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Rain gardens, ovvero giardini della pioggia

Ecco una buona pratica di pianificazione del paesaggio che, se diffusa, potrebbe alleviare le conseguenze di piogge abbondanti e improvvise che caratterizzano spesso i periodi di fine estate. 

  • Raffaella Amelotti
  • Sabato, 29 Agosto 2020
Alcuni esempi di rain gardens Alcuni esempi di rain gardens

 

Ci lasciamo alle spalle un mese di agosto alquanto movimentato dal punto di vista meteorologico: le città del nostro Paese sono state colpite da eventi atmosferici improvvisi e spesso furiosi.

Abbiamo imparato nomi complicati di fenomeni oscuri, come il downburst che ha sradicato alberi e danneggiato i tetti più esposti alle raffiche. Le coperture strappate dalla furia del vento erano in lamiera o peggio in eternit: sono volate in strada lastre metalliche o di fibrocemento di dimensioni considerevoli, con tutti i rischi del caso.

Le precipitazioni abbondanti su un suolo pressoché totalmente impermeabilizzato hanno causato fiumi d'acqua sulle strade e l'allagamento del pianoterra e del seminterrato degli edifici. Inoltre, durante la pioggia, l'acqua accumulata ha trasportato con sé sostanze inquinanti depositate sulla superficie delle strade, con la conseguenza di convogliarla nei corpi idrici.

E' evidente dunque la necessità di contenere il rapido deflusso delle acque meteoriche per evitare gli allagamenti e la contaminazione delle aree naturali: le soluzioni sono da ricercarsi nella creazione nelle aree urbane dei cosiddetti giardini pluviali, i rain gardens, o nell'utilizzo dei tetti verdi. Ma se la realizzazione di questi ultimi è limitata alle nuove costruzioni, i rain gardens sono di più semplice attuazione.

Cos'è un giardino della pioggia 

La struttura è molto semplice: sono bacini depressi, a un livello massimo dal piano di calpestio di -50 centimetri che, sfruttando la pendenza, raccolgono l'acqua che si accumula sulle superfici impermeabili adiacenti (strade, parcheggi, ma anche tetti).

La superficie dei giardini pluviali deve essere pari almeno al 10 % della superficie impermeabile di riferimento.

La struttura si basa su di una sorta di bacino costituito da un livello più profondo in ghiaia, uno strato intermedio a grana più fine e uno superficiale composto per il 50-60% da sabbia, per il 20-30% da compost organico, e per altri 20-30% da terreno del sito.

Essi consentono all'acqua meteorica di defluire gradualmente nel terreno evitando così di congestionare il sistema fognario urbano: attraverso il lento e continuo assorbimento, l'acqua è filtrata dal terreno che la rilascia nel corpo idrico ricettore depurata naturalmente. Si parla di una riduzione del 30 % delle sostanze inquinanti!

Un elemento progettuale molto importante riguarda la scelta delle piante da mettere a dimora che saranno distribuite, in base al livello di umidità del terreno, collocando al centro le piante igrofile, con intorno specie mesofile e lungo il perimetro esterno le xerofite.

E' fondamentale, a livello progettuale, stimare i tempi di svuotamento dell'invaso del giardino pluviale in occasione di precipitazioni particolarmente abbondanti: un periodo troppo prolungato di allagamento andrebbe infatti a danneggiare gli apparati radicali delle piante messe a dimora.

E' possibile inserire un sistema di recupero delle acque di deflusso e il loro riutilizzo per l'irrigazione durante i periodi siccitosi.

La biodiversità urbana

L'utilizzo di specie autoctone favorisce inoltre la biodiversità anche in ambienti urbani: i giardini pluviali diventano l'habitat ideale per ospitare farfalle, insetti impollinatori e avifauna.

Le piante autoctone poi sono resistenti: si adattano con più facilità delle specie esotiche alle trasformazioni stagionali del clima locale, e contrastano gli attacchi di parassiti e specie infestanti.

I rain gardens svolgono così il loro ruolo di abbellimento e decoro urbano ma anche di sensibilizzazione della popolazione verso le tematiche ambientali. 

E proprio per la loro semplicità di esecuzione sono di facile applicabilità anche nei giardini privati per convogliare piccole quantità di acqua provenienti, per esempio, dal tetto dell'abitazione. In fase progettuale è comunque necessario tenere conto di alcuni fattori determinanti quali la superficie del tetto, il numero di pluviali, il tipo di suolo, la sua pendenza e il valore statistico medio di quantità di pioggia riversata per evento (che, ahimè, dovrà essere previsto in aumento).

In contesti fortemente urbanizzati, la gestione dei grandi volumi di acqua piovana che cadono al suolo spesso in tempi ridotti, richiede un giardino pluviale molto esteso oppure composto da un substrato ad elevata capacità drenante.

Purtroppo questa pratica non ha trovato ancora larga diffusione in Italia, ma chissà che dalla necessità non nasca un'opportunità e che, gli effetti disastrosi delle forti piogge estive non convincano i nostri amministratori a mettere in atto soluzioni virtuose e sostenibili per far fronte agli effetti dei cambiamenti climatici!

Per saperne di più

http://bim.acca.it/progettazione-di-un-rain-garden-la-guida-tecnica/ 

https://www.12000raingardens.org/ 

 

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