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Gli agrumi di Giorgio Gallesio

Nobile, politico e diplomatico, fu anche scienziato per passione: i suoi testi sulla frutta e in particolare sugli agrumi sono stati di riferimento per molti altri studiosi, appassionati e artisti. 

  • Laura Succi
  • Settembre 2020
  • Venerdì, 2 Ottobre 2020
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Copertina di "Pomona Italiana" di Giorgio Gallesio - Foto Rawpixel Copertina di "Pomona Italiana" di Giorgio Gallesio - Foto Rawpixel

Si può quasi dire che il conte Giorgio Gallesio soggiorni ancora nel Castello di Prasco, non lontano da Acqui Terme, appartenuto in passato ai Malaspina, ai De Regibus, agli Spinola, e passato poi ai Gallesio-Piuma, tuttora proprietari del castello.
Lì infatti è custodita la sua eredità morale attraverso evidenze ancora attuali delle sue ricerche sulla genetica e in particolare sulla scienza dei frutti registrate in documenti editi ed inediti conservati nell'archivio di famiglia.

Gallesio è noto soprattutto per la Pomona italiana, la sua impresa editoriale che raccoglie "le varietà più squisite degli alberi da frutto coltivati in Italia", dalla quale Garnier Valletti ha tratto le sue meraviglie vegetali tuttora visibili al Museo della Frutta di Torino.

Ma il Conte, da naturalista entusiasta qual era, lavora anche a molto altro, dialoga infatti per tutta la vita con il mondo scientifico pur non facendone strettamente parte, essendo prima di tutto un politico e un diplomatico.

La sua arguzia raggiunge in qualche modo anche Darwin che riconosce la validità dei suoi studi ed esperimenti sugli incroci tra specie vegetali e nel suo saggio The Variation of Animals and Plants under Domestication  lo cita in maniera esplicita: "Nel gruppo degli aranci il Gallesio osserva che il miglioramento delle differenti sorta è impedito dal loro incrociamento continuo e quasi regolare, e la stessa cosa succede in molte altre piante'".

Ma non è tutto oro quello che luccica, Gallesio, per indicare princìpi che sarebbero stati poi assodati e divennero noti a partire dalle ricerche di Mendel, si deve fare strada tra i pregiudizi di tanti suoi contemporanei.

La passione per gli agrumi

Già, gli agrumi, una passione a cui dedica il Traité du Citrus, un'opera che descrive cedri, limoni, citrangoli e melangoli (gli aranci amari), ibridi e alcuni agrumi "mostruosi" classificati e accomodati proprio secondo le sue ricerche che raccoglie nella Teoria della riproduzione vegetale.

Come si legge nel contributo di Enrico Baldini agli atti contenuti nel Giardino delle Esperidi, Edifir Edizioni Firenze, l'avventura di Gallesio inizia nel 1811 quando conosce a Parigi il celebre naturalista francese Antoine Poiteau e gli commissiona una serie di disegni.

Appena rientrato a Finale ligure (l'allora Finalborgo) dove abitava, il conte manda a Poiteau una cassa piena di frutti che arrivano a Parigi in buone condizioni, a differenza delle foglie, secche e staccate dai rami. Poiteau si mette subito all'opera e già in luglio è in grado di inviargli i calchi di prova prima della mano definitiva.

Gallesio risponde commentando con minuzia e rigore le veline, la melarosa a foglia di cedro, il cedro della China, la Peretta di San Domenico, il Limoncello di Napoli, il Pomo d'Adamo, il cedro degli Ebrei, sono una quindicina di varietà in tutto.

E così il trattato viene pubblicato nello stesso anno con il titolo di copertina Traité du citrus par Georges Gallesio, auditeur au Conseil d'état et sous-préfet à Savone. A Paris: chez Louis Fantin, libraire, quai des Augustin, n. 55 de l'imprimerie de P. Didot l'ainé".

Ma la storia non finisce qui, anzi. L'anno seguente l'artista francese comunica a Gallesio di aver iniziato nuovi disegni. E qui ha inizio una delicata questione di denaro, Poiteau in un dispaccio accenna con delicatezza al credito che nel frattempo aveva maturato.

Il Conte non risponde, per cui Poiteau risponde deciso, due mesi più tardi, nel giugno 1812, che in mancanza di notizie si sarebbe rivolto al Prefetto. Gallesio così si scuote e risponde sollecito accludendo una lettera di cambio coi soldi richiesti, 600 franchi.

Dai disegni di Parigi... 

Passa del tempo, Gallesio era impegnato nella carriera politica, in quel periodo fu Sottoprefetto a Pontremoli, poi Segretario di Legazione dell'effimera Repubblica genovese al Congresso di Vienna, e forse non aveva tempo da dedicare ai suoi interessi botanici, sta di fatto che la corrispondenza riprende solo nel 1815.

A quel punto Poiteau fa il punto della situazione e segnala a Gallesio che oltre ad aver finito alcuni disegni ne ha in sospeso almeno altrettanti che attendono retribuzione. Anche questa volta ha un argomento spinoso da gestire, la proposta di un certo Sig. Risso di Nizza, che Gallesio conosce bene scrive, di pubblicare i disegni assemblandoli in un altro modo, facendo intendere a Gallesio che il progetto era nato perché vista la carriera politica da lui intrapresa si era pensato che non si sarebbe più occupato di quel lavoro. Per togliersi dall'imbarazzo Poiteau accetta di collaborare con lui come coautore e illustratore, presentando l'opera con un altro titolo e un'altra impostazione. Scrive Poiteau "Ecco, Signore, a cosa ha portato il vostro silenzio: il Sig. Risso ed io ritenendo che voi aveste ormai abbandonato il campo siamo arrivati a un punto tale che non possiamo tornare indietro...." ma a quel punto sapendo che Gallesio era ritornato nei ranghi gli propone di sentire Risso per trovare un accordo per una pubblicazione in comune, ritagliando per sé stesso il ruolo di semplice illustratore.

Non si sa se Risso sia poi stato contattato da Gallesio, si sa però per certo che quest'ultimo scrive a Poiteau dopo più di un anno saldando i conti in sospeso e facendosi spedire i diciannove "disegni di Parigi", così come si trovavano, "per servire alla Pomona". Pure questa volta, annota meticolosamente, come suo solito, precisi commenti sulle diciannove tempere. Del Chinotto mirtifoglio scrive "Questo disegno è appena cominciato e consiste nella cima di un ramo con tre fiori e quattro germogli laterali. Il resto non è neppure disegnato. La cima finita manca dell'ultima mano nel colorito". Ma la maggior parte dei disegni è già ultimata.

Il risultato è che Risso e Poiteau pubblicano come preannunciato la loro opera, fatta di 280 pagine di testo e 110 illustrazioni a colori mentre Gallesio va avanti per la sua strada reclutando il pittore genovese Domenico Del Pino e le pittrici fiorentine Rachele Cioni e Isabella Bozzolini per completare le tavole di Parigi.

... Ai giorni nostri

Il tempo passa senza che il lavoro giunga a una soluzione tuttavia si ha notizia di una sua visita nel 1831 all'Orto Botanico di Torino alla ricerca del melangolo a foglia bilobata, il Citrus histrix dei botanici, dalla buccia dall'intenso profumo di rosa, che prende il nome comune di Combava e pure in quell'occasione finisce per contestare la classificazione accademica non riuscendo a spiegarsi per quale ragione e per quali caratteri i botanici l'avessero distinta dal comune melangolo (Citrus aurantium).

Non ci sarà una seconda edizione del Traité. Gallesio non arriva a pubblicarla come sperato, tuttavia ripropone alla comunità scientifica la sua teoria della riproduzione vegetale applicata agli agrumi dei Giardini Granducali e alle loro collezioni istituite fin dal tempo dei Medici pubblicando l'opuscolo intitolato proprio Gli agrumi dei giardini botanico-agrari di Firenze, diffuso in allegato alla Pomona Italiana.

Tanto per aggiungere un pizzico di storia, la più antica descrizione di una pianta di agrumi pervenutaci in una fonte occidentale è quella del libro De Causis Plantarum di Teofrasto (circa 310 a.C.). L'autore probabilmente la osserva in Asia Minore dove si trovava al seguito di Alessandro Magno e la riporta con il nome di Malus Persica o Malus Medica. La precisione della descrizione non lascia dubbi sul fatto che si tratti di un cedro (Citrus medica L.), con ogni probabilità la prima specie di agrume ad essere stata portata in Europa dalla Cina o dall'India.

Per inciso, agli agrumi fascinosi non restò insensibile nemmeno il Duca di Savoia Vittorio Amedeo II che portò in Piemonte dalla Sicilia - di cui fu Re nel 1713 - le sue adorate piante di Bergamotto, piante che nella bella stagione fecero poi gran mostra di sé, in grandi vasi di terracotta, nei famosi giardini del Duparc, preziosità e vanto della Reggia di Venaria Reale. Il Duca amava tanto l'essenza di bergamotto che sull'onda della moda creata alla corte di Luigi XIV, tra i fasti di Versailles, era solito donarla ai suoi ospiti. Così nello shop della Venaria Reale - anche online - è sempre disponibile la "sua" Linea Bergamotto: essenza, bagno&doccia, saponetta, balsamo corpo e profumo.

 

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