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Piccolo e giovane: l’unico futuro

intervista a Roberto Burdese a cura di Elisa Rollino

  • Elisa Rollino
  • ottobre 2010
  • Sabato, 14 Agosto 2010

Roberto Burdese, cuneese, è membro del Consiglio di Slow Food Internazionale dall'ottobre 2003 ed è vicepresidente dell'Associazione Amici dell'Università di Scienze Gastronomiche, alla cui costituzione ha partecipato attivamente, sempre al fianco di Carlo Petrini.

In questi anni è cambiato l'atteggiamento dei consumatori di fronte a concetti quali genuinità e "località" dei prodotti?
C'è stato sicuramente un miglioramento della sensibilità delle persone. Il contributo di Slow Food è stato quello di "mettere la lente d'ingrandimento" sul tema. Infatti, mentre la FAO parlava di biodiversità alimentare già dagli anni sessanta, il concetto era perlopiù sconosciuto all'opinione pubblica. Con i nostri progetti si potrebbe dire che abbiamo "popolarizzato" il concetto di biodiversità alimentare, che ha cominciato a circolare anche sui mezzi di comunicazione. Non va dimenticato che manifestazioni come il Salone del Gusto sono stati importanti veicoli per raggiungere su queste tematiche il grande pubblico. Siamo stati, inoltre, tra i primi anche a lavorare su concetti quali economie locali, produzione a km 0, mercati contadini e a recuperare la relazione tra cibo e territorialità.

Consumare può essere inteso come un atto agricolo? Che cosa significa consumo consapevole?
Intanto al termine "consumare" preferiamo quello di "mangiare". La scelta del cibo che decidiamo di mangiare è in grado di determinare il tipo di produzione agricola. Ad esempio, acquistare l'insalata dal contadino significa incentivare la produzione locale. Ma la nostra scelta non influenza solo la tipologia di produzione agricola, dobbiamo tener presente che avrà delle ricadute anche sulla qualità dell'ambiente e sulla nostra salute. Per fare una scelta consapevole è necessario avere un buon grado di conoscenza.

Di che cosa ha bisogno la piccola agricoltura locale per sopravvivere?
Un consumatore consapevole è la prima cosa di cui ha bisogno. È auspicabile che si instauri un rapporto diretto tra l'agricoltore e il cittadino che vive vicino al luogo in cui viene prodotto il cibo che sceglierà. Il cittadino in questo modo diventa co-produttore, invece di consumatore passivo, stabilisce un'alleanza con il contadino, diventa un soggetto consapevole e corresponsabile delle ricadute positive delle sue scelte sulla produzione locale. Poi sono importanti le leggi dedicate al tema.

La promozione di prodotti tipici può avere degli effetti positivi sulla conservazione della biodiversità?
Il ruolo della produzione tipica nella conservazione della biodiversità e quasi imprescindibile.
Oggi buona parte della biodiversità animale e vegetale è arrivata a noi attraverso i piccoli produttori che agivano su scala locale. Si può dire che si è salvata la biodiversità che era stata dimenticata. Infatti dal secondo dopoguerra in poi, con l'industrializzazione dell'agricoltura, si sono man mano selezionate piante e animali che potevano assicurare una maggiore resa e minori rischi. Il caso del mais è esemplare: esistevano migliaia di varietà del prodotto, poi quasi tutte sono finite nelle zone di produzione marginale, mentre la grande produzione ha preferito un numero ridotto di varietà, generalmente quelle commercializzate dalle multinazionali nel mercato delle sementi.

Quale dovrebbe essere il ruolo dei Parchi nel promuovere forme di produzione locali?
Nelle aree protette si è conservata la maggior parte della biodiversità agricola.
Spesso i parchi nascono proprio in zone marginali, che l'agribusinness non ha attaccato. Sono grandi le potenzialità delle aree protette, e la produzione agricola-alimentare potrebbe essere per i parchi il miglior biglietto da visita per attirare i flussi turistici e gli investimenti. Nei parchi larga parte della visione di Slow Food è stata realizzata, molti dei nostri progetti sono in corso in queste zone. Lavoriamo con molte aree protette nazionali e in alcune di esse abbiamo creato dei presidi. Alla fine degli anni novanta Slow Food ha realizzato l'"Atlante dei prodotti tipici dei parchi italiani" e in quell'occasione abbiamo scoperto prodotti straordinari che pensavamo ormai scomparsi.
In Italia l'età media degli agricoltori sembra essere elevata rispetto al resto d'Europa, è necessario un ricambio generazionale.
Il ricambio è essenziale. Dobbiamo renderci conto però che l'agricoltura iperproduttiva è la meno adatta per il territorio italiano. Infatti non possiamo competere nel mercato dell'agricoltura industrializzata per la specificità stessa del nostro territorio, molto vario dal punto di vista morfologico e climatico. La forza dell'agricoltura italiana risiede nelle aziende medio-piccole. Le scelte che vanno nel senso della produzione locale vanno sostenute sia a livello di enti pubblici che di associazioni private.
Elisa Rollino, laureata in Comunicazione multimediale e di massa, ha discusso una tesi dal titolo I parchi piemontesi tra vecchi modelli e nuove professioni. Collabora con Piemonte Parchi e ha curato per la rivista gli inserti dedicati alla fruizione del territorio e il sito www.piemonteparchi.it

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