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Alberi della Vita: il ballo dei “Bran” e la festa di San Costanzo

Dai miti primordiali, attraverso i rituali propiziatori importati dal mondo latino, il ballo dei "Bran" arriva ancora ogni anno in tutta la sua forza, sul sagrato della chiesa di Meana

  • Loredana Matonti
  • settembre 2017
  • Martedì, 12 Settembre 2017
Branc addobbati a Meana Loredana Matonti Branc addobbati a Meana Loredana Matonti

Ci sono cose che non cambiano (per fortuna)...Elementi culturali arcani e primordiali che sopravvivono in alcune antiche tradizioni, ancora perpetuate nelle nostre valli, che si ricollegano all'antico culto degli alberi.

Tradizioni che a loro volta affondano le loro radici in culti millenari, come quelli legati agli "alberi della Vita", che ancora oggi vengono portati avanti da alcune comunità, come accade nella media e alta Valle di Susa.
Per lo più assimilate nei festeggiamenti delle feste patronali con l'avvento del Cristianesimo, rappresentano, oggi più che mai, un patrimonio culturale di inestimabile valore. D'altronde, la religione Cristiana non nacque ex novo, ma andò ad "appoggiarsi" su un solido basamento di pratiche e riti ben radicati nella collettività. Tra questi riti vi era senza ombra di dubbio il culto dell'Albero.

In un luogo come l'Europa antica, completamente coperta da foreste che non lasciavano intravedere il cielo per chilometri e chilometri, quale manifestazione della natura poteva ergersi a simbolo del divino se non qualche albero secolare che spiccava tra gli altri esemplari? O, con l'inizio dei rigori dell'inverno, come non poter considerare "magici" alberi come i sempreverdi? O come il ginepro: sempreverde e perennemente in frutto?

Ed è per questo motivo che i nostri antenati, dall'alba dei tempi, veneravano gli alberi, simbolo di unione tra Cielo e Terra, tra mondo dei vivi, mondo dei morti e mondo del Divino. Donatori di vita, unione di tutti gli Elementi...

E così, per salutare l'inizio della primavera, per festeggiare l'abbondanza dell'estate o per propiziare il ritorno della vita prima dei rigori dell'inverno, sopravvivono nelle nostre vallate alpine, alcune feste tradizionali.
Per coloro che hanno un occhio attento, e riescono a vedere oltre il velo delle apparenze, tali rappresentazioni appaiono come dei veri e propri "fossili culturali" di qualcosa di più arcano e prezioso.

Tra queste possiamo annoverare senza dubbio la festa patronale di San Costanzo, a Meana di Susa, in provincia di Torino, che si celebra nella domenica più vicina al 18 settembre, giorno in cui sarebbe avvenuto il martirio del soldato della legione tebea. Ad onor della cronaca in un lontano passato la festa era stata spostata alla prima domenica di maggio; poiché non vi erano strade asfaltate, la processione passava per sentieri e strade dei campi, col rischio che la folla rovinasse o razziasse i raccolti, soprattutto quelli delle vigne, in cui l'uva a settembre era in piena maturazione. Da oltre una decina di anni invece, si celebra nuovamente a settembre, come era anticamente.

Due i momenti salienti, che si svolgono secondo antichi rituali tramandati di generazione in generazione: la processione e il ballo dei 'Bran' (il termine signica "rami" in franco-provenzale; alcuni lo scrivono "Branc", ma secondo le recenti ricerche e le interviste agli anziani meanesi condotte dallo studioso di storia locale Silvio Tonda e suffragate dal CESDOMEO, Centro di Studi e Documentazione della Memoria Orale, è più corretto pronunciarlo e scriverlo senza la "c" finale).

Tra i personaggi importanti ci sono le priore, giovani nominate col compito di custodire e mettere in ordine la cappella di San Costanzo durante tutto l'anno di carica, predisporre l'offerta di vino e frutta per il parroco e il pane della carità da distribuire ai fedeli durante la messa. Offrono inoltre il pranzo a parenti, amici e coscritti il giorno della festa; la loro carica dura un anno e può avvenire solo una volta nella vita.

Vestono ancora oggi il costume caratteristico, confezionato seguendo un antico modello e realizzato in gran segreto dalle loro famiglie. Esso è composto da un vestito di stoffa pregiata con pizzi e ricami, un grembiule di seta lavorato a broccatello, un ampio foulard di seta frangiato, una cuffia modello delfinatese di colore bianco e collare formato da un nastro di velluto cui è annodata una grossa croce d'oro lavorata a sbalzo. Il colore del costume varia di anno in anno e questo costituisce la sorpresa della festa. Quattro priori, anch'essi coscritti, affiancano le ragazze nei loro compiti. Presenti anche l'immancabile banda musicale e, naturalmente, il parroco.

Al mattino la banda musicale raggiunge la casa delle priore, dove ha luogo un rinfresco offerto da loro; prosegue poi verso la chiesa parrocchiale dove si forma la processione con i "Bran", il pane della carità, i coscritti, la statua, il parroco e i fedeli che, attraverso le borgate, si recano alla cappella di San Costanzo. La processione, che si snoda lungo le vie del paese fino alla cappella, è aperta dalla croce, seguita dalla banda musicale, dalla cantoria, dalle donne, dalle autorità comunali con il gonfalone del Comune e lo stendardo del santo. La messa viene poi celebrata nella cappella intitolata al santo, situata su un'altura circondata da vigneti nel territorio di Susa, ed è seguita dalla distribuzione del pane benedetto. 

Ma è il ballo dei 'Bran', rappresentato il pomeriggio sul sagrato della Chiesa, l'elemento più caratterizzante. Al termine del quale le priore consegnano il 'branqueut' cioè un Bran in miniatura, di legno tornito, alle ragazze destinate a ricoprire la stessa carica l'anno dopo, col significato di passaggio del testimone, come in una metaforica staffetta.

A inizio '900 i "Bran", erano veri alberelli addobbati e infilati in un grosso "pane della carità". In epoca successiva si ha memoria che lo stesso pane era posto al di sotto dei "Bran" nella base di supporto. Più modernamente invece, vengono realizzati dei simulacri con un'intelaiatura di legno affusolata, a forma di tronco di cono, alta circa 3 metri, avvolti di stoffa colorata e ricoperti di fiori e frutti di plastica. Anche questi vengono realizzati dalle famiglie delle due priore e la preparazione è lunga e laboriosa; il loro colore, come per il vestito, varia di anno in anno.

I "Bran" vengono quindi portati in processione al mattino dalla parrocchiale alla Cappella di San Costanzo dove entrano per la messa (a fine 1800, all'arrivo della processione a San Costanzo, le priore compivano un giro intorno alla cappella col bran appoggiato sulla testa, tenuto dai priori). Poi nel pomeriggio, dopo il vespro, vengono fatti danzare sul sagrato della parrocchiale.
A "far ballare" i Bran sono i 4 priori e i loro coscritti; infine vengono presi d'assalto e spogliati dei loro frutti e fiori da ragazzi e bambini. Il ballo termina quando i due "Bran" sono distrutti.

Ma assistere a questo ballo dà la sensazione che quel che accade non è solo quello che si vede.
La scena, semplice e potente allo stesso tempo, fa nascere un interrogativo: gli oggetti che danzano vogliono dirci qualcosa? Forse qualcosa che ha attraversato i secoli e i millenni? Tra i momenti più suggestivi e riconducibili a delle metafore, notiamo l'urto tra "Bran" e il transito delle priore sotto i "Bran".

Uno storico locale, Don Natalino Bartolomasi, non solo ipotizza che l'origine di tali oggetti si possa ricondurre agli antichi riti di Cibele e Attis, importati a Roma nel 204 a.C., praticati intorno ad un albero sacro (in genere un pino), ma anche la funzione propiziatoria della danza sul sagrato della Chiesa. Secondo Bartolomasi, la danza del pino o del suo frutto, la pigna, rappresenterebbe la danza della vita. Le due "pigne" (in questo caso i "Bran"), animate nella danza da giovani maschi, innalzate e abbassate al ritmo della musica, fatte urtare l'una contro l'altra, disperderebbero i loro semi su giovani donne, che danzando vi passano al di sotto.

Gestualità che, anche secondo l'ipotesi di Silvio Tonda, esperto di tradizioni e storia locali, fondatore dell'Associazione culturale Ametegis, potrebbero ricollegarsi all'imitazione dell'atto sessuale.

Nonostante a prima vista potrebbe sembrare una banale goliardia, se riusciamo a superare i pregiudizi ed andare oltre a quello che i nostri occhi vedono, oltre ai volti gioiosi e inconsapevoli dei giovani che agitano i "Bran", oltre alle risate, oltre ai motivi della fanfara, oltre ai vestiti d'epoca e agli stendardi...Insomma, se per un attimo riusciamo a fermare il tempo e accorgerci di ciò che davvero sta succedendo, anche se i tronchi hanno lasciato il posto ad intelaiature di legno, ed i fiori e i frutti sono finti, la simbologia dell'albero e le gestualità del ballo colpiscono ancora il nostro inconscio.

Fino a farci comprendere che ciò che abbiamo davanti non è solo una festa di paese, ma una danza arcana che rappresenta la base di tutte le vicende umane: la danza della vita, l'incontro tra l'elemento maschile e quello femminile, che in un gesto di gioiosa armonia hanno dato vita a tutto il creato.

Sitografia
http://www.ametegis.org/
http://www.atlantefestepiemonte.it/
http://www.michelazucca.net/
http://www.treccani.it/enciclopedia/attis/
http://www.treccani.it/enciclopedia/cibele
http://www2.uned.es/geo-1-historia-antigua-universal/HISTORIA%20GENERAL%20RELIGIONES/CIBELES_ATIS/DIES_SANGUINIS.htm

Bibliografia
Bartolomasi N., 1995. Valsusa antica, vol. I, editrice alzani, Pinerolo (To).
Brosse J,1989. Mitologia degli alberi, Rizzoli editore.
Centini M., 2007. La spada e il ballo, rito, tradizione e simbolismo delle danze armate,
Micali R., Sibille R. 2015. Intorno all'albero, Cahier ecomuseo n° 22, ecomuseo Colombano Romean.
Patria E., Odiardi W, 1978. Mediana, storia breve di meana e dei meanesi, ed. Melli, 1975.
Zucca M., 2006. La Religione degli alberi (on-line).

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