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Suoni di Natale

 

 "Udii tra il sonno le ciaramelle, ho udito un suono di ninne nanne, ci sono in cielo tutte le stelle, ci sono i lumi nelle capanne.
Sono venute dai monti oscuri Le ciaramelle sen za dir niente, hanno destata ne' suoi tuguri tutta la buona povera gente"
(Giovanni Pascoli, Le ciaramelle)

  • Aldo Molino
  • Dicembre 2007
  • Lunedì, 19 Dicembre 2016
Suoni di Natale

 

Se c'è uno strumento musicale legato intimamente al Natale, questo è la cornamusa. E non c'è presepe che si rispetti senza che, tra i pastori, veri protagonisti della sacra rappresentazione, non ci sia almeno un suonatore dell'areofono a sacco, zampogna, piva o ciamarella... che dir si voglia. Strumento tipico e funzionale al mondo pastorale dove veniva autoprodotto, era un tempo presente in buona parte dell'Europa occidentale prima del suo inarrestabile declino.

La piva di Stroppo

La zampogna in Italia fa pensare subito alle montagne abruzzesi, molisane e alla Ciociaria, dove si conserva tutt'ora, e da dove provengono molti dei suonatori che, talvolta, sotto Natale si incontrano ancora nelle città del Nord. Nelle Alpi, quasi dappertutto
si è perso anche il ricordo, ma nel Medioevo, prima dell'avvento del violino e più tardi della fi sarmonica a semitono, era uno strumento popolare utilizzato per accompagnare la danza e anche le feste di corte. Nelle valli bergamasche il paziente lavoro degli etnomusicologi ha portato al recupero del "baghet"; nell'Appennino alessandrino suona talvolta ancora la "musa"; nella montagna occitana invece  stranamente non c'è più traccia. Stranamente perché nella vicina Francia, dalla Guascogna all'Alvernia, non ha mai smesso di  accompagnare "bourreè" o "rondeaux". O così poteva sembrare.
Non era un mistero che in Val Maira, nella bellissima chiesa già parrocchiale di Stroppo, San Peyre, si trovasse un importante ciclo di affreschi di autori ignoti, risalenti ai primi Anni del '400 e che nella parete laterale dell'abside di destra, a far compagnia alla Natività,
fosse rappresentato un pastore con il suo strumento: una bellissima cornamusa a collo di cigno riprodotta con dovizia di particolari, compresi i fori per la diteggiatura della canna del canto.

Più attente osservazioni hanno rilevato altri suonatori di "piva" nelle pitture di Notre Dame de Fontane a Briga Marittima, nel castello di Caraglio, nella chiesa parrocchiale di Rossana, a dimostrazione che Stroppo rifl etteva un fenomeno proprio delle valli e del mondo culturale legato al Marchesato di Saluzzo, piuttosto che un'estemporanea trovata dell'ignoto pittore.
All'inizio, con molte perplessità e poi con maggiore forza, è nata l'idea di riprodurre la "piva di Stroppo" e di farla tornare a suonare rifunzionalizzandola nel nuovo contesto musicale occitano. Naturalmente, mèntore dell'iniziativa, non poteva essere che Sergio Berardo,
vulcanico ed eclettico strumentista leader del gruppo musicale dei Lou Dalfin. È stato così contattato Robert Matta liutaio di Tolosa, musicista occitano che già aveva il suo attivo la ricostruzione della "samponha", l'estinta cornamusa dei Pirenei.
Con il contributo della Comunità montana Valle Maira, il progetto è stato avviato e dopo la realizzazione di un prototipo, sono state prodotte altre due "pive d' Strop". La presentazione ufficiale è avvenuta nella primavera del 2007 a "Prima doc", festival di musica occitana
a Caraglio. Con grande emozione e sorpresa per il timbro potente e particolare, la piva dopo 5 secoli ha ripreso a suonare.

La zampogna...

Secondo una leggenda, fu lo stesso Saturno a inventarla e insegnarne l'uso agli uomini. Si dice anche che Nerone, l'imperatore romano fosse suonatore di utriculus strumento antesignano delle cornamuse. Ma è soltanto con il Medioevo che lo strumento inizia a essere
conosciuto e apprezzato. La zampogna, propriamente detta, appartiene alla grande famiglia delle cornamuse, strumenti diffusi in tutt'Europa e nel bacino del Mediterraneo, caratterizzati dalla presenza di una sacca di insufl azione che alimenta le canne melodiche e i
bordoni che possono essere di numero variabile a seconda dei tipi e dell'uso.
In alcune zone, ad esempio, Irlanda e Scozia, nel corso dei secoli ha subito notevoli evoluzioni e migliorie tanto da trasformarlo in strumento da concerto o adatto per il volume di suono a usi militari. La zampogna tradizionale si caratterizza invece per essere uno
strumento poco evoluto proprio delle classi popolari, dove l'esecutore era quasi sempre il costruttore dello strumento.
La parte sonora è monoblocco, le canne del canto e i bordoni sono alloggiate su di uno stesso supporto che viene fissato a un otre di pecora o capra. L'estensione musicale è limitata, l'accordatura (sopratutto per via delle ance approssimativa) è diffi cile, tanto quanto trovare due zampogne che suonino perfettamente all'unisono. Sebbene esistano anche zampogne soliste come quella siciliana o quella di Amatrice (Rieti), normalmente si associa all'oboe popolare, la ciaramella, a cui è affidata la parte melodica dei brani. Il repertorio musicale è piuttosto limitato oltre che nei saltarelli e nelle tarantelle (danze tradizionali del Sud) trovava applicazione nell'accompagnamento del canto e sopratutto in alcuni riti calendariali legati a festività cristiane.
Gli zampognari erano sopratutto musicisti ambulanti che dai loro villaggi, percorrendo le antiche vie della transumanza, scendevano nei paesi, ma anche nella città, nel periodo natalizio a suonare le novene. Anche la zampogna si sta però modernizzando. Abbandonando l'arcaico scenario pastorale (che non esiste più) trova un suo posto di assoluta dignità nel mondo della musica. Lo strumento adattato alle nuove esigenze musicali ha aperto e proposto nuovi orizzonti sonori ed espressivi.

Nel Parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise

Scapoli in Molise è da trent'anni "capitale" della zampogna in Italia. Il progetto Vivere con la zampogna si ripromette, partendo dalla tradizione, di rivitalizzare il piccolo paese ai piedi delle Mainarde, con un museo dedicato a questo aerofono, un'esposizione permanente al circolo  della zampogna, molti suonatori e anche costruttori.
Ma soprattutto, con la festa della Zampogna, celebrata ogni anno l'ultima domenica di luglio, occasione di incontri, dibattiti, concerti e soprattutto di una straordianaria "jam session" con musicisti di tutta Europa in una sarabanda di cornamuse scozzesi, surdoline calabresi, cabrete, bodheghe.

... e in quello dei Nebrodi

Appollaiati ai piedi degli antichi e maestosi boschi di faggio che sovrastano le montagne del Parco dei regionale Nebrodi, si trovano i paesi dell'alta Valle del Fitalia, dove la "ciaramedda" ha un ruolo signifi cativo per la comunità locale. Con il suo caratteristico sacco
di pelle di pecora o di capra rivoltato, e il suono penetrante che suscita nell'ascoltatore emozioni profonde, la "ciaramedda" è da sempre la fedele compagna di tanti pastori. In passato, suonare la "ciaramedda" era un'abitudine diffusa durante il periodo di Natale ma anche in altre ricorrenze sacre e profane: i pastori allora suonavano, per le vie del paese, davanti alla chiesa, vicino ai fuochi accesi nei quartieri
e nelle case. Da un manoscritto di un anonimo ottocentesco, si legge: ".... I loro sollazzi sono i dì festivi, cantano sulla zampogna col bel tempo nella piazza della maggiore chiesa e d'inverno nelle case dei galantuomini che li retribuiscono con delle focacce...".
A Galati Mamertino, uno tra i più alti comuni del parco, la tradizione è tutt'ora viva, anche se i gruppi familiari che si tramandano l'abilità di suonare la "ciaramedda" si contano sulle dita di una mano. Sono rimaste quattro, o cinque nuclei famigliari, che posseggono una cospicua quantità di strumenti che continuano a suonare. Alcuni di questi, inoltre, durante il periodo natalizio, si recano a suonare in altri Paesi e,
in particolare, a Bagheria (PA), dove la tradizione vuole che si chiamino i ciaramiddari per accompagnare la "novena di Natale". In questo caso suonare la "ciaramedda" costituisce una forma di devozione religiosa e allo stesso tempo una fonte di reddito, in quanto percepiscono per questa loro attività un ragguardevole compenso economico.

Tratto dal nostro archivio 'Piemonte Parchi n.171 - dicembre 2007' pag. 32-34

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