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La segale, ecotipi locali per sfide globali

La segale accompagna la storia dell'umanità da migliaia di anni ed è di grandissima importanza in molte aree d'Europa. Dal Medioevo è il cereale più diffuso in Scandinavia, grazie alla sua resistenza ai climi freddi e per lo stesso motivo fino agli '50 del XX secolo era la coltivazione dominante in molte valli alpine. Oggi numerose varietà locali sono perdute o non sono più competitive, ma il loro corredo genetico è ancora uno scrigno di caratteristiche formidabili che potrebbero essere di grande importanza in caso di crisi alimentare.

  • di Francesco Garello e Martino Adamo
  • Martedì, 1 Marzo 2022
Ecotipi locali di segale messi a confronto con varietà moderne e frumento, per raccogliere dati sulla diversa morfologia e le proprietà nutraceutiche delle farine prodotte nel campo sperimentale dell'Università di Torino allestito in collaborazione con il Parco delle Alpi Marittime | Foto M. Adamo Ecotipi locali di segale messi a confronto con varietà moderne e frumento, per raccogliere dati sulla diversa morfologia e le proprietà nutraceutiche delle farine prodotte nel campo sperimentale dell'Università di Torino allestito in collaborazione con il Parco delle Alpi Marittime | Foto M. Adamo

Oggi siamo abituati a pensare alle terre alte soprattutto come attrattiva turistica, ma nei secoli il paesaggio montano ha conosciuto diversi momenti di splendore sociale ed economico. Come ha scritto lo storico francese Jules Michelet: "le Alpi sono il serbatoio dell'Europa, il segreto della sua fertilità. Ospitano il teatro degli scambi..." e questo è stato certamente vero in alcune epoche storiche.

Prima della rivoluzione verde degli anni '60 non era insolito vedere campi coltivati sui pendii montani. Laddove oggi prevalgono prati, pascoli oppure boschi ed arbusti, alcuni decenni fa era facile trovare orzo, segale, fave o patate. In molti casi si è persa traccia e memoria di questi antichi appezzamenti e dell'importanza che per secoli hanno avuto per le popolazioni montane.

Tra queste colture di alta quota un ruolo importante lo ha avuto la segale (Secale cereale L.) che prima di approdare sulle Alpi ha accompagnato la storia dell'uomo attraverso secoli e paesaggi nutrendo culture e tradizioni.

La lunga strada della segale

Coltivata da tempi antichissimi le sue prime tracce si trovano in Asia minore da dove è iniziato il lungo percorso di domesticazione che l'ha portata poi in tutta Europa e soprattutto in quelle aree dove clima rigido e terreni poveri rendevano difficile la coltivazione di altri cereali. Rispetto a questi, infatti, la segale ha una migliore resistenza alle basse temperature, si adatta meglio a terreni difficili e ha un ciclo di crescita più rapido. Tutti elementi che la rendono una risorsa importante in ambienti ostili e freddi. Per secoli la segale ha goduto di una certa fortuna, soprattutto nel nord Europa e nelle zone montane dove costituiva la base alimentare di intere popolazioni, ma non solo: nelle Alpi era utilizzata anche come materiale isolante e per la costruzione di tetti e di piccoli oggetti: dai basti dei muli, ai cappelli, dalle arnie e alle sedie.

Con l'abbandono delle montagne nella seconda metà del XX secolo e con il miglioramento delle condizioni di vita e delle tecnologie agrarie la segale ha perso la sua centralità anche per quei territori montani per i quali ha costituito per secoli la base della dieta e dell'economia. Secondo i dati ISTAT nel 2019 gli ettari di territorio italiano coltivati a segale erano diminuiti da decine di migliaia a poco meno di quattromila.

La riscoperta e il suo valore

Negli ultimi anni, però questo antico passato è stato riscoperto e celebrato da nord a sud della penisola con numerose iniziative come la comunità della segale in Lombardia, il rilancio dello jurmano, la segale calabrese che nel nome dialettale porta traccia degli antichi importatori germanici e alla segale è stato anche dedicato un museo diffuso sulle Alpi Marittime in Piemonte. Oltre al valore storico e culturale che spinge questa riscoperta, recenti studi scientifici si sono concentrati su questo cereale per capire il ruolo della diversità genetica nell'affrontare le sfide legate al cambiamento climatico e alla necessità di nutrire una popolazione mondiale in continua crescita.

La perdita di varietà

Come ogni pianta alimentare anche la segale è andata incontro a un lungo processo di domesticazione - prima - e di selezione poi. Per secoli gli uomini hanno selezionato per ciascuna delle circa 6000 diverse piante coltivate in tutto il mondo le qualità che meglio si adattavano alle loro necessità. In natura la varietà genetica all'interno di una stessa specie può essere molto ampia, ma il massiccio intervento di selezione da parte dell'uomo ha fatto sì che per la maggior parte delle colture questa si sia drasticamente ridotta. Questo processo ci ha permesso di avere coltivazioni più efficienti e adatte alle richieste sempre più esigenti di un mercato in espansione e di un tipo di consumo orientato alla rapidità e alla standardizzazione contribuendo anche a migliorare la nostra alimentazione e la nostra qualità di vita, ma ora rischia di diventare un grosso problema. L'omogeneizzazione delle sementi e delle piante è, infatti, una minaccia per la sicurezza alimentare. La biodiversità è ciò che ci permette di avere piante resistenti a shock e stress improvvisi, compresi gli effetti del cambiamento climatico. Più varietà abbiamo di una certa pianta più siamo protetti in caso di eventi negativi che ne pregiudicano la crescita, perchè aumenta la probabilità che qualcuna di queste varietà sia in grado di resistere alle malattie o al mutamento delle condizioni superando indenne la fase di crisi.

A questo processo di impoverimento genetico non è sfuggita neppure la segale. La sostituzione delle qualità locali con altre selezionate e più efficienti ha sensibilmente ridotto il pool genetico delle varietà moderne con conseguenze negative su diversi aspetti come la resistenza all'inverno o a certe malattie.

Dagli ecotipi locali alle sfide globali

Secondo la FAO per far fronte alle imminenti sfide del cambiamento climatico e della sicurezza alimentare è fondamentale cercare di preservare la diversità mediante la conservazione e il recupero delle varietà autoctone. Queste varietà sono spesso molto bene adattate alle condizioni ambientali in cui vengono coltivate per decenni, formando quelli che vengono detti ecotipi.

Un team dell'Università degli Studi di Torino ha studiato la varietà genetica degli ecotipi di segale coltivati sulle montagne di Piemonte e Valle d'Aosta, dove questo cereale è stato utilizzato tradizionalmente e dove si sono individuate varietà locali conservate grazie alla tenacia di alcune famiglie che ancora si dedicano alla loro coltivazione.

Il corredo genetico di queste varietà è risultato sensibilmente distante da quello delle varietà più diffuse e commerciate, differenze che sembrano essere correlate alle proprietà nutritive e alla resistenza al freddo. Un aspetto, questo, che potrebbe rivelarsi fondamentale in un contesto di cambiamento climatico e che suggerisce che il fenomeno di omogeneizzazione delle culture può ancora essere invertito.

Per evitare che questa ricchezza venga persa serve uno sforzo come quello fatto dalle famiglie che hanno conservato gli ecotipi della segale e di tutti coloro che lavorano per riscoprirne usi e varietà. Questi dati riconoscono l'enorme utilità dell'attività che in tutto il mondo coltivatori locali stanno facendo per difendere e conservare le proprie sementi tradizionali, dalle quali potrebbero arrivare le risposte alle future crisi. Ancora una volta il ruolo dell'uomo sarà fondamentale: se saremo in grado di intervenire in maniera appropriata e con le giuste politiche potremmo recuperare un po' di quella ricchezza di varietà che per secoli ci siamo impegnati a ridurre.

 

Nelle foto in galleria: Spighe di segale in spigatura (foto M. Adamo)

 

 

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