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Topini, anzi rondini del Po

La sorte dei topini dagli occhi bistrati di nero è adattarsi, oppure rischiare l'estinzione. Certo è che una oculata gestione del territorio può aiutare questo simpatico uccellino a sopravvivere incontrando minori difficoltà. 

  • Laura Succi
  • Marzo 2020
Giovedì, 19 Marzo 2020
Esemplare di Riparia riparia |  Aiwok / CC BY-SA (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0) Esemplare di Riparia riparia | Aiwok / CC BY-SA (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0)

 

Migrano con la luce del sole. In tanti scelgono la via della Spagna, così appena usciti dalle dune del Marocco sono alla Rocca di Gibilterra, poi in Tarragona alla foce dell'Ebro, dopo in Camargue, tra i cavalli bianchi con le zampe a mollo nelle acque salmastre. Altre volte usano come ponte l'Italia oppure i Balcani, mentre molti attraversano direttamente il mediterraneo entrando in Italia dal meridione, ma proprio tutti arrivano dal Sahel, in arabo Sāḥil o Sāḥel, Pianura costiera, che per estensione è il bordo sud del deserto del Sahara e quello nord della savana arborata dell'Africa centrale, la striscia di terra che percorre il continente in orizzontale, dall'Atlantico al Mar Rosso.

Viaggiano a frotte, sono veloci, fanno picchiate fino ai 60 km all'ora e coprono anche oltre 400 chilometri in un solo giorno. Un tragitto di quasi 5.000 chilometri per degli affarini che pesano 15 grammi. Sono i topini dagli occhi bistrati di nero, nome scientifico Riparia riparia, che appartengono alla stessa famiglia delle rondini.

Una sosta migratoria

Il dato di fatto è che tutte le primavere arrivano a nidificare sul nostro Fiume Po, lo fanno nel mese di marzo, per essere pronti a costruire le loro colonie intorno al 10-15 aprile. Ripartiranno in ottobre.

Quelli che risalgono dalla Mauritania ricalcano con esattezza la strada più breve verso nord che ci mostra Google Maps. Li guarda passare l'occhio del Sahara. Un occhio enorme blu e verde di oltre 40 chilometri di diametro che è ben visibile dallo spazio. Si tratta della Struttura di Richat (o Guelb El Richat), quel gigantesco rialzo roccioso levigato dal tempo che risale a più di 100 milioni di anni fa.

I topini lo vedono certamente a colori, ma anche molto più che così, vista la loro capacità di percepire la luce nella banda dell'ultravioletto (UV). Per fare un esempio ciò che sembra essere un ammasso verde per gli esseri umani, sono invece foglie chiaramente distinguibili per loro che vedono con una vista acuta; il riflesso della luce da parte della cuticola cerosa delle foglie cambia in mille sfumature a seconda della pianta e dell'ambiente in cui vive ed è davvero utile agli uccelli, anche durante le migrazioni.

Il Sahel può anche essere rappresentato con l'isoieta 250 mm a nord e da quella di 500 mm a sud, cioè una curva immaginaria che chiude quella zona ecoclimatica interessata dalla stessa quantità di precipitazioni nell'unica stagione delle piogge, da giugno a ottobre.

Una specie in forte diminuzione 

Ed è stata proprio una questione di piogge, in questo caso della loro assenza, la causa della grave siccità che ha colpito il Sahel tra il 1970 e il 2000 e ha provocato una importante diminuzione della popolazione. Negli ultimi 15 anni la scena cambia, le condizioni climatiche si sono fatte meno estreme grazie alla quantità più stabile di precipitazioni estive. Perché allora i topini sono ancora in calo in tutta Europa e nel mondo? A questo punto le ragioni sono da ricercare nella diminuita qualità o perdita degli ambienti in cui vivono, che sono costantemente sotto attacco.

In Sahel gruppi etnici differenti, berberi o berberizzati e vari ceppi sudanesi, allevano capre, dromedari, bovini nelle sezioni settentrionali e coltivano cereali, come il sorgo e il miglio nel meridione, dove ci sono pozzi e dei corsi d'acqua perenni, come nell'area del 'delta interno' del Fiume Niger, dove l'agricoltura è anche fatta di vaste coltivazioni di cotone e di arachidi. Ed è proprio dove c'è acqua che la pressione dell'uomo e delle sue attività è in crescita, proprio lì dove svernano i topini che vivono sull'acqua acchiappando al volo come razzi moscerini, zanzare e altri piccoli insetti.

Scavano i loro nidi nella terra, in fondo a lunghe gallerie che si insinuano in orizzontale anche per un metro e mezzo. Hanno bisogno di sponde scoscese sgombre dalla vegetazione, cumuli di sabbia friabile, rive terrose, ed è nella natura delle cose che il loro ambiente sia quello delle acque dei fiumi. Proprio quegli gli ecosistemi ripariali minacciati da molteplici esigenze umane e dalla costruzione di infrastrutture di controllo delle inondazioni.

Il monitoraggio lungo il Po

Alberto Tamietti, guardiaparco delle Aree protette del Po torinese e ornitologo, ha pubblicato recentemente su Avocetta, insieme ai ricercatori Giulia Masoero, Giovanni Boano e Enrico Caprio, un monitoraggio a lungo termine, 1970-2016, di una popolazione di topino che nidifica lungo il Po ed è la conferma che la canalizzazione dei corsi d'acqua e la conseguente alterazione delle dinamiche fluviali ha creato uno sconquasso a tutte le latitudini: "Questi uccelli ne hanno subito le conseguenze: o estinguersi o adattarsi alle nuove condizioni. Ed è per questo che i topini che prima nidificavano sulla sponda del fiume si sono trasferiti nelle cave di sabbia e di ghiaia nei suoi paraggi", racconta.

L'area di studio è situata lungo un tratto di 25 km nelle Aree protette del Po torinese (il cui territorio dal prossimo luglio prenderà il nome di Parco naturale del Po piemontese), a sud di Torino, e include tutte e quindici le cave che operano in zona. "I dati sono stati raccolti usando il sistema cattura - applicazione di anello di riconoscimento univoco sul tarso di ciascun animale catturato - ricattura negli anni seguenti: i topini sono stati presi con reti che non recano loro alcun danno, soprattutto al mattino quando sono più attivi. Questa È una tecnica che ha ormai almeno un secolo di vita. Con i dati di ricattura rilevati negli anni si può applicare un modello matematico che tramite l'analisi cattura-applicazione anello-ricattura con un software specifico (Mark) permette di ottenere dati sulla sopravvivenza della popolazione nell'area di studio" racconta Tamietti.

Cava Ceretto per esempio è da tanti anni un luogo ideale per la loro vita. Clara Garigliano, dottore forestale che si occupa del recupero ambientale e di tutta la gestione del ripristino della cava, che appartiene a Unical e fa parte del Gruppo Buzzi Unicem Italia, spiega: "I topini ormai sono abituati all'attività di cava, anche se il rumore è costante, i movimenti di operai e macchinari sono distanti, quindi loro sanno che non c'è pericolo e se ne stanno tranquilli". Fanno i nidi sui fronti sabbiosi a ridosso dell'acqua che sono smantellati quasi tutti gli anni: "La draga natante scava e così facendo fa franare la terra sulla sponda opposta, non si tratta di un intervento meccanico sul posto ma di un'azione indotta da lontano". Nidificano in sicurezza quindi, e secondo precisi accordi con l'Ente parco. "Tutti gli anni" dice "gli scavi vengono sospesi nel periodo della nidificazione, nel senso che per quei venti giorni non facciamo franare quell'area lì, poi riprendiamo", racconta. 

In una zona sicura della cava ci sono anche percorsi che usano i bambini e le scolaresche che vengono in visita accompagnati dal prof. Casanova di Pro Natura e da Roberto Ostellino di Alcedo, associazioni che hanno accordi con la cava per la gestione dell'Oasi Botanico Ricreativa del Ceretto, il progetto di riqualificazione ambientale di questo sito estrattivo che da trent'anni rappresenta un punto di riferimento per la didattica ambientale per le scuole del territorio e per il pubblico.

Roberto Ostellino sorride ancora adesso ripensando quando durante una delle escursioni a un certo punto dice: "Ecco i topini! Guardate quanti ce ne sono!" Al che tutti i bambini, insegnanti compresi, guardano a terra a destra e a manca, cercando di capire come e da dove stesse arrivando l'invasione dei temibili roditori.

Il monitoraggio delle colonie è in continua evoluzione e Tamietti ha dati confortanti: "Nel 2019 sono state censite quattro colonie nelle cave Ceretto, Germaire, Provana e Zucca e Pasta, per un totale di 901 nidi e inanellati 338 individui di topino con molte ricatture di individui inanellati negli anni precedenti. Abbiamo anche preso due topini stranieri, uno con un anello francese e uno spagnolo e siamo in attesa di ricevere la localizzazione esatta degli inanellamenti".

L'esperienza ci dice quindi che la prima cosa da fare è preservare l'ambiente fiume, perché quello è l'habitat naturale dei topini, ma anche che le potenziali aree di nidificazione all'interno delle cave dovrebbero essere sempre più protette con progetti particolari, visto che pure quei territori particolari non sono evidentemente privi di minacce. La massima cooperazione tra le parti interessate, in questo caso Ente-Parco e cavatori, ha però dimostrato con chiarezza la sua importanza fondamentale, e proprio perché negli anni si è fatto tanto in questa direzione i topini ne hanno beneficiato. Possiamo dunque dire con soddisfazione che la popolazione di topini del Po torinese è in salute ed è stabile. E chissà, forse se potessimo comprendere la loro lingua scopriremmo che ci ringraziano su xeno-canto ci sono le loro voci, come quelle di tutti gli uccelli del mondo.

 

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