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I Menhir di Cavaglià

Il complesso, recentemente restaurato dalla sopraintendenza, costituisce una emergenza archeologica unica nel contesto piemontese che rimanda al complesso fenomeno del megalitismo.

  • Loredana Matonti
  • novembre 2011
  • Mercoledì, 30 Novembre 2011

La sensazione di atavica famigliarità, l'atmosfera pregna di magia che sempre aleggia intorno ai menhir esercitano su di noi un fascino irresistibile. Altari, osservatori astronomici, luoghi di cerimonie religiose, epicentri magico-tellurici o soltanto simboli che propiziavano la fecondità? Cosa sono, o sono stati, i dolmen e i menhir presenti in Europa, enigmatici testimoni di un passato ormai troppo lontano per essere decifrato? Antenne di pietra tese tra Cielo e Terra, in gran parte abbattute nel passato per bonificare i terreni o più semplicemente perché pericolose reminescenze di un culto pagano. Menhir in lingua bretone, variante dell'antico celtico, significa "pietre lunghe", a indicare i grandi massi eretti e di varie dimensioni, infissi nel terreno, talvolta incisi su tutta la lunghezza con motivi decorativi o simbolici, che caratterizzano il nord-ovest della Francia. Si trovano sia isolati che a gruppi, a volte in un diverso numero di file parallele secondo disposizioni note come "allineamenti", come quelli che si snodano per chilometri nelle campagne circostanti Carnac a nord di Nantes. Altre disposizioni più frequenti sono i cerchi di pietra "cromlech", di cui Stonehenge è l'esempio più famoso, oppure sono disposti a formare una sorta di vano di roccia, i "dolmen". L'architettura delle grandi pietre può essere considerata in un certo senso il biglietto da visita, anche se ingombrante, di una civiltà della cui reale evoluzione sappiamo ancora molto poco. Associati per molto tempo ai Celti, i menhir in realtà sono molto più antichi e fanno parte di quel fenomeno non ancora del tutto chiarito denominato megalitismo (della Grande pietra) esistito dal 5000 al 1000 a.C. (tardo Neolitico e prima Età del Bronzo). La cultura megalitica, così poco conosciuta e liquidata in fretta come un fenomeno casuale e spontaneo, appartiene quindi a una realtà storica che abbraccia un periodo lunghissimo e assai remoto della storia umana. Le "grandi pietre" infatti, furono utilizzate per realizzare imponenti strutture ben prima delle piramidi d'Egitto. Il fenomeno interessa buona parte dell'Europa dal Portogallo all'Isola di Malta, con le maggiori concentrazioni nelle penisola armoricana e nel centro-sud della Francia, ma è presente in modo significativo anche in nord Africa. In Italia esistono tante altre significative testimonianze, come in Sardegna e in Puglia, dove le "pietre fitte" e i dolmen erano fino a non molti anni fa piuttosto comuni. In Piemonte le segnalazioni cerca la presenza di menhir sono scarse e non sempre attendibili, nel senso che in mancanza di adeguata documentazione archeologica è difficile determinare l'orizzonte culturale a cui appartengono: storico o preistorico. In qualche caso è dubbio anche se si tratti di opera dell'uomo o di emergenze geologiche naturali. Il più discusso è quello presente sulla faccia sud del Musinè (non è del tutto chiarito fino a che punto si tratti di un falso), il più noto quello di Lugnacco, che dopo essere stato per decenni abbandonato e usato come panca, adesso fa bella mostra di se eretto nei pressi del cimitero, ma non sappiamo dove si trovasse in origine. Altre importanti segnalazioni giungono da Briaglia nel cuneese. Anche se i menhir più famosi nel nostro immaginario sono sicuramente quelli trasportati sulle possenti spalle di Obelix, il fido amico di Axterix e del druido Panoramix nelle divertenti striscie create da Goscinny e Uderzo, questi misteriosi massi si rivelano molto più vicini a noi di quanto si pensi. A volte poi, capita persino di scoprirli dietro casa, come è accaduto in questo paesino del Piemonte, Cavaglià. Grosso borgo agricolo-industriale, si trova a una ventina di chilometri da Biella, vicinissimo al lago di Viverone, dove la Serra di Ivrea, la grande morena laterale sinistra del ghiacciaio balteo, sfuma nella piana alluvionale. Data la sua posizione non stupisce quindi la presenza di innumerevoli massi trasportati dal ghiacciaio e la cui presenza, come illustra il pannello didascalico collocato dalla "Soprintendenza per i beni Archeologici del Piemonte e Museo antichità Egizie", era già stata notata dal naturalista svizzero Horace-Benedict de Saussurre che, intorno al 1786, si trovò a transitare da queste parti. L'area archeologica recentemente inaugurata si trova all'ingresso del paese, in prossimità della rotonda: qui a mo' di sentinelle di pietra fanno capolino ben 11 menhir, molti dei quali di notevoli dimensioni, ricollocati a cerchio dagli archeologici. Il merito di averli salvati dalla distruzione spetta a uno studioso di Torino, Luca Lenzi, che intuendo non si trattasse di semplici massi erratici si è battuto perché ne fosse riconosciuta l'origine. Purtroppo né il sito né la disposizione dei megaliti sono quelle originarie, non più individuabili con precisione: negli anni '80 infatti, furono ammassati in una zona poco distante per far posto alla costruzione di alcune villette. Anche alcuni anziani del luogo ancora ricordano che, ai loro tempi, i dintorni del paese erano costellati di pietre coricate o conficcate nel terreno e che alcune furono distrutte con la dinamite per far posto ad una vigna. Dopo lo sbancamento però non è più stato possibile ritrovare i pozzetti nei quali le pietre erano infisse. In base a queste testimonianze e grazie al fatto che in un giardinetto molto vicino all'area dove giacevano i menhir sono stati ritrovati altri massi di forma sospetta (di cui uno piazzato in piedi) si può immaginare che l'intera zona fosse un antico luogo di culto di tutto rispetto. D'altronde il sito era già segnalato su alcuni libri di studiosi locali almeno dagli anni '80 (Ramella, Bellodi), come presunta area megalitica. Nel pannello informativo dell'area archeologica leggiamo che i massi sarebbero stati allineati ed eretti probabilmente tra 4000 e 6000 anni fa, analogamente a quelli bretoni. Le stele ricavate dai massi erratici sono per lo più di gneiss piuttosto duro e arrivano a pesare sino a 25 tonnellate. Che si tratti di manufatti lo hanno rilevato gli accurati studi effettuati, che hanno evidenziato tracce della lavorazione dell'uomo e di come in origine le pietre si dovessero trovare in posizione verticale. In questo modo è stato possibile rilevare tracce di lavorazione con attrezzi litici sulla maggior parte dei blocchi. I giornali locali hanno dedicato molto spazio alla notizia di queste importanti scoperte, scatenando un interesse presso la popolazione della zona che ha portato anche al ritrovamento di una stele ad Alice Castello (vicino a Cavaglià), con iscrizione in latino riferita ad una donna, Nebonia, nome che pare fosse di origine celtica. Altri siti preistorici, presenti nelle immediate vicinanze, suggeriscono comunque che la zona sia stata nell'antichità un importante centro religioso. Cavaglià però non è un eccezione nella zona; a pochi chilometri di distanza, nella Riserva Naturale Speciale della Bessa, è stato ritrovato un altro monolite molto interessante, ora ricollocato proprio davanti la sede della Riserva. Si tratta di una stele di serpentinoscisto, lunga 2,90 metri, che giaceva al suolo con orientamento rivolto a Est-Sud-Est (in direzione dell'alba del solstizio invernale), adagiata in posizione dominante su un cumulo situato al bordo del terrazzo superiore della Bessa. La datazione è molto approssimativa, ma si ipotizza nella seconda età del ferro (IV-II secolo a.C.). Il mistero sulla funzione di tali pietre e luoghi è ancora fitto, sebbene studi archeoastronomici sostengano servissero per osservare il movimento del Sole, della Luna e delle principali stelle. Appare comunque evidente che dietro l'edificazione di un sito megalitico c'è un pensiero, un impulso culturale, l'esigenza di esprimere e sancire qualcosa che rimanga scolpito nel tempo, ma più l'indagine dei megaliti si fa approfondita e più, paradossalmente, si infittisce il mistero sui loro artefici. Forse le risposte sulla provenienza dei loro costruttori, sulla loro conoscenza, sulla religione, rimarranno per sempre nel cuore delle grandi pietre che, silenziosamente, continuano a custodire il segreto del rapporto con la Madre Terra.

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