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«Io, la donna delle miniere abbandonate»

La curiosa storia di Claudia Chiappino, esploratrice di siti minerari dimenticati.

  • Mauro Pianta
  • novembre 2011
  • Mercoledì, 30 Novembre 2011

«Appena noto una strana voragine nella montagna non so resistere: mi infilo perché devo scoprire, devo sapere che cosa c'è sotto. Ho una specie di radar, sono così da quando avevo sedici anni». Oggi che di anni ne ha 42, Claudia Chiappino ha esplorato centinaia di quelle voragini. La sua specialità sono le miniere abbandonate. Là sotto, dice, ci ha scovato pure il compagno della vita. «È vero – ricorda sorridendo – stavamo visitando delle miniere nel bergamasco. Lui è uno speleologo ambientalista, io mi occupavo di cave: abbiamo cominciato a litigare e non ci siamo più fermati». Gli argomenti non devono mancarle visto che Claudia, appassionata di fotografia e di poeti sudamericani, è ingegnere minerario. «Uno degli ultimi, il corso di laurea l'hanno chiuso negli anni Novanta. Sono una specie protetta io, praticamente un panda». Un panda o una supertalpa, giurano gli amici. Dopo la laurea lavora come tecnico nella gestione di cave all'interno di grandi multinazionali. Poi, qualche mese fa, decide di far da sè e mette su, con alcuni amici, una società di consulenza ingegneristica. Ma la passione per le miniere dimenticate non l'hai mai abbandonata. In Italia gli esploratori di siti minerari dismessi sono una decina. Lei è l'unica donna. Il rito, con gli amici di sempre, si ripete quasi tutti i week end: caschetto con torcia incorporata, guanti, maglioni sdruciti, jeans pieni di buchi, stivaloni fino all'inguine e giù in picchiata verso le ombre. Cosa la spinge a frugare nelle vene della Terra? «Cerco la storia dell'uomo. È un po' come viaggiare nel passato: mi affascina verificare come gli esseri umani, in tutti i tempi e con diversi mezzi tecnici a disposizione, abbiano saputo scavare nelle rocce. E poi quasi ogni oggetto è costruito con materiali che, magari indirettamente, provengono dalle miniere del mondo». Ma come si fa a scoprirle? «Io passo giorni e giorni negli archivi, sulle vecchie carte geografiche. Spesso, però, basta intercettare la chiacchiera giusta dei vecchietti nei bar dei paesi sperduti». I taccuini personali di Claudia sono zeppi di note. Dopo l'esplorazione del sito, infatti, torna in archivio per approfondire: ricerca i dati sui minatori, le tecniche di estrazione usate, i motivi delle chiusure. E torna anche nei paesi a parlare con gli anziani del luogo. «Le mie storie le racconto su riviste specializzate, ma mi piacerebbe tanto pubblicare un libro. Sarebbe davvero un peccato perdere un pezzo della nostra memoria. In questo campo gli italiani sono stati tra i migliori al mondo». Non a caso Claudia è tra le fondatrici dell'associazione per la Conservazione delle Tradizioni Minerarie. Dieci anni fa ha dato vita anche alla Compagnia delle Miniere, un gruppo geologi e naturalisti con il suo stesso "vizio". La miniera che le è piaciuta di più? «La prima, quella di Brosso, nel canavese. È un posto denso di fascino, in due anni ne avrò esplorato il dieci per cento. Ci ho lasciato il cuore. C'è persino una zona chiamata "Porta Nuova" perché lì confluiscono tutte le gallerie». La più pericolosa, invece? «La miniera di carbone a Timisoara, in Romania. Gallerie strettissime: laggiù ho raggiunto il mio record scendendo a 700 metri». Mai fatto strani incontri, lì sotto? «Beh, una volta, a tre ore di distanza dall'ingresso, ci è capitato di trovare una comitiva di turisti che si era persa e girava terrorizzata con i panini in mano». Ecco, ma laggiù dove il cielo è abolito e gli occhi sono pieni di tenebre, non le capita mai di avere paura? «Mai. Il buio mi aiuta a meditare, a conoscere i miei limiti e a ritrovare me stessa».

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