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Le nostre impronte sul pianeta

Grazie a un progetto di teledidattica dell'Università di Torino gli studenti imparano a conoscere e applicare i concetti di impronta ecologica e agricoltura circolare.

  • Alessandro Paolini
  • Maggio 2020
  • Lunedì, 1 Giugno 2020
 Uno dei più antichi esempi di agricoltura circolare: il connubio tra zootecnia e castanicoltura - Foto G. Beccaro Uno dei più antichi esempi di agricoltura circolare: il connubio tra zootecnia e castanicoltura - Foto G. Beccaro

L'uomo consuma (e spesso spreca) le risorse naturali ad una velocità che la Terra non è in grado di sostenere. Per questo motivo diventano importanti e sempre più centrali due parole chiave: impronta ecologica e economia circolare.

Impronta ecologica, la nostra "orma" sulla Terra

Il segno del nostro passaggio su questo pianeta possiamo davvero immaginarlo come l'orma di un grande piede sulla sabbia bagnata. Per calcolare quant'è grande quest'orma occorre prendere in esame le abitudini di ciascuno di noi in fatto di scelte alimentari, quantità di rifiuti prodotti, superficie di suolo occupato, abiti o altri beni acquistati, energia consumata, anidride carbonica emessa in atmosfera.

Si ottiene così l'impronta ecologica che, se aumenta troppo a livello globale, mette a rischio la salute della Terra, perché quest'ultima non riesce a rigenerare tutte le risorse naturali da noi consumate.

I rifiuti come grande opportunità per l'ambiente

C'è chi utilizza i kiwi troppo piccoli per produrre aceto pregiato, chi dalle bucce di cipolla estrae colori naturali, chi – ancora - fa birra dagli scarti del pane, mobili dai residui dei fichi d'India, cuscini ortopedici dai nocciòli di ciliegie, vernice con uova e latte. E' l'economia circolare, bellezza! Un sistema di produzione di beni basato sul recupero dei materiali "di scarto". In questo modo la vita di un oggetto non è destinata a concludersi quando lo buttiamo via ma può proseguire in altre forme. Diminuzione degli sprechi e dell'inquinamento ambientale sono le conseguenze principali di questa impostazione, cheè possibile adattare anche al mondo dell'agricoltura: in questo caso si parla di agricoltura circolare.

Il primo esperimento di agricoltura circolare è considerato quello dei biologi Daniel Janzen e Winnie Hallwachs che nel 1997 fecero scaricare circa 12.000 tonnellate di polpa e bucce d'arancia, scarti di produzione, all'interno di un'area naturale della Costarica (la Guanacaste Conservation Area) per poi scoprire, sedici anni più tardi, che la montagna di rifiuti si era trasformata in una fitta vegetazione tropicale, costituita da specie diverse e non presenti in precedenza.

L'agricoltura è terreno fertile per l'economia circolare. Dal settore primario arrivano reflui urbani, zootecnici, scarti alimentari e delle colture: una miniera rinnovabile per il recupero di elementi importanti per il suolo come fosforo, azoto e potassio, ma anche biogas e ammendanti. Utilizzando gli scarti agricoli è inoltre possibile ridurre le emissioni di CO2 causate dalla produzione di fertilizzanti minerali e produrre concimi e combustibili da fonti rinnovabili.

L'Italia, una volta tanto, primeggia nelle classifiche europee del riciclo, del riuso e della riparazione: da noi si creano posti di lavoro pari al 2,1% del totale dell'occupazione, al di sopra della media dell'Unione Europea che è a quota 1,7%.

Il progetto "Le mie impronte sul pianeta"

"Mettiamo in circolo nuovi modi di vedere il mondo". E' questo lo slogan con cui ricercatori e docenti universitari hanno raggiunto migliaia di studenti delle scuole primarie e secondarie di Piemonte e Valle D'Aosta nelle loro case, durante il lockdown. Attraverso laboratori multidisciplinari e lezioni online, si spiega ai ragazzi la sostenibilità nella produzione del cibo applicando i principi dell'agricoltura circolare, che intende raggiungere l'efficienza dell'uso delle risorse naturali.

E' il progetto "Le mie impronte sul pianeta – Circular agriculture 2020", ideato dal Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari (DISAFA) dell'Università di Torino e realizzato grazie al sostegno della Fondazione CRT nell'ambito del progetto Diderot.

Ecco così che vengono portati gratuitamente nelle scuole laboratori sulla circolarità e sostenibilità nella produzione del cibo e sull'impronta ecologica dell'uomo sul Pianeta, temi più che mai attuali.

La chiusura delle scuole dovuta all'emergenza sanitaria, non ha fermato il progetto ma ne ha solo modificato le forme di erogazione che sono diventate videolezioni su Youtube, una piattaforma web dedicata e un'app per smartphone.

Gli studenti apprendono la differenza tra sistemi di produzione agroalimentare lineari e circolari e capiscono che è solo dalla loro interazione e dalla condivisione degli scarti produttivi che si può ridurre l'impatto sull'ambiente.
Inoltre, attraverso il calcolo diretto dell'impronta ecologica dei propri consumi alimentari, comprendono il peso delle proprie scelte sull'ambiente, partendo da quelle effettuate in casa durante la "fase 1" dell'emergenza pandemica.

Il professore Gabriele Beccaro, Professore associato presso il DISAFA dell'Università degli Studi di Torino, è il coordinatore del progetto.

Professore, quanti studenti in teledidattica avete finora raggiunto con il vostro progetto in Piemonte?

"Oltre 8mila studenti tra i 6 e i 19 anni hanno seguito le nostre lezioni, mentre sono trenta gli istituti che hanno partecipato 'attivamente' al progetto, interagendo con i docenti. Si va da scuole che hanno dovuto confrontarsi con la difficoltà di mettere in atto la teledidattica per scarsità di mezzi a quelle che invece hanno vissuto questa modalità formativa con grande facilità".

Ci può fare un esempio di agricoltura circolare?

"Durante i laboratori i ragazzi simulano la gestione di diverse tipologie di aziende utilizzando un sistema circolare, cioè scambiandosi risorse e prodotti di scarto: i reflui zootecnici scarto dell'allevamento vengono utilizzati dal frutteto e dalla coltivazione del mais come fertilizzanti, i residui di potatura e la frutta non commercializzata vengono usati dall'impianto di produzione di biogas che a sua volta può essere utilizzato per dare energia a tutti i sistemi produttivi. La definizione che darei di agricoltura circolare è quindi quella di un modello in cui tutti i sistemi sono collegati e gli scarti di un processo diventano materie prime per un altro".

E una definizione di impronta ecologica?

"L'impronta ecologica è un indicatore che misura la quantità di risorse naturali rinnovabili utilizzate dagli esseri umani per mantenere il proprio stile di vita. In termini non accademici si può dire che è la quantità di terreno che viene occupata globalmente per produrre un determinato bene o servizio. Per produrre un chilogrammo di mele – per esempio - c'è bisogno di 10 metri quadrati di terreno (inteso come terreno con un livello di fertilità medio a livello globale)".

Perché è importante che i giovani capiscano che cosa sono l'economia e l'agricoltura circolari?

"I motivi li abbiamo tutti noi sotto gli occhi, in particolare in questo periodo. Appena gli scambi commerciali globali delle produzioni agroalimentari hanno vissuto delle difficoltà, gli approvvigionamenti a livello locale e nazionale hanno subito dei contraccolpi. Abbiamo capito quanto sia importante poter disporre di un sistema agroalimentare resiliente, che utilizza virtuosamente le risorse e materie prime di cui dispone a livello locale. Più il sistema produttivo dipende dall'esterno e più è facile che vada in crisi".

L'impronta del turismo nelle aree protette

Anche il turismo ha una "impronta ecologica" e quindi un impatto significativo sull'ambiente naturale. Viaggiando, visitando e trascorrendo la notte all'interno o vicino a un'area protetta, tutti noi generiamo emissioni di energia e di gas a effetto serra, consumiamo acqua, produciamo rifiuti e incidiamo sulla biodiversità. Il turismo, inoltre, crea rumore e può disturbare il comportamento degli animali, senza contare l'aumento dell'illuminazione notturna, che altera i naturali cicli riproduttivi della fauna selvatica, la predazione e il comportamento migratorio. E' stato calcolato che anche il settore ricettivo contribuisce alle emissioni di carbonio, con riscaldamento e aria condizionata, e che il consumo idrico ed elettrico di un turista in vacanza può essere superiore fino a 3-4 volte a quello di casa propria.

Esistono strumenti di analisi utili per misurare questi effetti. Uno su tutti è la "capacità di carico" definita dall'Organizzazione mondiale del Turismo come "il numero massimo di persone che visitano nello stesso periodo una determinata località senza compromettere le sue caratteristiche ambientali, fisiche, economiche e socio-culturali e senza ridurre la soddisfazione dei turisti". Si tratta però di un parametro che si riferisce ad un determinato momento e che va quindi integrato da un'attenzione alla sostenibilità anche nel lungo termine.

Ecco quindi che investire nel turismo verde, ad esempio adottando misure di razionalizzazione dell'ospitalità, delle attività e dei trasporti, oltre a ridurre i costi di energia, acqua e rifiuti, può aiutare a promuovere il valore della biodiversità, degli ecosistemi e del patrimonio culturale. Una direzione che dobbiamo necessariamente prendere per noi stessi e per l'ambiente.

 

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