Per la geografia il Po nasce dal Monviso, per la letteratura da Torino. Sulla scia di Pavese comincia alla confluenza del Sangone e diventa cittadino in tutta una serie di fantasie operaie e impiegatizie: da Carlo Levi a Soldati, da Calvino ad Arpino. Poi prende aria contadina e sguscia come un'anguilla sopra e sotto i capoluoghi di provincia delle altre tre regioni che percorre: Pavia, Piacenza, Cremona, Mantova, Reggio, Parma, Ferrara, Rovigo.
La "Padania" solcata dal fiume dei fiumi che "fra le arginature di Taglio e di Porto Viro", come annota Gadda con qualche gonfiore nel suo Viaggio delle acque, "discende tra veli lontani delle nebbie a spengere il lungo travaglio della sua corsa, e divenir piaggia, e stanco delta, e marina". Stanchezza su cui Bassani nel romanzo L'airone ha giocato tra Codigoro e Volano l'ultima giornata di un uomo stanco di finzioni.
Più pianamente Gianni Celati intitola Verso la foce i diari dei suoi viaggi di verifica: la storia impietosa e puntuale di quattro derive, da Piacenza e Caorso alle bocche del Po di Goro. Difficile - osserva Celati - non sentirsi stranieri. Inquinamento, stato d'abbandono, profitto, edilizia "per domiciliati intercambiabili, senza patria né destinazione". Ma soprattutto campagne in cui si respira "un'aria di solitudine urbana".
Dove sono più i vecchi barconi della trilogia Il mulino del Po con cui Bacchelli ha costruito la saga secolare degli Scacerni? Dove i pìcari e i ladri di "pennuti" della Bassa di cui il cremonese Danilo Montaldi ha raccolto per sempre le voci nelle magnifiche Autobiografie della leggera? Dove i curati alla don Camillo e i sindaci alla don Peppone con cui Guareschi costruì il suo universo di litiganti da burla? Dove i "vecchi bellissimi" degli argini di Puttina, che Bevilacqua è andato cercando al Po di Viadana nel suo viaggio a ritroso, La festa parmigiana? La verità è che il Po degli scrittori scorre nei millimetri del cuore.
Ma il guru della Bassa è stato Zavattini, l'autore del Viaggetto sul Po. Lui a cantar Luzzara e dintorni come un aedo d'altri tempi ("Ma sto affondando nella nostalgia, aiuto"). Lui a inventare i suoi pittori naïfs e i suoi poeti di zolla. Lui a girar mondo sempre ancorato, come Guareschi, al Mondo piccolo che non esclude altri mondi.
Invitato a tenere la "prolusione" al secondo Congresso nazionale del Po, Zavattini finse di schermirsi. Secondo lui avrebbero potuto più degnamente sostenere l'onore della parola e del compito scrittori come Bacchelli o Carlo Levi.
Quest'ultimo, scrive nella Prolusione Zavattini da Luzzara, nato a Torino "dove il Po si inurba", ma autore di un libro memorabile, il Cristo si è fermato a Eboli, capace di sollecitare negli italiani "una solidarietà verso il Sud che va oltre le effimere ondate del sentimento". Una lezione che - in tempi grami - dovremmo tanto più meditare.
Non c'è dubbio che l'orgoglio di Torino venga dal Po. Si potrebbe ben dire, anzi, che a Torino tutte le strade portino al Po, conducendo inesorabili a quel termine e a quel principio d'acque e di sponde, che i ponti congiungono in una greggia di transumanza visionaria, come Apollinaire divinava poeticamente per la Senna della "Grande Parigi".
Fiume del mito (il precipitevole Fetonte dalle parti di Madonna del Pilone) e fiume della storia (dalle truppe romane a quelle napoleoniche su quel ponte che prende il nome dall'Empereur), fiume dei ritorni (l'Ob adventum regis impresso alla Gran Madre) e fiume delle partenze (verso il suo Delta, verso il suo Oriente), fiume delle sponde universali (la gran vicenda delle magnifiche e progressive Esposizioni aniversarie), fiume delle sabbie e dei diporti, fiume del loisir e delle fughe, fiume dei cimenti, fiume della "Piccola Parigi" che Torino è stata, corrispondendo in parte a vicende dinastiche e parentali, in parte alla mitologia dei suoi cultori pre e soprattutto post-unitari: dal Thesauro più encomiastico all'Alfieri più risentito al De Amicis più conforme al Gozzano più incrinevole al Salgari più immaginosamente nomade al Pavese più emotivamente combusto.
Sempre il Po a tagliare la città, ma non a smentirne la vocazione ortogonale, pronto - con giusta discrezione - a nascondere le più segrete notizie, a scavarsi le nicchie esotiche, gli anditi e le tournures surreali. Sempre lui ad accogliere gli affluenti con quella signorile placidità che può inarcarsi all'improvviso in disdegni da ultimo giudizio.
Nell'arco il grande parco che fa gara (ma "esageroma nen") con il Tiegarten - come voleva Thovez - o con il Prater e il Bois de Boulogne: "Nessun parco delle metropoli europee racchiude in così poco spazio tanta armonia di proporzioni, tanta grazie e varietà di linee; nessuno compendia i panorami naturali d'uno sfondo di colline armoniose lambite e riflesse da un fiume regale, nessuno aduna tanta varietà di scenari: Superga, il Monte dei Cappuccini, il profilo secentesco del palazzo del Valentino, il profilo turrito del Borgo e del castello Medievale e, ultimo, eccelso, la cerchia delle Alpi, dominanti le masse degli alberi secolari". Alla faccia del cantore antifrastico! Qui l'Augusta Taurinorum del viandante d'ombra e d'orma diventa tutta un elogio, senza se e senza ma. E va da sé che la lista delle citazioni potrebbe essere ben più numerosa (come mostrano le didascalie letterarie con cui ho passeggiato insieme con Dario Lanzardo nel volume che s'intitola, appunto, La città dei quattro fiumi).
Dirne qualcuna? A patto che non si abbia pretesa di esaustività. Da Oddone Camerana che vi convoca "le società di canottaggio, le corse nautiche, le feste sportive, le cene sul Po, i bagni nel Po, le lezioni di nuoto, le vittime, i suicidi del fiume, la costruzione dei ponti" e così via. A Sergio Astrologo che vi fa notare fino a chissà dove un avo capace di veri e propri exploits di follia.
Da Ernesto Ferrero, che estrae una scoperta metafora tra fiume e scrittura, attento all'attenzione dei radi pescatori che ancora si ostinano a tentare prede improbabili (o che magari, dopo qualche bonifica, ora sono tornate a essere probabili). Ad Alessandro Perissinotto che annota "nonne coi passeggini", "visi di neonati" e "maniaci" che fanno del jogging, ambientando su sponde inconsuete i suoi gialli pensosi.
Da Pier Massimo Prosio che nella barriera di Casale riconosce ancora il profilo di antiche bisbocce, un tratto "picaresco e gaglioffo e di bonaria malavita". A Carlo Fruttero e Franco Lucentini che vi conducono il geometra Bauchiero a "guardare le colline appiattite dalla notte".
Da Dario Voltolini, che stabilisce ai Murazzi un bordo invalicabile.
A Giuseppe Culicchia che nello stesso punto si fa rincorrere da un grosso maiale di pelo pezzato "come quello di una mucca". Da Mario Soldati che sul ponte di pietra (quello napoleonico, quello della Gran Madre) fa finire un amore impossibile a Luigi Pirandello che allo stesso ponte conduce i passi smarriti del suo fu Mattia Pascal in viaggio verso l'ignoto.
Da Italo Calvino che tra I giovani del Po e Marcovaldo rintana fantasie operaie e ironicamente fiabesche. A Lalla Romano che dalla Gran Madre a Piazza Vittorio vi contempla in gran serietà la veduta notturna di "un'armonia assoluta".
Da Augusto Monti più volte e in più modi convocabile nel suo andare alla ricerca di quella "falsa magra" che nasconde le sue gioie.
A un Renzo Laguzzi in vena sentimentale (quanto antisentimentale la vena di Mario Gromo: ognuno che abbia letto bene la sua guida lo sa).
Da Carlo Levi che torna più volte - con Gobetti o senza Gobetti - ad attraversare il Po a ogni ora del giorno, dall'infanzia scolastica alla giovinezza liberale.
A Gianna Baltaro - arsenico e vecchi merletti - che insegue i suoi assassini tra piccole nostalgie e vecchi décors.
Non ci sarebbe, per il resto, che la "vertigine della lista", come direbbe Umberto Eco: da Laura Mancinelli a Italo Cremona, da Oddone Beltrami a Curt Seidel, da Natalia Ginzburg a Margherita Oggero, da Mario Lattes a Elisabetta Chicco Vitzizzai, da Elena Ferrante a Benedetta Cibrario, da Paola Mastrocola a Gino Moretti, da Dario Lanzardo a Dario Capello, da Valdo Fusi a Marco Bosonetto, da Marina Jarre ad Andrea Bajani...
Tutti nomi noti e meno noti - detti alla rinfusa - per far risaltare la vita e la vitalità di un fiume che conduce alla letteratura come quei pescatori di Ferrero alla parola: la preda più insidiosa, ma anche la più felice. Quella che fa della letteratura un Po e che del Po fa letteratura. Dopodiché non resterebbe che tuffarsi in quel mare di carta, e navigare tra le pagine come nel (nostro) gran fiume che va. Dal Thesauro a Pavese, il viaggio viaggia con lui, imbarcando storie e destini. Con le parole più diverse, la letteratura non cessa di inventare - ognuno a suo modo - i suoi eterni Salgari.
Giovanni Tesio
Professore ordinario di letteratura italiana all'Università del Piemonte Orientale "A. Avogadro" (sede di Vercelli), ha pubblicato alcuni volumi di saggi (l'ultimo, Oltre il confine, nel 2007). Da più di trent'anni collabora a La Stampa e a Tuttolibri. È condirettore della collana "Biblioteca del Piemonte Orientale" e della rivista "Letteratura e dialetti".