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Gli antichi meli del Piemonte

Ogni mela è molto di più di un semplice frutto: "Mangiandola, mangiamo la pioggia, le nuvole, tutti gli alberi che hanno portato alla nascita della pianta da cui è spuntata, nonché le lacrime, il sudore, i corpi e i respiri delle innumerevoli generazioni di animali, piante e persone che, a loro volta, sono diventati la pioggia, l'humus e il vento che hanno nutrito il melo". Così scrive Will Tuttle, saggista e attivista statunintese: un pensiero che si sposa perfettamente con la storia degli antichi meli dei Piemonte. 

  • Caterina Gromis di Trana
  • Febbraio 2021
  • Mercoledì, 17 Marzo 2021
Foto C. Gromis di Trana | Disegno p.g.c. M. De Maistre  Foto C. Gromis di Trana | Disegno p.g.c. M. De Maistre

 

Anche se sapessi che la fine del mondo è per domani, io andrei ancora oggi a piantare un albero di mele.
(Lutero)

Dopo la guerra nessuno le voleva più, perchè evocavano i tempi grami in cui nelle campagne si sopravviveva a polenta e mele. Negli Anni '50 e '60 del secolo scorso, le mele trovarono terreno fertile, anche dal punto di vista psicologico, per l'avvio della cosiddetta frutticoltura industriale, basata sulla selezione di un ridotto numero di cultivar che garantissero abbondanza e continuità di produzione, uniformità di calibro e medie-grandi dimensioni. La tecnologia sempre più avanzata, per ottimizzare il raccolto con il tempo, ha permesso di selezionare, grazie a porta innesti di taglia medio piccola o nana, alberi di taglia ridotta capaci di entrare in produzione fin dal primo anno dopo l'impianto. Così si è modernizzato il mercato, per garantire una diffusione capillare del prodotto e prezzi accessibili.

In parallelo un drappello di appassionati ha continuato a coltivare una cultura alternativa, che dà importanza alle qualità organolettiche, al raccolto eseguito al giusto punto di maturazione, al "buono quando c'è" piuttosto che al "bello sempre". I cosiddetti frutti antichi confermano il valore del territorio come patrimonio culturale da scoprire anche attraverso gli alberi. Queste piante, man mano che passano gli anni, trasformano il paesaggio, evocandonde un passato intimo e armonioso, e arricchendolo in estetica e biodiversità.

Eva e la mela sono stati il primo grande passo verso la scienza sperimentale.
(James Bridie)

La scienza ha coniato la parola "biodiversità", molto usata e spesso abusata nel nostro Universo ancora in gran parte inesplorato. Le piante che sono state classificate sono più di un milione, oltre a diecimila specie gli uccelli, più di cinquemila i mammiferi... e via dicendo per anfibi, pesci, insetti, molluschi e microrganismi. Le specie viventi conosciute sono circa tre milioni e si stima che quelle ancora da scoprire siano dieci volte più numerose, con il rischio di estinguersi ancora prima di essere classificate, a causa dei ritmi vertiginosi con cui l'uomo sta cambiando l'ambiente.

In botanica gli studiosi fanno i conti con doppie e triple registrazioni per la stessa specie, dovute al fatto che la classificazione proposta da Linneo oggi è sottoposta a una profonda riorganzzazione, centrata su nuovi criteri biologici e genetici. Il milione di piante registrate (escluse le alghe e le felci) dopo la revisione degli ultimi anni, è destinato a ridursi a poco più di 400.000 specie: il patrimonio vegetale è minacciato non solo dalla crisi degli ecosistemi come quello della foresta amazzonica, ma perché le necessità dell'alimentazione umana portano sempre di più verso coltivazioni estensive di poche specie e varietà altamente produttive. Quando si impianta un frutteto con questo critrerio si intaccano gli equilibri ambientali di una nicchia ecologica: batteri, insetti e muffe possono prendere il sopravvento e mettere a repentaglio tutto il raccolto, e di conseguenza sono necessari biocidi e trattamenti. E' un circolo vizioso: per avere frutti grandi, non bacati e numerosi, la strada obbligata passa attraverso cure spietate e una visione in cui le piante, ridotte a oggetti da reddito, vengono private della loro essenza culturale e vitale, e della loro storia.

Ogni mela rappresenta molto di più! Mangiandola, mangiamo la pioggia, le nuvole, tutti gli alberi che hanno portato alla nascita della pianta da cui è spuntata, nonché le lacrime, il sudore, i corpi e i respiri delle innumerevoli generazioni di animali, piante e persone che, a loro volta, sono diventati la pioggia, l'humus e il vento che hanno nutrito il melo. Quando riflettiamo su una mela, vediamo l'universo intero.
(Will Tuttle)

Le piante da coltura industriale non possiedono geneticamente resistenze o tolleranze ai patogeni e non possono esimersi dai trattamenti agrosanitari massicci né dell'irrigazione. Le varietà antiche rappresentano la forza, ricordano quei vecchi che raccontano di quando andavano ancora bambini a portare le bestie al pascolo e dormivano senza caloriferi con le finestre piene di spifferi, scuotendo la testa davanti ai bambini di oggi, allevati con doppi vetri e tv. Le buone pratiche prevedono un solo accorgimento per i nuovi impianti: che il terreno sia stato per un po' a riposo. I trattamenti sono limitati e funzionano bene le trappole a base di ormoni femminili del verme del melo, che attirano i maschi e impediscono così al parassita di proliferare. I fruttiferi locali, per natura adatti al posto e al clima, sono robusti, e non richiedono irrigazione né concimi speciali. Se si ha costanza i risultati sono da museo a cielo aperto.

Ne è un esempio in Piemonte la scuola Malva Arnaldi di Bibiana i cui campi sperimentali, quando gli alberi sono carichi di frutti, fanno venire in mente il Museo della Frutta di Garnier Valletti a Torino.
Lì un ceroplasta ottocentesco di straordinarie capacità ha reso immortali centinaia di frutti oggi spariti, in parallelo al preciso lavoro di disegno e catalogazione eseguito nel suo stesso tempo dai fratelli Roda, i giardinieri della casa reale, da pochi anni recuperato e raccolto in un prezioso volume curato da Elena Accati e Agnese Fornaris, Il giardino dei frutti perduti.

La scuola Malva, diventata un'eccellenza del Piemonte nel campo della conservazione della biodiversità, ha un angelo custode storico, presente e discreto: è un "uomo che piantava gli alberi "alla Giono e per tutta la vita ha raccolto antiche varietà di alberi da frutta ed è alla sua ricerca che si deve gran parte delle piante madri della scuola. Bartolomeo Gottero, che a maggio compirà 91 anni, nell'ultima edizione di Tre giorni per il giardino a Masino, organizzata prima della pandemia, stava come sempre in disparte, attento e arguto, nel gazebo costruito con un'armonica disposizione delle piante del suo viviaio. I numerosi "venerdì" non gli permettono più la velocità di azione di un tempo ma, con spirito sempre indomito, quel giorno aveva messo a disposizione del pubblico i suoi biglietti da visita più recenti, dove era sottolineato il suo titolo: "Giardiniere di settantennale esperienza". Chapeau! Sua figlia Valeria oggi manda avanti il vivaio di Alpignano, dove lui è sempre in pista con testa cuore e idee. Da sempre cacciatore di piante, ha fatto tesoro del suo mestiere di vivaista e giardiniere, che lo portava di casa in casa, di cascina in cascina, di villa in villa, raccogliendo marze per tutto il Piemonte, innestando e ricreando paesaggi armoniosi.

Aziende agricole e privati hanno raccolto un po' dappertutto il suo testimone, dal Pinerolese alla Valpellice alla Valsesia, dalle Langhe al Roero al Monferrato: le mele antiche piemontesi sono diventate presidi Slow Food, dalla Grigia di Torriana tondeggiante e leggermente schiacciata, gialla, ruvida e rugginosa, alla Buras, parente delle grigie ma più simile alle renette; dalla Runs di colore rosso vino con la buccia lucente, alla Gamba Fina rossa scura con la polpa bianca; dalla Magnana piccola e rossa, alla Dominici grande, un po' allungata, gialla e leggermente ruvida; dalla Carla piccola, irregolare, giallo-paglierino screziata di rosa, alla Calvilla bella, aromatica, profumata, delicata.
Una caratteristica più o meno comune a tutte è quella di conservarsi a lungo e di diventare più saporite e aromatiche con il passare del tempo.

Puoi contare quanti semi ci sono in una mela, non quante mele ci sono in un seme
(Proverbio)

La classificazione sistematica non è semplice e manca un serio programma di ricerca a livello nazionale che possa essere punto di riferimento per la catalogazione genetica delle diverse varietà.
E' abitudine diffusa sostituire il nome ufficiale con una denominazione di fantasia assegnata a livello locale: il fascino di queste nomenclature regionali, provinciali, a volte paesane è enorme, ma dal punto di vista scientifico il rischio di sinonimie è molto alto. E se poi ci si mettono anche le varietà nate da seme, che se moltiplicate per talea danno origine a nuove cultivar a se stanti, il mondo dei frutti antichi rischia di diventare iper affollato. Per incominciare bisognerebbe stabilire una data che faccia da spartiacque tra frutti antichi e moderni. Nel bell'Atlante dei frutti antichi in Italia (edagricole 2010) è proposto il 1928, perché l'instaurarsi dell'era fascista ha ridotto drasticamente l'importazione di piante dall'estero. Che si inizi da lì o dalle antiche mele selvatiche del Kazakistan, è una ricerca appassionante, che fa venir voglia di seminare.

 

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