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L'impero del disordine, secondo Giorgio Nebbia

Nel settembre del 1985, Giorgio Nebbia - pioniere dell'ambientalismo italiano recentemente scomparso all'età di 93 anni - scrisse per Piemonte Parchi un articolo visionario sull'ecologia, saldamente intrecciata allo sviluppo della pace, dello sfruttamento delle risorse naturali, della maniera disordinata con cui sono fatte crescere, nel territorio, le case, le fabbriche, le città. Lo riproponiamo a oltre 30 anni di distanza, sorprendendoci di quanto oggi sia ancora attuale. 

  • Giorgio Nebbia
  • Settembre 1985
  • Martedì, 9 Luglio 2019
L'impero del disordine, secondo Giorgio Nebbia

Il dibattito ecologico di questi ultimi vent'anni ha offerto varie occasioni per approfondire i rapporti fra le risorse naturali, il lavoro umano, gli oggetti materiali, il loro uso. La vita, sia dei vegetali, sia degli animali, e pertanto degli esseri umani, è possibile soltanto attraverso l'uso di "cose" materiali che vengono scambiate tra i vari membri e territori delle comunità (ecos) ecologica.

Già molti anni fa alcuni ecologi parlarono di "merci ambientali" – naturalmente scambiate senza passaggio di denaro – riferendosi al fatto che le piante verdi "comprano" energia dal Sole e anidride carbonica dall'atmosfera per "fabbricare" le sostanze organiche vitali; gli animali "comprano" l'ossigeno dall'aria per bruciare gli alimenti ottenuti dai vegetali o da altri animali e liberare l'energia vitale.

Nel caso degli esseri umani qualsiasi manifestazione della vita fisica – il soddisfacimento dei bisogni di cibo, di abitazioni, di calore, di movimento – ma anche della vita intellettuale ed affettiva – il soddisfacimento di bisogni di conoscenza, comunicazione, salute, e anche felicità – richiede la disponibilità e lo scambio di cose materiali, oggetti, macchine che, pertanto, sono le uniche cose veramente importanti.

Nella nostra società civile le pietre e i minerali, tanto per fare un esempio, sono tratti dalla natura come "merci ambientali" gratuite, ma sono pagati al proprietario della cava, come "merci economiche".

Tutte le materie prime e merci economiche sono tratte, direttamente o indirettamente e gratis, dalla natura, ma hanno un prezzo perché una persona posiiede un campo o una nuova cava o il terreno sotto cui si trova il carbone, il petrolio, il minerale.

Non solo: il ciclo di ciascuna merce, che comincia dalla natura e passa attraverso un processo di trasformazione, continua anche dopo il "consumo". Le merci, infatti, non sono "consumate", ma restano cose, costituite da atomi di carbonio, calcio, idrogeno, eccetera, e dopo essere state "usate" dagli esseri umani, continuano a essere beni materiali, anche se spesso in una forma diversa.

La cellulosa, per fare un altro esempio, è sempre la stessa dal momento in cui è stata "fabbricata" attraverso la fotosintesi nell'albero, a quando l'albero è stato tagliato e poi trasformato, nella cartiera, nella carta venduta dal tipografo. Era cellulosa quando la carta è stata stampata e nel momento in cui il giornale è stato letto direttamente ed è ancora cellulosa quando il giornale, dopo pochi minuti, è gettato nel cestino. La cellulosa del giornale usato adesso è stata buttata via, rifiutata, è diventata "rifiuto" e fonte, prima o poi, di inquinamento.
A meno che le condizioni del mercato "economico" non spingano qualche imprenditore a recuperarla non per amore della natura, ma perché riesce a trarre un profitto dall'uso della carta straccia come materia prima al posto dell'albero.

Più in generale, le alterazioni ecologiche, gli inquinamenti, l'impoverimento delle risorse naturali possono essere compresi soltanto riconoscendo e ricostruendo il carattere "naturale" del ciclo vitale degli oggetti e delle merci economiche.

Per la maggior parte della storia umana, il ciclo delle merci non ha disturbato in maniera apprezzabile gli equilibri dei cicli chiusi che caratterizzano il "funzionamento" della natura.

I cicli naturali hanno cominciato a essere alterati da quando le innovazioni tecniche hanno prodotto crescenti quantità di merci, spesso sostanze sintetiche, non degradabili dalla natura, quando si è cominciato a sfruttare intensamente e su larga scala le acque, il suolo, le foreste, a estrarre rapidamente i combustibili fossili e i minerali.

Da una parte, si è manifestata una perdita della fertilità del suolo, l'erosione, l'impoverimento delle riserve di acqua e minerali, la diminuzione della capacità dei boschi e della vegetazione di rigenerare i gas dell'atmosfera.

Dall'altra parte, lo smaltimento rapido, al minimo costo possibile, di crescenti quantità di scorie, di residui di produzione, di merci usate, ha provocato i fenomeni di inquinamento dei fiumi, del mare, dell'aria, con aumento delle malattie, anche con costi monetari crescenti, pagati a più caro prezzo dalle classi meno abbienti.

La rottura dei cicli naturali, insomma, si è verificata su larga scala e con effetti macroscopici quando la produzione di merci è stata accelerata non per soddisfare meglio le necessità umane, ma perché le regole economiche di questa società impongono di aumentare la circolazione del denaro che è associata alla circolazione delle merci.

Continua a leggere su Piemonte Parchi n. 7 – pag 3

 

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