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L'uomo e il territorio nel tempo

Le complesse relazioni fra l'uomo e l'ambiente stretto fra esigenze di sfruttamento e salvaguardia.

  • Enzo Gino
  • Luglio 2011
  • Venerdì, 1 Luglio 2011

Se citiamo tre luoghi: Pozzuoli, Casale Monferrato e Portland e chiediamo che nesso possa esservi, pochi saprebbero rispondere. Ma se alziamo la coperta del tempo scopriamo che quei luoghi sono le pietre miliari di una scoperta importante per la civiltà: il cemento. La pozzolana (da Pozzuoli) fu scoperta dai Romani che la sostituirono alla sabbia mischiata alla calce. Risultato eccezionale, maggiore resistenza, rapida solidificazione della malta e soprattutto solidificazione anche sott'acqua come scriverà Vitruvio nel II libro del De Architectura che "la pozzolana di Baia o di Cuma fa gagliarda non solo ogni specie di costruzione ma in particolare quelle che si fanno in mare sott'acqua." Cadde l'impero romano è per qualche secolo, con esso, caddero nel dimenticatoio non solo le istituzioni e le organizzazioni ma anche le tecniche. Fu Giovanni Monsignori frate Dome­nicano da Verona detto fra' Giocondo nel 1400 a riscrivere e tradurre gli antichi scritti romani e ripubblicare il De architettura ed altri testi che "svelavano" il segreto di costruire dei romani. Pochi però seppero mettere a frutto gli insegnamenti di quegli scritti, ci volle ancora qualche secolo e vari tentativi ed esperimenti. Un inglese sostituì la calce-pozzolana di Romana memoria con il calcare contenete impurità di argilla che veniva cotto in forno formando il cosiddetto clinker. Un altro inglese verso la fine del 1700 cuocendo in forno la marna estratta dalle argille del Tamigi realizzò e brevettò il primo cemento come oggi lo si intende. Fu infatti il primo vero e proprio cemento idraulico, un cemento che, grazie all'acqua, sviluppa reazioni chimiche, con generazione di calore, che portano alla sua solidificazione. C'era solo un problema: solidificava troppo rapidamente, infatti era sostanzialmente un cemento a presa rapida. Si scoprì poi che una cottura ad alte temperature ed aggiungendo al clinker macinato fine un po' di gesso si otterranno cementi a presa più lenta. E voilà, ecco a voi il cemento Portland che, se guardate bene è presente tutto intorno a noi. Il nome deriva dal fatto che un fornaciaio di York che fece questo cemento notò una certa somiglianza fra i conglomerati realizzati con la sua malta e una pietra calcarea dell'isola di Portland, nello stretto della Manica, pietra ampiamente utilizzata dopo l'incendio di Londra del 1666 per la realizzazione di molti edifici fra cui la famosa cattedrale di Saint Paul. Questa scoperta fu importante per l'Italia ed in particolare per il Piemonte ed un suo ambito in particolare: il Monferrato. Infatti se la nostra terra è sempre stata prodiga di sole, acqua, terreni fertili, paesaggi bellissimi è invece stata scarsa di materie prime. Ma grazie al cemento, la marna diventava economicamente importante, ed il Monferrato disponeva dei migliori standard qualitativi reperibili in natura. In particolare fra Torino, Casale e Tortona sono presenti argille racchiudenti banchi di arenaria e di calcare più o meno marnoso (giacimenti Liguriani) sono le argille grigie o brune dette "tufi", le arenarie silicee compatte dette "prea". Fra le zone di interesse e di estrazione la più grande e importante è stata quella di Casale che interessa i territori di Coniolo, Ozzano-Quarti e Casale stessa. Così all'inizio del 1800 a Ozzano venne aperta una delle prime miniere di marna ed entro la fine dello stesso secolo i più importanti cementifici si insediarono nella zona. Negli anni '30 del secolo scorso l'industria cementifera raggiunse l'apice del suo sviluppo con un fiorente indotto di attività artigianali e commerciali. Successivamente il cemento artificiale, meno costoso, si affermò sul mercato portando ad un lento ed inesorabile declino del cemento naturale, che scomparve negli anni '60 con la chiusura dei siti minerari. Se la diffusione dell'uso e talvolta dell'abuso del cemento è un fatto noto, meno note sono le vicende legate alle miniere da cui si estraeva la marna. Riportiamo due storie di due paesi vicini fra loro: Coniolo e Camino in parte ricompresi oggi nel Parco del Po alessandrino, entrambi sedi in passato di cave di marna per l'industria cementiera, entrambi destinati a scomparire, ma entrambi ancora lì, caparbiamente, nonostante tutto. Allora come spesso ancora oggi accade un lavoro fisso con lo stipendio garantito era un lusso, pochi potevano farvi conto e così grazie alle miniere di marna, centinaia di famiglie contadine si trasformarono in minatori. L'età minima richiesta per lavorare in miniera era 9 anni e molti bambini trovarono impiego nelle società di escavazione. Coniolo contava attorno ai 1000 abitanti Camino circa 3000.

Il sistema di scavo era semplice individuata una "vena" del materiale cercato la si seguiva sin quando le condizioni del suolo, infiltrazioni d'acqua, profondità e quindi costi di sollevamento, lo consentivano. Si arrivava sino a 150 metri sotto il suolo con gallerie lunghe chilometri. Certe, a detta di chi ci ha lavorato, passavano addirittura sotto l'alveo del Po. E' un terreno brutto da scavare soggetto a frane per cui tutte le gallerie dovevano esser puntellate con assiti e pali di robinia ed inoltre si sviluppava il famigerato grisou, la miscela di aria e metano che poteva esplodere come infatti riportano le cronache accadde, uccidendo diversi minatori. Erano anni in cui la sensibilità ed il rispetto del territorio, dell'ambiente ed anche della vita delle persone erano ben poco considerate. Ed anche le normative erano spesso lacunose se non del tutto assenti. Dopo un avvio incoraggiante dell'attività mineraria che vedeva molte imprese operare correttamente nelle profondità delle colline, nei primi del novecento gli abitanti di alcuni comuni, Coniolo, e una frazione di Camino: Brusaschetto, si trovarono inaspettatamente a fare i conti con gli effetti drammatici ed inarrestabili di attività estrattive attuate da un imprenditori senza scrupoli. A causa delle imprudenti tecniche di escavazione sotterranea e spesso incuranti delle ordinanze, le estrazioni causarono cedimenti del suolo con il crollo di numerose abitazioni: a Coniolo: ottantaquattro case, la chiesa di Sant'Eusebio e villa Fassati, con la perdita irreparabile di antichi edifici vecchi di secoli. Al termine di una drammatica sequenza di fatti gli abitanti di Coniolo Basso Antico, dopo aver compreso che per il loro antico paese non c'era più nulla da fare, si videro costretti a lasciarlo per spostarsi sulla collina antistante dove già era ubicato il resto dell'abitato. Venne ampliata la vecchia cappella posta sulla sommità della collina più alta, trasferendo la parrocchiale nel luogo dove oggi si trova, ed intorno ad essa avviarono la ricostruzione delle nuove abitazioni. E mentre questo terribile dramma si consumava, l'Italia, entrava nella prima guerra mondiale; tanti uomini dovettero lasciare le proprie famiglie a gestirsi una difficile ricostruzione. Molti non sarebbero più tornati, ma alla fine della guerra la ricostruzione del paese riprese vigore. Con i mattoni, i coppi, le porte, i pavimenti recuperati dagli edifici secolari crollati di Coniolo Basso Antico, si riavviava così la ricostruzione delle abitazioni andate perdute; le case così realizzate apparivano nuove nell'aspetto, ma l'uso di quei materiali in ognuna di esse faceva rivivere l'anima antica del vecchio paese. Per questo oggi Coniolo viene chiamato "il paese che visse due volte". Ma la vicenda non finisce ancora qui. L'economia industriale del primo dopo guerra aveva ancora bisogno di cemento e le bellissime colline Mon­ferrine ne erano ancora ricche così i suoi abitanti che più che mai avevano bisogno di lavorare tornarono a scavare. E la storia si ripetè. Dopo la metà degli anni venti le gallerie si diressero ancora, incredibilmente, sotto il nuovo paese da poco ricostruito. Questa volta i coniolesi forti della loro passate esperienze si riunirono coraggiosamente, opponendosi al progetto e richiesero l'intervento del governo, riuscendo così ad ottenere una idonea perimetrazione del paese e salvandolo da una seconda distruzione. Da allora le attività di scavo continuarono lontano dall'abitato fino all'inizio degli anni sessanta, quando anche l'ultima miniera chiuderà definitivamente. Brusaschetto in quel di Camino Monferrato subì una storia simile ma non uguale. Fino a qualche mese fa chi avesse percorso la strada che da Trino porta a Brusaschetto avrebbe visto 23 palazzine "fantasma": vuote, fatiscenti, di due piani disposte regolarmente in file ordinate come un quartierino di qualche periferia dormitorio di città: era Brusaschetto Nuovo. Costruita negli anni 60 con il fantasioso intento di trasferirvi la popolazione di Brusaschetto che, secondo gli esperti sarebbe dovuta franare da un momento all'altro. E' difficile immaginare come i promotori dell'iniziativa intendessero convincere contadini con case rurali stalle e fienili a trasferirsi in appartamentini costruiti in palazzine tipici delle periferie-dormitorio delle città per di più sulla pianura umida ed esondabile del Po. Il risultato fu che nessuno si trasferì e le palazzine restarono abbandonate sino allo scorso anno quando sono state abbattute per far posto... a una cava. Come si è arrivati a questa situazione. Il 3 novembre 1948 un non meglio identificabile Ingegnere capo delle miniere presso il Ministero dell'industria e Commercio di Torino redige un rapporto a seguito di sopralluogo su richiesta della Prefettura di Ales­sandria per accertare le cause dei danni arrecati a diverse case dell'abitato di Brusaschetto che, secondo indicazione degli abitanti "sono conseguenza delli lavori sotterranei della miniera di marna per cemento denominata - Palazzolo Tagliaferro". Già nel 1931 con nota del 24 aprile il dott. Francesco Cassinelli avente casa in Brusaschetto segnalò "i danni notevoli subiti dal cimitero e da molti stabili privati". L'ufficio Miniere propose al Prefetto una adeguata fascia di rispetto entro cui non dovevano spingersi i lavori di estrazione della marna delle due miniere una denominata "Po" a nord della frazione, l'altra denominata "Palaz­zolo Taglia­ferro" ad est - nord est. L'estrazione delle marne nella zona risale al 1891.

Il relatore conclude che "pur comprendendo l'angoscia dei proprietari delle case lesionate ed in ispecie del sig. Ricci Carlo che ha la casa inabitabile per la caduta della volta del pianterreno, e qualche altro che ha la volta pure del pianterreno puntellata non può asserire in modo certo che la causa di tutti i mali sia stato l'esercizio della miniera di marna "Palazzolo - Tagliaferro". Nel 1948 tuttavia non viene riconosciuta la responsabilità alle miniere per quei crolli, ma qualche anno dopo come riporta un giornale del 1956 una commissione di tecnici conclude le sue indagini attribuendo principalmente alla natura geologica del terreno l'origine delle frane. In base a questo responso il Ministero progetta il trasferimento della popolazione in 23 case a due piani per gli abitanti di Brusaschetto (oltre a 2 alloggi per alla periferia di Casale per le famiglie delle cascine Frati) e delibera il contributo di 100 milioni. Oggi dove sorgevano quelle case grazie al coinvolgimento dell'ente parco, si sta realizzando un progetto che oltre alla demolizione delle case già avvenuta prevede il rimodellamento dei terreni per ricostituire l'ambiente naturale. Lungo il crinale della collina grazie all'acquisto di diversi ettari di terreni boscati che si affacciano sul Po, con numerose presenze di alberi esotici si stanno recuperando, grazie al taglio selettivo, le specie autoctone. Recentemente su quelle aree si sono insediate numerose colonie di aironi cinerini e cormorani. E Brusaschetto con i suoi abitanti è ancora lì con la sua chiesa lesionata ed inagibile a perenne memoria dei posteri.

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