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Quando una scimmia diventa uomo... e viceversa

«Una piena rinuncia a ogni ostinazione è stato il primo comandamento che mi sono imposto; io, che ero una scimmia libera, mi sono adattata a questo giogo». Sono queste le prime parole del protagonista del racconto di Kafka 'Una relazione per l'Accademia', portato a teatro lo scorso dicembre dalla compagnia Marcido Marcidorjs e interpretato da Paolo Oricco

  • Emanuela Celona
  • Gennaio 2017
  • Martedì, 10 Gennaio 2017
Quando una scimmia diventa uomo... e viceversa

Un monologo complesso quanto penetrante che narra la storia di un Uomo impegnato a raccontare la sua precedente vita di Scimmia davanti ai convenuti dell'Accademia è quanto racconta il monologo di Kafka intitolato 'Una relazione per l'Accademia', portato a teatro lo scorso dicembre dal'attore Paolo Oricco sotto la direzione di Marco Isidori della compagnia Marcido Marcidorjs, già segnalati dal Premio Ubo 2016 come una delle novità "teatrali" più belle del 2015 per l'apertura a Torino, in un quartiere ad alta densità multietnica, di Marcidofilm!, il teatro dei Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa.

Un compito difficile, quello del protagonista di Kafka, che ha preferito abbandonare la sua origine e i ricordi di gioventù. Difficile raccontare la sua vita di Scimmia, e il perché «nel mondo degli uomini mi sentivo sempre più a mio agio, sempre più compreso», recita il protagonista che rivolgendosi alla platea accademica aggiunge: «La vostra natura di scimmia, signori, per quanto possiate averne una dietro di voi, non può esservi più lontana di quanto la mia lo è da me stesso».

E la performance di Paolo Oricco, una scimmia la ricorda per davvero: nel modo di aggrottare le sopracciglia, di muovere la bocca, di saltellare su se stesso, nel mostrare la lingua. Ma cosa passa nella mente di un'animale quando si trasforma in un essere umano? Lo abbiamo chiesto all'attore che ci ha provato, interpretando il protagonista del racconto di Kafka in una magistrale interpretazione.

La scimmia di Kafka si risveglia ferita, dentro una gabbia dopo essere stata catturata in una spedizione di caccia. Quale sensazione può provare un essere vivente a non avere vie d'uscita?

Credo che lo sgomento e la disperazione di un animale selvatico di fronte all'improvvisa cattività siano per noi inimmaginabili.
L'uomo, per reagire alle situazioni (persino a quelle più drammatiche e sconosciute) ha un'arma che la bestia non possiede: il linguaggio e le sue articolazioni culturali.
Grazie a esso possiamo decifrare, nominandolo, anche ciò di cui facciamo esperienza per la prima volta, esorcizzando così, pur nell'estrema sofferenza, lo smarrimento e il terrore che sempre porta con sé l'ignoto.

Per cercare una via d'uscita, il protagonista smette di essere una scimmia e comincia a imitare gli esseri umani. Sputare, fumare la pipa, bere grappa e perfino parlare: quale valore hanno queste conquiste per il protagonista del racconto?

"Una relazione per l'Accademia" è un testo che esemplifica tutto lo svolgersi della poetica kafkiana; una poetica che, con stile originale e rivoluzionario, ha raccontato l'umanità attraverso i temi di un grottesco iperbolico e, soprattutto, feroce.
Questa scimmia, che osservando dalla sua prigione gli uomini dell'equipaggio muoversi indisturbati (liberi?), e decide di imitarli nella speranza, una volta divenuta come loro, di ottenere lo stesso ambito "premio", altro non è se non il vettore di uno sguardo appuntato sul "tragico/ridicolo" (quindi sul grottesco), proprio della condizione umana.
Non è certo un caso che le prime imit/azioni di Pietro il Rosso durante il suo percorso metamorfico siano sputare, fumare e bere la grappa: inessenzialità pure, appunto!

Alla fine del monologo, la scimmia/uomo è consegnata a un domatore. Preferisce dedicarsi al varietà piuttosto che rimanere in uno zoo. Secondo lei, è felice di essersi «imboscata» in questo modo? E perché secondo lei la scimmia di Kafka non fugge?

Il processo di trasformazione della scimmia in un perfetto esemplare (tipo) di uomo moderno medio non poteva certo passare attraverso la fuga; questo suo "imboscarsi" è un atteggiamento nel quale ognuno di noi, ahimè, può riconoscersi: quante volte, per essere accettati dal consorzio dei nostri simili, siamo costretti a tradire in qualche modo la nostra più intima natura.
Spesso questo avviene inconsciamente, si vive un disagio senza riuscire a individuarne l'origine; quando però si riesce a prenderne coscienza, una via d'uscita può esserci: per me è stata l'arte del palcoscenico.

Qual è, dal suo punto di vista,  la condizione migliore: quella di scimmia o di essere umano?

E chi lo sa? La curiosità verso ciò che non conosco mi farebbe rispondere d'impeto: quella di scimmia!
Tuttavia, leopardianamente, ritengo siano, uomini e scimmie, entrambi soggetti al divenire, e dunque, in sostanza, i loro destini si equivalgono.

Quanto è difficile (o facile) per un attore immedesimarsi in una scimmia?Quanta preparazione e quanto studio ha richiesto?

Quando la compagnia affronta una nuova opera, ciò che conduce l'interprete Marcido, ogni volta guidato dalla geniale regia di Marco Isidori, all'immedesimazione con il personaggio che deve interpretare è un lavoro estremamente approfondito e puntuale sulle potenzialità ritmico/musicali (oltre che espressive) delle parole del testo.
Anche se in questo caso (ed è la prima volta) si è trattato di un animale, la via è stata la stessa: un viaggio impervio ed eccitante alla scoperta della lingua di Kafka, è lei che costruisce il protagonista del monologo.
Per restituire invece la fisicità, chiamiamola scimmiesca, necessaria al compimento di quest'ardita metamorfosi, di grande ispirazione è stato il trucco che Daniela Dal Cin ha studiato per Pietro il Rosso: sono stati lo shock iniziale della visione allo specchio del mio volto trasfigurato e una sua successiva intensa e lunga osservazione, a suggerirmi le espressioni e i movimenti che tanto hanno "impressionato" il pubblico per la verosimiglianza e la naturalezza della mia trasformazione.

Qual è il suo rapporto con la Natura?

Essendo un artista della scena è naturale che io sia irrimediabilmente attratto dagli altri e dunque, per me, la città ha delle energie fortissime, vitali.
Ciononostante, altrettanto forte è il desiderio di procurarmi dei periodi di "ritiro" per trovare uno spazio dove lo sguardo, l'udito e il "sentimento" non siano continuamente distratti, ma possano finalmente concedersi alla concentrazione e alla contemplazione.
Proprio in questo momento mi trovo in alta montagna, in Val Varaita, dove da sempre la compagnia ha il suo luogo d'elezione per allontanarsi dal mondo: il "Marcido Village", una piccola e isolata borgata immersa nel verde.
La percezione di essere in un Luogo e non in uno spazio che debba essere consumato, è sorprendentemente rigenerante.
Tuttavia gli elementi che su di me esercitano il maggior magnetismo sono il caldo e l'acqua, e allora ecco che a ogni inizio d'estate, insieme al fido Leon (un segugio di circa quattro anni dal grande cuore nobile), parto alla ricerca di luoghi remoti, preferibilmente mediterranei, dove potermi concedere lunghi e lussuriosi bagni di sole, di mare e di pensiero...

Sarà riproposto il monologo nel Calendario degli spettacoli?

Oltre alla consueta tournée nazionale, a Torino lo spettacolo sarà nuovamente inserito nel cartellone della prossima stagione di Marcidofilm.

 

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