indimenticabile maestro del cinema.

I suoi capolavori rivivono nella suggestiva ambientazione del borgo antico. Amarcord, 8 e 1/2, lo Sceicco bianco, La dolce vita e altri, sono rievocati nelle opere realizzate da Antonello Geleng, scenografo del regista e dal figlio Milo. Varcando l'angusto passaggio coperto che immette nel viottolo antico, in alto a sinistra un'enigmatica Madonna nera è il preludio al singolare viaggio tra realtà e fantasia sospeso nella dimensione surreale del cinema. Si possono vedere riproduzioni quasi a grandezza naturale del transatlantico Rex e della Fontana di Trevi della Dolce vita e di molti protagonisti di quei film. Particolarmente suggestiva la visita notturna con Paolo Villaggio e Roberto Benigni che parlano alla luna: le sagome, a grandezza naturale, sono state realizzate in uno speciale materiale di derivazione navale che dovrebbe permettere di resistere alle variazioni climatiche

Altre pitture, forse meno pregevoli ma più enigmatiche, si trovano nelle campagne attorno a Torre, nei piloni campestri eretti da tempi immemorabili ai crocicchi dei percorsi e oggi quasi dimenticati. Sbiaditi affreschi che raccontano di santi e di taumaturghi, come il pilone di Caraver e quello della Bindella, che ci mostrano San Giovanni l'evangelista con in mano nientemeno che il "Graal", o almeno così sembrerebbe. Sicuri indizi da leggere sono sul sito del Comune, curato da Mariano Tomatis, storico locale che il "sacro calice" ha cercato un po' ovunque e, secondo il quale, si troverebbe nientemeno che a Torre! Potrebbe essere stato Guglielmo di Monferrato nel 1224 a entrare in possesso della reliquia a scapito dei Templari durante l'assedio di Costantinopoli. Custodito dapprima a Ivrea, sarebbe stata trasferita nella più sicura Torre località che richiama in qualche modo il Perceval di Chretien de Troyes. Ma di altre singolari analogie (e di molte altre cose) racconta nel suo sito Mariano Tomatis: suggestioni che ci portano addirittura al lontano e intrigante paesino pirenaico di Rennes le Chateau, anch'esso com'è noto, legato alla leggenda del "Graal" e alle tante mistificazioni.

In paese, tra i diversi luoghi in cui il calice potrebbe essere nascosto, oltre al Castello, alla Torre e alla chiesa cimiteriale, ci sarebbe la cappella di San Giacomo. Isolata nei boschi della collina morenica è raggiungibile da Torre a piedi mediante una piacevole camminata. Da Piazza Olivetti basta seguire le indicazioni "Passeggiata" naturalistica o in alternativa il tracciato (segnato) dell'Alta Via della Collina Morenica. Quest'ultimo è un lungo itinerario che si sviluppa consecutivamente per 130 chilometri lungo l'intera cerchia dell'anfiteatro morenico. In poco più di mezz'ora, senza particolari difficoltà, si raggiunge il dosso dove, nel fitto di un fresco e bel bosco, si erge l'intrigante chiesetta. A fianco, un più rustico edificio è "la casa dell'eremita", dimora, in passato, di un ignoto romito custode anche delle campane della cappella che venivano suonate per allontanare il pericolo della tempesta. Nei pressi si troverebbero ancora misteriosi cunicoli sotterranei utilizzati dai partigiani come rifugio. Poche centinaia di metri più in basso, seguendo il sentiero, si giunge a un piccolo valico del cordone morenico su cui domina un grande masso erratico: il Roch dell'eremita. Il pietrone, sormontato da una croce, non sarebbe stato trasportato dal ghiacciaio, ma bensì scaraventato dal diavolo in persona, irato, perché il sant'uomo che abitava nei pressi di San Giacomo non cedeva alle sue tentazioni. Nei dintorni si dice che celi un tesoro a lungo ricercato, ma non ancora svelato. Continuando lungo la passeggiata, si raggiunge, quindi, lo storico locale "Pilone della Bindella" con i suoi rustici affreschi tra cui il San Giovanni citato.

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