Stampa questa pagina

Viticoltura a Torino

La nuova vigna della regina

  • Filippo Ceragioli
  • marzo 2012
  • Venerdì, 23 Marzo 2012

Orti e vigne in collina La collina torinese si caratterizza oggi, rispetto al resto della città, come quartiere residenziale di pregio e come polmone verde grazie anche ai vasti parchi pubblici, realizzati in prevalenza nel secondo dopoguerra. Prima dell'industrializzazione e dell'espansione demografica che ha portato Torino a superare, qualche decennio fa, la soglia del milione di abitanti, la collina era però principalmente un'area agricola. Le sue produzioni, in buona parte dovute a piccoli allevamenti e colture ortofrutticole, erano destinate alla vendita al dettaglio nei mercati cittadini. Questa destinazione d'uso era favorita da un clima relativamente mite e da una orografia caratterizzata da vallette orientate in senso sud-ovest/nord-est. Queste offrono ampi versanti ben esposti a mezzogiorno e riparavano le colture dai venti settentrionali. Anche il terreno, con una diffusa presenza di sabbie silicee e calcaree e con l'affioramento localizzato di depositi fossiliferi, è in genere piuttosto adatto viticoltura. Spesso la vite veniva coltivata non in vigneti specializzati ma come "alteno", ovvero utilizzando alberature da legno o da frutto come tutori. Il vino prodotto veniva un tempo commercializzato in piazza delle Erbe (l'attuale piazza Palazzo di Città) e in seguito in piazza Carlina, che fino a metà Ottocento fu sede del mercato del vino. Accanto a queste piccole realtà produttive si collocavano in collina anche le residenze della nobiltà sabauda e della nascente borghesia. Sebbene prendessero il nome di "vigne" queste erano, come la Villa della Regina, tenute nelle quali accanto alla casa padronale trovavano posto orti, frutteti e vigneti destinati al consumo da parte dei proprietari nonché tutto il necessario per la vinificazione e la conservazione dei prodotti agricoli. Con l'urbanizzazione massiccia del Novecento e la massificazione delle produzioni alimentari le pratiche agricole in collina ebbero una rapida decadenza: l'edificato si diffuse in particolare vicino al Po e i boschi andarono ad occupare i terreni non costruibili e non più utilizzati dagli agricoltori. Il parziale recupero di alcune aree a scopo agricolo è un fenomeno recente ed è spesso legato a mercati di nicchia quali quello delle produzioni biologiche e delle forniture dirette a "chilometri zero".

Di Torino si diceva una volta (e a volte capita di sentirlo ancora, specie da quando l'attrattiva turistica della città è cresciuta) che è una "piccola Parigi", un po' per i suoi storici legami con la Francia e un po' per alcuni aspetti che la avvicinano alla capitale francese, come i caffè storici o i lunghi viali alberati che ne richiamano i boulevard ottocenteschi. Da qualche anno c'è un nuovo dettaglio che (ri)accomuna le due città: la viticoltura urbana. Al piccolo vigneto che è riuscito a resistere fin dal Medioevo nel cuore di Montmartre e le cui uve forniscono ogni anno un migliaio di bottiglie di vino, vendute poi nel corso di un'asta pubblica, Torino può da qualche anno rispondere con una moderna riproposizione della scenografica "Vigna della Regina". Vacanze e studio in collina Si tratta di un vigneto che fa parte della Villa della Regina, un complesso di origine seicentesca che servì come residenza estiva ai membri della dinastia sabauda fino a metà Ottocento. Come altre residenze collinari della nobiltà questa era infatti stata concepita non come semplice abitazione ma come un insieme organico di aree agricole, attività di trasformazione e spazi di svago e di rappresentanza. L'edificio principale è collocato al centro di una piccola conca che comprendeva, oltre al già citato vigneto, anche aree boscate, frutteti, stalle, ampi orti con gli edifici di servizio per i contadini, uno splendido giardino all'italiana con fontane e giochi d'acqua, uno scenografico viale alberato e alcuni belvedere affacciati sul vicino fiume Po e sull'arco alpino. Con l'unità d'Italia i Savoia abbandonarono la villa e alcuni degli arredi più prestigiosi furono trasferiti a Roma nel palazzo del Quirinale. L'edificio e i terreni circostanti vennero donati nel 1868 all'"Istituto Nazionale per le Figlie dei Militari Italiani", che vi allestirono la propria "Sezione Classica" per la preparazione culturale e artistica delle adolescenti anche in di un loro ingresso all'Università o all'Accademia. Durante la seconda guerra mondiale la villa venne sfollata e nel 1942 alcuni degli edifici di servizio vennero pesantemente danneggiati dai bombardamenti, così che nel dopoguerra l'istituto trasferì altrove la propria attività. La Villa della Regina cadde progressivamente nell'abbandono e nel degrado e nel 1982 la proprietà passò al demanio dello Stato. Nel 1994 iniziò un lungo e impegnativo lavoro di restauro. Vino nuovo per la Regina! Grazie alla collaborazione tra le competenti soprintendenze per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici e per i Beni Architettonici e paesaggistici, oltre alla villa propriamente detta e ai suoi giardini è stata di recente recuperata anche circa metà della superficie originariamente vitata annessa. La vigna, che aveva in origine una superficie di circa 1,5 ettari, occupa la parte settentrionale della conca ed è favorita da un'ottima esposizione a sud-ovest. L'opera di recupero è cominciata nel 2003 con l'eliminazione della vegetazione infestante che aveva invaso l'area in seguito all'abbandono della sua coltivazione nel secondo dopoguerra. L'anno successivo i lavori sono proseguiti con la risagomatura del pendio, la lavorazione in profondità del terreno e l'estirpazione delle radici profonde. Nel 2005 si è finalmente passati al reimpianto del vigneto, con la messa a dimora di quasi 3000 barbatelle (viti innestate). La scelta del vitigno è stata fatta con la collaborazione dell'Istituto di Virologia Vegetale di Torino (CNR): per la maggior parte si tratta di piante di fresia, tipica della collina torinese e chierese. Accanto a questo vitigno sono però state anche utilizzate circa 150 piante di vitigni tradizionali, ormai di interesse principalmente sperimentale, come cary, grisa roussa, neretto duro e balaran. Nel 2008 c'è stato poi l'affidamento della conduzione del vigneto e la vinificazione all'azienda agricola Balbiano di Andezeno, da quasi un secolo attiva nella produzione di un'ottima freisa. La prima vendemmia (2008) ha prodotto circa 10 quintali, che sono cresciuti nel tempo superando nel 2010 i 50 quintali. Alla vendemmia è stato invitato anche il pubblico creando così un evento che ha contribuito a fare conoscere questa interessantissima realtà produttiva. La produzione media stimata dovrebbe attestarsi, con l'attuale estensione del vigneto, attorno ai 4000 litri di vino annui (ovvero circa 5000 bottiglie). Il vino del 2099 – un freisa fermo – è stato presentato ufficialmente nel febbraio 2011 al Vinitaly di Verona, il più importante evento espositivo in Italia dedicato all'enologia, ed ha ottenuto un ottima accoglienza da parte degli esperti del settore. Accanto ad esso sono state prodotte 400 bottiglie di grappa ottenuta dalle distillazione delle vinacce residue e una edizione speciale delle torinesissime pastiglie Leone al gusto di vino "Vigna della Regina". L'utile derivato della vendita di questi prodotti all'asta, sarà reinvestito dall'azienda Balbiano per portare avanti l'opera di recupero del vigneto e del parco che circondano la villa.

Potrebbe interessarti anche...

La segale accompagna la storia dell'umanità da migliaia di anni ed è di grandissima importanza ...
Prosegue il nostro viaggio nei paesaggi rurali storici del Piemonte che sono stati inseriti nel C ...
La tarsòla è il terzo taglio dell'erba che si fa in settembre: un'erba che si taglia solo nei p ...
Oggi la produzione agricola deve essere sostenibile e tener conto della biodiversità e della tut ...