La diversità biologica è ben studiata sulle Alpi proprio nella sua "diversità" e a seconda della specificità di ogni parco e della sua storia, vengono monitorati gli ungulati, alcuni gruppi di uccelli, gli invertebrati più significativi, le acque e molti aspetti botanici, dalle piante vascolari a muschi e sfagni.
I parchi di tutto l'arco alpino sono infatti sentinelle particolarmente efficienti. Nonostante la cronica mancanza di mezzi e personale, ogni area protetta riesce a partecipare a ricerche transfrontaliere o europee, e a attivarne alcune proprie. Gli enti più antichi poi hanno sequenze decennali di dati che costituiscono un termine di paragone particolarmente prezioso per i veloci fenomeni degli ultimi anni.
A tale proposito si è svolto lo scorso settembre, a Ceresole Reale (TO), un interessante workshop dedicato all'influenza del cambiamento climatico sulla biodiversità in ambito alpino. Organizzato da ALPARC, la rete che riunisce le aree protette delle Alpi, è stato ospitato dal Parco nazionale Gran Paradiso, il cui nuovo Centro visitatori presso lo storico Grand Hotel, intelligentemente riconvertito a un nuovo utilizzo, ha accolto una trentina di scienziati e ricercatori di diversi Paesi.
Il convegno ha offerto la possibilità di illustrare alcuni progetti in corso, rappresentativi di metodologie di analisi e di oggetti di studio differenti, quali il monitoraggio della fenologia delle conifere mediante webcam (il progetto e-Pheno della Regione Val d'Aosta); la rete francese per lo studio del Caricion bicoloris atrofuscae (una piantina tipica delle torbiere d'alta quota, eccellente tornasole di habitat o clima variati); il censimento dell'avifauna nelle Alpi bavaresi; i laghi alpini come sentinelle del cambiamento climatico; il confronto fra dati botanici storici e quelli attuali, indagando le stesse vette citate negli studi di metà Ottocento. L'ultima presentazione ha raccontato il progetto Biodiversità nelle Alpi occidentali italiane, che da anni coinvolge tre parchi piemontesi: il Gran Paradiso, l'Alpe Veglia-Devero e l'Orsiera Rocciavré. I risultati sono stimolanti anche se l'età dei ricercatori e dei guardiaparco si alza e, in assenza di ricambi giovani, è arduo mantenere la prestanza fisica per salire rapidamente in quota e catturare veloci insetti al volo.
Tutti i lavori hanno confermato le correlazioni tra modifiche ambientali e cambiamento climatico e tutti hanno ribadito l'importanza di continuare simili studi e, anzi, di incrementarli, ampliando la rete degli operatori e lo scambio continuo delle conoscenze. Le aree protette dispongono di personale preparato e appassionato, di strutture utili e di capacità progettuali. Possono quindi garantire monitoraggi interdisciplinari a lungo termine, se il loro ruolo chiave nell'analisi del cambiamento climatico e della biodiversità viene riconosciuto e condiviso. In pratica, se vengono messi in condizione di lavorare senza interruzioni possono costituire - come in tanti altri campi, dall'educazione ambientale al turismo verde - veri e propri laboratori sul campo dove sperimentare azioni e pratiche successivamente esportabili anche all'esterno dei loro confini. Proprio gli scopi per i quali l'Unione Europea e la Regione Piemonte hanno costituito la Rete Natura 2000, la cui legge istitutiva, approvata nel 2009, è sottoposta a revisione negli ultimi mesi.
Il workshop ha offerto ai partecipanti la dimostrazione del protocollo di monitoraggio della biodiversità animale in un ecosistema montano durante un'escursione nel Parco del Gran Paradiso. I guardiaparco hanno contribuito alla magnifica riuscita dell'evento non solo con le loro competenze tecniche e scientifiche, ma anche con quelle culinarie: la squisita polenta offerta nella spettacolare palazzina di caccia del re Vittorio Emanuele II al termine del convegno.
Informazioni e abstract delle conferenze si possono trovare sul sito web di ALPARC