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Alberi della Vita: “la Pouento”

A Chiomonte, in valle di Susa, si celebra l'antico rito alpino, di origini pagane, assorbito dal Patrono cristiano

  • Loredana Matonti
  • gennaio 2016
  • Martedì, 19 Gennaio 2016
l'albero della "Pouento" foto di Loredana Matonti l'albero della "Pouento" foto di Loredana Matonti

L'Uomo e l'Albero. Un binomio ancestrale, che caratterizza ogni civiltà, ogni storia, ogni religione.
Un legame imprescindibile, in cui da sempre i ritmi della vita umana sono scanditi da riti e usanze che hanno come protagonisti gli alberi.
Un'arcaica devozione, di antica memoria animista e dalle lontane origine celtiche, greche o romane, ma comunque pagane e precristiane, confluita in quel sincretismo religioso che li vede associati nella nostra cultura a santi, stagioni e ricorrenze cristiane.

Tra le antiche usanze che sopravvivono ancor oggi nelle vallate alpine, vi sono proprio gli "alberi della Vita", piante sempreverdi, adornate di nastri colorati, associati a momenti del calendario liturgico cristiano, riconducibili ad antiche culti di fertilità e rinascita della natura.
Feste tradizionali che poi acquistano nomi diversi sul territorio, come la "Pouento" di Chiomonte, un paese della valle di Susa, in provincia di Torino.

Il 20 gennaio, giorno di San Sebastiano, e anche la domenica più vicina a tale data, dopo la messa, in cui si benedicono i "pani della carità", si danza con la "Pouento" (letteralmente "la punta" nella parlata occitana del luogo).

Si tratta di un'intelaiatura a forma di fuso, alta circa tre metri, un tempo di legno e ora in metallo, ricoperta da una fodera a spicchi, su cui sono cuciti nastri di seta variopinti, detti "riban", appartenenti a famiglie chiomontine e altri nastri più piccoli, che pendono, appartenenti ai giovani priori; al centro vi è una fascia orizzontale con lo stemma di Chiomonte e la scritta "Viva San Sebastiano", patrono del paese.
Alla sommità spicca un mazzo di fiori finti rossi, a ricordo del martirio del santo, mentre la base è montata su un sostegno tubolare che termina con quattro bracci, che consentono di impugnarla, sollevarla e dopo la benedizione del parroco, impartita durante la messa, farla "ballare" al ritmo della fanfara degli alpini, tra gli inni dei giovani priori che a squarciagola urlano: "Per San Sebastiano Ip, Ip...!

Si pensa che la singolare struttura fusiforme possa essere il simulacro di una conifera sempreverde, simbolo di fertilità, che probabilmente, in tempi ben più remoti, veniva rivestita con fiori o nastri di stoffa colorata e portata in trionfo per il villaggio (come si usa ancora oggi in alcuni paesi nordici), per celebrare il passaggio dall'inverno alla primavera. Usanza pagana poi riadattata dal cristianesimo.

Tale albero quindi, che potrebbe essere identificato con quello a cui è iconograficamente legato San Sebastiano; cavaliere romano, nato a Milano da padre narbonese, al servizio di Diocleziano e martirizzato a Roma nel 288 d.c., durante le persecuzioni contro i Cristiani. In tutti i dipinti infatti, figura trafitto da frecce e legato ad un albero.
L'associazione tra la conifera e questo particolare santo a Chiomonte risale al Seicento, come manifestazione di ringraziamento a seguito della terribile pestilenza del 1630, quando i chiomontini adottarono tale Santo come patrono, riconosciuto valido protettore anche contro il temibile morbo. La tradizione fu ripresa nel 1889 dal parroco don Bartolomeo Franchino che, volendo rimettere in auge le antiche usanze, dopo accurate ricerche negli archivi parrocchiali, riuscì a trovare qualche traccia di come veniva festeggiato un tempo.

Oggi i 4 giovani Priori e le 7 Priore portano in processione l'albero lungo le vie del paese, seguiti da 7 graziosi "angioletti"; bambini e bambine che indossano abiti bianchi o azzurri, confezionati dalle loro famiglie, recanti sulla schiena due ali in cartone bianco, con stelline e festoni argentati, a rappresentare gli angeli che trasportarono in cielo l'anima di S. Sebastiano dopo la morte.
I Priori indossano una camicia a scacchi, un cappello nero a tesa larga e un gilé, mentre le Priore indossano l'abito nero lungo, lo scialle colorato a frange, una cuffia in pizzo bianca e un collarino in velluto nero, a cui è annodata una croce brianzonese, montata su nastri neri insieme a una spilla, entrambe d'oro.

A suffragio di una probabile arcaica rimanenza matriarcale dell'usanza, la testimonianza del sindaco, il dott. Silvano Ollivier: "un tempo, nel dopo guerra, intorno al '45, a dire il vero gli uomini non venivano vestiti con la camicia a scacchi, ma quelli della festa dell'epoca, in giacca e cravatta, mentre i vestiti delle donne sono sempre stati quelli autentici e tradizionali, risalenti al '700-800, e tramandati da madre a figlia o nuora. Il vestito di mia mamma, per esempio, è passato a mia sorella e ora a mia nipote. Anche le croci d'oro vengono ereditate su linea femminile".

In alcune soste prestabilite, il fusto viene fatto roteare vorticosamente dai Priori; durante il percorso la banda sosta presso le loro abitazioni, presso cui vengono offerti spuntini casalinghi a tutti i presenti.
Fino agli anni '50, i festeggiamenti duravano alcuni giorni, e si continuava finché la "Pouento", che era di legno, non si rompeva, costringendo a smontarla e rifarla ogni anno.
Così, all'inizio di gennaio, era compito delle priore chiedere in prestito i nastri per addobbare la punta e restituirli alla fine della festa, mentre adesso il tutto resta montato per gli anni successivi.

Oggi, questa cerimonia costituisce anche un rito di passaggio per iniziare i giovani neo-maggiorenni che si inseriscono come adulti nella comunità. Il Comune, che fornisce anche un grosso contributo per l'organizzazione della festa, negli ultimi anni li accoglie simbolicamente regalando loro, in occasione della festa, una copia della Costituzione italiana.

La Pouento quest'anno è andata in scena domenica 17 alle 11.00 dopo la Messa, in Piazza Balp de Roche Brun, e sarà replicata mercoledì 20 alle 11,30 con sfilata alle 14,30.

E così, proprio in pieno inverno, quando tutto è immoto e la Natura tace, ma il segreto anelito ad una rinascita freme nei cuori, antiche rievocazioni come questa ci ricordano che la vita rinasce sempre, anche quando sembra impossibile che accada.

 

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