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Il riso nel mare a quadretti che non c'è più

Un tempo si diceva che l'acqua è la culla del riso, per sottolineare l'importanza che la prima aveva per la sostenibilità del secondo. Oggi forse sarebbe più giusto invertire il detto, poiché la risaia sommersa è diventata indispensabile per gli equilibri della falda acquifera della pianura padana.

  • Nicola Scevola
  • Maggio 2019
  • Lunedì, 27 Maggio 2019
 (Foto A. Lasagna) (Foto A. Lasagna)

Allagare i campi aiuta a tenere il seme e la pianta del riso appena sbocciata a una temperatura costante, proteggendola dagli agenti atmosferici: l'acqua evita gli eccessivi sbalzi termici, cedendo il calore accumulato con il sole primaverile nelle ore notturne, come la copertina che avvolge il neonato in culla. Ma il riso che si sta diffondendo oggi somiglia più a un adolescente robusto che a un neonato indifeso: non ha bisogno della protezione della coperta idrica e può essere piantato direttamente nella terra. Così la diffusione della coltivazione in semi-asciutta, che prevede la sommersione solo quando le piante sono già spuntate, sta facendo sparire quello che i frequentatori del triangolo d'oro fra Vercelli, Novara e Pavia erano abituati a chiamare il mare a quadretti, quel paesaggio antico fatto di distese d'acqua attraversate da un'intricata rete di canali. Qui, fra aprile e giugno, le strade di campagna non somigliano più a nastri grigi sospesi fra specchi allagati. E la questione non è meramente estetica. Il fenomeno sta creando uno squilibrio idrico che indebolisce la falda e mette a rischio i raccolti.

La semplicità della coltivazione in asciutta

"Senza le risaia sommerse, l'acqua che cade in primavera va dispersa nel giro di poche settimane", sottolinea Alberto Lasagna, dirigente del Consorzio Est Sesia che gestisce le acque d'irrigazione su oltre 300mila ettari, un comprensorio che va dall'Oltre Po pavese al Lago Maggiore. "Mentre con l'innalzamento delle temperature, il territorio avrebbe bisogno di accumulare acqua nei mesi di aprile e maggio, quando è più abbondante. I metodi tradizionali di coltivazione del riso fanno proprio questo: le camere di risaia aiutano a ricaricare la falda nei mesi più secchi".
Ma i dati parlano chiaro, agli agricoltori italiani la coltivazione in sommersione piace sempre meno, tanto che circa metà del riso italiano oggi è coltivato in asciutta, una percentuale che sale al 67,5% nelle province di Pavia, Lodi e Milano. Capire il perché è facile: il sistema è stato messo a punto più di trent'anni fa per risparmiare manodopera e mezzi nella gestione della semina e dei trattamenti. A fine raccolto, la quantità d'acqua utilizzata è più o meno la stessa rispetto alla coltivazione a sommersione, così come la resa della pianta. Ma lavorare i campi asciutti è più facile di quelli fangosi del mare a quadretti. Non c'è bisogno di trattori con ruote dentate, più soggetti a usura e scomodi da trasportare, perché non possono circolare su strada. Inoltre permettono di utilizzare agenti anti infestanti più efficaci rispetto a quelli usati con il riso sommerso.
Da quando alcune delle principali molecole per contrastare gli infestanti acquatici sono state vietate, la coltivazione in semi-asciutta è diventata ancora più attraente per gli agricoltori. A partire dal 1994, i grafici dell'Ente Risi sulla diffusione della semina interrata mostrano una linea in crescita continua. "Moltissimi si stanno convertendo. Permette di usare lo stesso trattore per tutto. Questo si traduce in un risparmio di circa un operaio ogni 100-150 ettari", sottolinea Marco Romani, agronomo dell'Ente Risi. Se si insiste troppo col seminare il riso sotto terra, però, nel lungo periodo i vantaggi nella lotta agli infestanti potrebbero rivelarsi vani. "Il quadro malerbologico cambia con le due semine: da un lato si rischiano gli infestanti acquatiche, dall'altro le graminacee", spiega Romani. "Ma entrambe tendono a sviluppare resistenze alle grandi famiglie di erbicidi. Rotare la tipologia di semina a seconda del tipo di malerbe che si manifesta, permetterebbe di avere il miglior controllo rispetto a qualsiasi tecnica chimica".

Un equilibrio in bilico

La diffusione massiccia del metodo in semi-asciutta crea però problemi di scarsità a un sistema che sull'abbondanza d'acqua ha fondato la sua storia. La rete idrica, creata dal tempo delle marcite e sviluppata nei secoli con la costruzione dei Canali Cavour e Regina Elena, fino a oggi ha funzionato bene perché tarato su una richiesta spalmata nel tempo, che sfrutta la sommersione delle risaie più a monte per alimentare fontanili più a valle, permettendo in pratica di riutilizzare la stessa goccia per bagnare tre chicchi in posti diversi. Ritardare a giugno l'allagamento delle risaie seminate in asciutta crea una sovrapposizione con la bagnatura del mais, che mette a rischio questo equilibro.
Una mappatura recente della falda ha rivelato che il sottosuolo vanta fra i 750 milioni e 1 miliardo di metri cubi d'acqua. Una ricchezza immensa, sottolineano gli esperti, che andrebbe gestita al meglio. Cosa pressoché impossibile, se si lasciano le risaie asciutte fino alla vigilia dell'estate. Oggi le piante coltivate in sommersione in alcune zone sono meno del 30%. Questo dato, insieme a un inverno siccitoso, ha determinato un abbassamento della falda su tutto il comprensorio a est del Sesia: si parte da un deficit di 40-50 cm in meno nella parte alta per arrivare a 1,5/2 metri nella parte più bassa.
"Nel prossimo futuro la falda sarà l'unica arma per contrastare la risalita del cuneo salino in modo organico", avverte Lasagna. "E' come un'immensa spugna sotterranea che permette di accumulare acqua in modo ingente in tutta la pianura padana". L'alternativa sarebbe costruire uno o più invasi con una portata simile ma, considerato che la falda ha una capacità di assorbimento pari a 4 o 5 volte la diga del Vajont, si fa presto a capire che gli eventuali lavori avrebbero costi inaffrontabili da tutti i punti di vista: ambientale, sociale ed economico.
"La falda è utile a tutto il bacino del Po, però va aiutata", sottolinea il dirigente del Consorzio Est Sesia. "Per questo è fondamentale che più risaie vengano allagate ad aprile, come si è sempre fatto prima dell'avvento del riso in semi-asciutta".

La vocazione delle risaie

Certo non tutte le risaie hanno la stessa vocazione. Ci sono aree in cui la semina sommersa è fondamentale per rimpinguare la falda e alimentare le reti di colatura, altre, magari più ai margini dei consorzi, dove l'acqua arriva più difficilmente, in cui invece la coltura semi-interrata ha più senso perché il riso resiste meglio a momenti di siccità temporanea. Questo rende la pianificazione e il coordinamento fra province e regioni ancora più importante.
Il nuovo condirettore del Consorzio Est Sesia, l'ingegner Mario Fossati, ha lanciato un appello alle associazioni di agricoltori e alle istituzioni preposte affinché si crei un meccanismo di coordinamento e gli incentivi economici per invogliare gli agricoltori a coltivare il riso in sommersione. Le stime del Consorzio ipotizzano un contributo di 200-250 euro all'ettaro per permettere ai coltivatori di ammortizzare i costi più alti della coltura del riso in sommersione. Questo significa che con una cifra intorno ai 40 milioni di euro si potrebbe garantire il funzionamento di una portentosa riserva idrica sotterranea naturale. Un costo tutt'altro che sproporzionato se si pensa al beneficio che ne trarrebbe l'intero ecosistema della pianura Padana. "Il servizio reso dalla falda è inestimabile ma per adesso i nostri appelli sono caduti nel vuoto", conclude Fossati.

 

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