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Il Principato di Lucedio

Storia di un luogo leggendario, le cui antiche mura celano uno dei più fulgidi esempi di architettura cistercense piemontese.

  • Marina Maffei Andrea Ferrarotti
  • dicembre 2011
  • Mercoledì, 28 Dicembre 2011



L'Abbazia di Lucedio è aperta al pubblico tutti i giorni su prenotazione per gruppi di almeno quindici persone. Oltre alla parte storica, è possibile visitare l'azienda agricola. Al tour può essere abbinata una degustazione di prodotti tipici del territorio. Dal 1 marzo al 31 ottobre, tutte le domeniche, ad esclusione del mese di agosto, vengono organizzate visite guidate senza obbligo di prenotazione e di numero minimo di partecipanti. Visite e degustazioni sono a pagamento. Per informazioni: www.principatodilucedio.it; tel. 0161 81519 - 0161 81535. La prima domenica di ogni mese, dalle ore 9 alle ore 12, è inoltre visitabile il campanile della Chiesa di Santa Maria. Le visite libere, senza prenotazione, sono curate dall'Ufficio Ecomuseo delle Terre d'Acqua della Provincia di Vercelli: ingresso ed accompagnamento con guide turistiche accreditate sono gratuiti.
Info: Ecomuseo delle Terre d'Acqua - Provincia di Vercelli tel. 0161 590262.

Tra i campi coltivati a riso dell'ordinata piana che si estende tra Vercelli e Trino, le grange formano ancora oggi un sistema efficiente di organizzazione agricola (grangia deriva, non a caso, da granica, deposito di grano). I nuclei principali presenti sul territorio sono sette e, tra questi, riveste particolare importanza il Principato di Lucedio, luogo leggendario, le cui antiche e solide mura celano uno dei più fulgidi esempi di architettura cistercense del Piemonte. Anticamente, afferivano all'abbazia cistercense di Santa Maria di Lucedio le grange di Leri, Darola, Montarolo, Castelmerlino, Montarucco e Ramezzana, alle quali si aggiunsero altri nuclei in tempi diversi. Oggi, il Principato si è adattato alle naturali evoluzioni della storia e dell'agricoltura ed ospita un'azienda agricola, guidata dalla Contessa Rosetta Clara Cavalli d'Olivola Salvadori di Wiesenhoff, mentre nelle splendide sale medioevali vengono organizzati visite guidate, degustazioni, ricevimenti. Ma il fascino arcaico è rimasto immutato. Osservando il complesso abbaziale dall'ingresso principale, sormontato dall'antica scritta che ricorda che si sta varcando la soglia del Principato, si percepisce un'atmosfera di sospensione e soltanto il rombo, in lontananza, di un trattore, riporta alla modernità. Ad aggiungere suggestione, i possedimenti sono spesso immersi in una fine nebbiolina, sulla quale molto si è scritto e fantasticato attribuendole cause misteriose e soprannaturali. In realtà, la leggenda trova spiegazione nella presenza, nei terreni circostanti, di numerosi fontanili, falde acquifere sotterranee che affiorano in superficie e creano questo singolare fenomeno. D'altro canto, è proprio l'abbondante presenza di acque ad avere favorito, tra la fine del XIV e l'inizio del XV secolo, l'introduzione del riso nel vercellese. I monaci Cistercensi, attenti pianificatori e profondi conoscitori delle tecniche agricole, furono tra i primi a coltivare il prezioso cereale, contribuendo a trasformarlo in un alimento base della dieta popolare. La fondazione dell'abbazia di Lucedio risale all'anno 1123, quando il Marchese Ranieri di Monferrato donò ai monaci Cistercensi provenienti dalla francese La Ferté alcuni terreni a nord di Trino. Fedeli alla regola di vivere del lavoro delle proprie mani, i monaci bonificarono il territorio, ancora boschivo. Di quella selva resta traccia nel Bosco delle Sorti della Partecipanza, a breve distanza dal Principato, e nello stesso toponimo Lucedio che pare derivare da lucus, bosco. A Lucedio i monaci edificarono il monastero e fondarono l'omonima abbazia, applicando il loro sistema economico-organizzativo, fondato sulla suddivisione dei terreni in unità agricole, le cosiddette grange. Nell'organizzazione cistercense l'Abate era a capo dell'intero sistema, il cellarius si occupava dell'attività amministrativa, mentre le singole grange, secondo le norma più antiche mai distanti dall'abbazia più di un giorno di cammino, erano affidate al grangerius. I monaci, infine, lavoravano nei campi affiancati dai conversi, laici che, dopo aver fatto voto di povertà, diventavano membri della comunità monastica. Questo metodo venne applicato per secoli, sino a quando nel 1457 l'abbazia di Lucedio venne trasformata in Commenda, con diritto di patronato a favore di Teodoro Paleologo, figlio del Marchese del Monferrato e di Giovanna di Savoia. Da quel momento due figure iniziarono ad occuparsi del monastero: l'Abate commendatario, che gestiva il patrimonio terriero, godendone i frutti, e l'Abate claustrale, che esercitava la giurisdizione spirituale. Nel 1784, l'abbazia fu secolarizzata da Papa Pio VI e qualche anno più tardi le proprietà di Lucedio confluirono nel patrimonio dei Savoia. In seguito all'invasione francese, passarono sotto il controllo del governo napoleonico e fu proprio Bonaparte a concedere Lucedio al cognato Principe Camillo Borghese, allora Governatore generale del Piemonte. Nel 1818 nuovo cambio di proprietà: il sistema delle grange afferenti a Lucedio viene acquistato in comproprietà dal Marchese Carlo Gozzani di San Giorgio, dal Marchese Giuseppe Benso di Cavour e da Luigi Festa. Quattro anni dopo, nel 1822, l'intero possedimento venne suddiviso in lotti e Lucedio venne definitivamente assegnata al Marchese Gozzani. Nel 1861 la proprietà venne ceduta a Raffaele de Ferrari Duca di Galliera, insignito del titolo di Principe di Lucedio in virtù dei suoi servigi a favore dello Stato Italiano. Dopo la sua morte i possedimenti (ed il titolo) vennero ereditati dal nipote, il Marchese Andrea Carega Bertolini, che nel 1937 vendette infine Lucedio al Conte Paolo Cavalli d'Olivola, padre dell'attuale proprietaria. Il passato religioso di Lucedio è oggi testimoniato dalla presenza delle due chiese che si affacciano sull'ampia corte. La prima, che si incontra sulla destra appena superato il portone di accesso al Principato, è conosciuta come chiesa di Sant'Oglerio o del popolo. Ha dimensioni massicce ed un campanile a pianta quadrata, e da anni è utilizzata come magazzino. Retrostante ad essa, sorge la settecentesca chiesa di Santa Maria, costruita ove un tempo sorgeva la chiesa medievale originaria, ceduta dalla proprietà abbaziale e dall'Arcidiocesi di Vercelli per una somma simbolica alla Provincia di Vercelli. La Provincia, che attraverso l'Ecomuseo delle Terre d'Acqua, si occupa della promozione del sito, ha avviato e seguito, sin dal 2004, la messa in sicurezza delle coperture ed il restauro della facciata e del campanile duecentesco, dalla curiosa forma ottagonale ed impreziosito da numerose decorazioni di epoca medioevale. Nelle bifore dell'ultimo piano si nota un'impronta circolare, nella quale erano inseriti bacini di ceramica che riflettevano i raggi del sole e che, visibili in lontananza dai pellegrini che percorrevano la via Francigena, erano segnale che presso il convento si potevano ricevere vitto e alloggio. Sulla chiesa di Santa Maria sono fiorite numerose leggende, tutte contraddistinte da una vena macabra. Tra queste, la diceria secondo cui il Diavolo, dal vicino cimitero di Darola, ora abbandonato ma un tempo ritrovo per Sabba, sprigionò una forza oscura e crudele contro Lucedio. Quella forza satanica riuscì a vincere la resistenza spirituale dei monaci dell'abbazia, trasformandoli in servi del suo volere. I monaci, così posseduti, cominciarono ad infliggere sofferenze e torture alla popolazione. E mentre il Papa chiudeva l'abbazia, si dice che qualcuno riuscì ad imprigionare quel male oscuro nelle cripte della chiesa di Santa Maria. Cripte che furono poi murate e dove sarebbero di guardia alcuni abati mummificati disposti in cerchio e seduti su troni. Di questi fatti terribili sarebbe stata testimone la "colonna che piange", all'interno della sala capitolare. La colonna di pietra versa ancora oggi le sue lacrime per gli innocenti, condannati e torturati, che vide sfilare davanti a sé. Un fenomeno prosaicamente ricondotto alla particolare porosità della pietra, che si impregna di umidità che poi rilascia lentamente. Altra leggenda vuole che sotto Lucedio si dipartano alcuni tunnel sotterranei che conducono a località imprecisate. Racconti che fanno parte della tradizione e che dimostrano l'importanza assunta dal Principato nella vita locale. Oggi, il complesso di Lucedio è dislocato al centro di un'area di grande interesse naturalistico e al tramonto, quando le risaie sono allagate e il "mare a quadretti" vercellese si riflette a perdita d'occhio, aironi cinerini e una ricca fauna avicola regalano uno spettacolo di straordinaria poesia.

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