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Reinventare il gusto, reinventare il cibo

Il concetto di "patrimonio" culturale viene oggi spesso applicato al cibo e alle culture del gusto. È un processo ricco di conseguenze anche sulle culture locali. Si può intendere il cibo tradizionale come un patrimonio locale?

  • Enrico Camanni Cristina Grasseni
  • ottobre 2010
  • Giovedì, 14 Ottobre 2010

Uno dei problemi più urgenti e complessi del nostro tempo è la conciliazione tra gli imperativi del globale e i diritti del locale, perché globale e locale si scontrano spesso in un cortocircuito di pregiudizi, arroccamenti e perdite. È arduo il passaggio dalle società parzialmente autosufficienti del passato, in cui i ritmi vitali avevano un andamento circolare fondato su processi rituali e riferimenti certi, e la nostra società fortemente omologata e mondializzata, dove lo sviluppo è pilotato da scelte e decisioni quasi sempre lontane dai luoghi e dalle esigenze del vivere quotidiano.
Allora viviamo sospesi tra la nostalgia di un mondo più "genuino" e "naturale", che di solito è frutto dell'idealizzazione del passato (com'era bello ieri...), e la tentazione di abbandonarci a logiche e proposte buone per tutti, ma insipide come i prodotti del supermercato. Il dilemma è che non basta rispolverare le antiche usanze, perché la tradizione evolve oppure muore, ma non si può nemmeno accettare il modello unico che spazza le culture e le memorie locali.
Se c'è un campo nel quale tradizione e innovazione hanno saputo trovare un incontro, questo è il gusto. O il cibo, se preferite. La cultura del mangiare è forse la più radicata nelle profondità della società umana, perché esprime un insieme di valori ancestrali di sopravvivenza, piacere e condivisione. La tavola è il primo luogo di incontro delle persone, ma è anche l'incontro tra i prodotti della terra (la natura) e le tecniche dell'agricoltura (la civiltà). In tavola si misura il sapere e il sapore di una cultura. Ecco dunque il significato del mangiare e il valore antropologico della recente "riscoperta" del gusto, che non consiste solo nel riesumare vecchi cibi e antiche ricette, e nemmeno nel servirli con un'etichetta diversa. La nuova cultura del cibo si basa su un processo (riuscito) di ibridazione tra antico e moderno, su una reinvenzione della tradizione secondo tecniche, prodotti e gusti nuovi, perfettamente aderenti al vivere attuale.
È stata una piccola grande rivoluzione, ed è esattamente ciò di cui abbiamo bisogno. In ogni campo.
Enrico Camanni

Il problema del cibo nella società contemporanea è un problema multidisciplinare: la sua analisi comporta la presa in considerazione di elementi di logistica e di economia, di biologia e di chimica, di storia e di antropologia. I sistemi di produzione del cibo locale sono sistemi sociali, basati su reti di relazioni (commerciali, amicali, politiche etc.) e quindi necessariamente esprimono valori, da un lato, mentre dall'altro impattano sulle forme visibili del territorio e del paesaggio. Tutto ciò appare particolarmente chiaro nel caso dei formaggi d'alpeggio, che affrontano ora il problema strategico di una loro ricollocazione nell'era della "patrimonializzazione" come tendenza globale. In questi processi (come quello per il riconoscimento Unesco per esempio), il cibo viene riscoperto e reinventato, sia come risorsa di sviluppo locale che come emblema, sintomo e simbolo di una qualche identità, collettiva o territoriale.
Criticando il concetto di patrimonio, Berardino Palumbo mostra sulla base della sua etnografia in Sicilia orientale come si tratti di costruire un sentimento di appartenenza comunitaria, negoziando e manipolando lo spazio pubblico, il simbolismo culturale e la pratica amministrativa. Di contro a una nozione di identità monolitica cui spesso ingenuamente il concetto di patrimonio si rifà, occorre spiegare come le identità locali siano effetto di processi dinamici di costruzione di sentimenti di appartenenza ma anche di strumenti intellettuali e politici, di relazioni sociali ed economiche che si radicano via via nei diversi contesti e rimandano necessariamente a qualcosa di più vasto e diverso che non un "patrimonio" da possedere e conservare.
Studiare le trasformazioni dei sistemi produttivi tradizionali nell'arco alpino ci insegna che una delle condizioni per l'accesso al mercato è quella della loro standardizzazione. Dalle materie prime agli animali che le producono, al marketing del prodotto, questo significa cambiare, insieme ai sistemi tecnici e alle culture materiali della produzione, anche un sistema sociale e un equilibrio di relazioni locali. Il modo in cui i prodotti locali sono trasformati, distribuiti e consumati, insieme alle modalità della loro appropriazione simbolica, è il terreno di trasformazione della "reinvenzione del cibo". Questa può essere positiva per le località, qualora mobiliti strategie ed energie per la valorizzazione dei territori e delle culture, cioè storie e ricette locali, paesaggi e saper fare. Può anche essere negativa nella misura in cui la standardizzazione omologa i saperi viventi, oblitera culture materiali specifiche e riduce la diversità culturale dei cibi. Questo delicato bilanciamento dipende da una serie complessa di processi, compresa la rivalutazione del cibo come patrimonio, il quadro giuridico che regola le denominazioni geografiche protette, o il sistema di distribuzione e commercializzazione.
Sono diversi gli attori sociali e istituzionali che stanno riscoprendo il cibo come oggetto topico per pensare insieme i temi della sostenibilità e dell'innovazione responsabile.
Alcuni fenomeni contemporanei sono particolarmente interessanti in quanto sembrano coniugare questi due aspetti, mettendo a fuoco la possibilità di sviluppare nuovi stili di vita: è il caso del consumo critico, per esempio. La ricerca del rapporto diretto tra produttore e consumatore da parte dei consumatori "urbani" e il neo-ruralismo (l'arrivo di nuovi residenti – spesso piccoli imprenditori locali – nelle zone rurali), con la sua incidenza non solo culturale e sociale ma anche economica rispetto alla vitalità delle nostre campagne, ci dà un altro esempio di possibili nuove modalità di produrre e pensare il cibo. Tuttavia questo spesso coincide con l'omologazione a circuiti globali, reali e virtuali, del cibo e delle sue immagini. Il marketing del territorio è fortemente legato, per esempio, al marketing dei saperi/sapori locali, in modi che possono a volte scadere in icone stereotipizzate dell'idillio rurale. L'idea stessa del "prodotto tipico" risulta dalla convergenza di due processi distinti e contraddittori: innanzi tutto la domanda di cibi di nicchia, localmente prodotti, tradizionali, introvabili altrove (nella località e nella tradizionalità ci si aspetta di trovare garanzie di trasparenza e qualità). Tuttavia proprio il successo dei circuiti locali di commercializzazione e co-produzione di prodotti soprattutto agricoli e gastronomici (dai farmers' markets ai gruppi di acquisto solidale) indica la potenzialità "globale" della riscoperta dei prodotti "tipici", in quanto locali.
Non dimentichiamo che il cibo è un fatto sociale, il suo consumo è regolato e ritualizzato da convivialità e festività, ma anche da distinzioni di età e classi sociali. Il sociologo Zygmunt Bauman ha a suo tempo sottolineato come la globalizzazione possa valorizzare il locale se lo costruisce come "tribale".
Ciò che viene valorizzato o deprezzato a livello locale può quindi essere deciso da dinamiche largamente esterne ai contesti che impattano: dal mercato, da agenzie internazionali di sviluppo o da legislazioni nazionali e comunitarie.
Tuttavia, il lato "glocale" della reinvenzione del cibo comprende la riscoperta della storia locale, delle particolarità del territorio e delle culture.
Nella regione alpina, le strategie locali di reinvenzione del cibo diventano apprezzabili anche in termini economici soprattutto se legate alla commercializzazione del formaggio d'alpe e al sistema delle malghe.
Appare chiaro per esempio che la caseificazione in alpeggio legata alla tradizione della monticazione stagionale è "marginale" e "residuale" solo se misurata con i canoni dell'agricoltura e dell'allevamento intensivi. Sebbene sottoposta a notevoli pressioni burocratiche e normative, l'ecologia della cultura di alpeggio segue pratiche e strategie diverse a seconda dei contesti, e in alcuni casi si rivela vincente proprio nella costruzione di "prodotti di nicchia". Penso allo Strachitunt della Valtaleggio o al Bitto delle Valli del Bitto.
I sentieri imboccati in ciascun contesto territoriale e produttivo - verso la denominazione di origine protetta, piuttosto che nella direzione della commercializzazione diretta o viceversa nell'immissione nella grande distribuzione - hanno determinato effetti locali molto diversificati. Ciascuno merita di essere approfondito.
Da artefatto locale e artigianale, radicato nelle pratiche e negli ambienti che lo producono sia fisicamente che socialmente, il cibo locale viene progressivamente dislocato nei circuiti globali del marketing, ma anche della logistica, dell'innovazione tecno-scientifica e della regolazione giuridica. Per questo il cibo ci affascina, raccogliendo in sé molti aspetti cruciali della vita: i sensi e la memoria, la quotidianità e il rito, l'abilità professionale e le relazioni di potere.
Cristina Grasseni


Cristina Grasseni insegna Antropologia culturale ed Ecomuseologia all'Università di Bergamo. Tra le sue pubblicazioni: Developing Skill, Developing Vision. Practices of locality at the foot of the Aps, 2009; Luoghi comuni. Antropologia dei luoghi e pratiche della visione, 2009 e Ecomuseo-logie. Pratiche e interpretazioni del patrimonio locale, 2010.

Per saperne di più:
-Faoro L., Kezich G. E Meoni M. L. (a cura di), Pane e non solo. Etnografia e storia delle culture alimentari nell'arco alpino, SPEA-Annali di S.Michele, 19, 2006.
-Grasseni C., La reinvenzione del cibo. Culture del gusto fra tradizione e globalizzazione ai piedi delle Alpi, Qui Edit, Verona, 2007.
-Grasseni C., Salomone, S., Messina M. (a cura di), La reinvenzione del cibo. Numero monografico di Culture della sostenibilità, n. 6, Franco Angeli, 2009.
-Petrini C., Terra Madre. Come non farci mangiare dal cibo, Firenze, Giunti/Slow Food, 2009.
-Viazzo P., Woolf S. (a cura di), Formaggi e mercati. Economie d'alpeggio in Valle d'Aosta e Haute-Savoie, Le Chateau, Aosta, 2002.

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