Stampa questa pagina

Quanti e quali pesci ci sono nel Po?

La salute del Fiume Po è migliore rispetto la seconda metà del secolo scorso, quando i fenomeni di inquinamento erano molto evidenti. Tuttavia, non è tutto oro quello che luccica: il problema principale resta la gestione delle risorse idriche, la flora e la fauna ittica invasive. 

  • Laura Succi
  • Marzo 2020
Domenica, 5 Aprile 2020
Primo piano di pigo adagiato su fondo sabbioso | Foto C. Galasso Primo piano di pigo adagiato su fondo sabbioso | Foto C. Galasso

 

Il Po visto dall'alto è imperturbabile, astratto, immobile, un segno grafico sulla Terra. Basta uno zoom, magari quello delle mappe di Google, per fargli prendere vita. Subito dopo tante domande si rincorrono: il fiume è in salute? Oppure presenta delle criticità? E quali sono? Le sue acque sono più o meno pulite rispetto al passato? I suoi pesci sono pochi o sono tanti? Sono nostrani o arrivano da territori lontani?

Giancarlo Perosino, naturalista, è il collettore per la Regione Piemonte di tutti i dati che riguardano i campionamenti dell'ittiofauna effettuati ai fini sia della tutela della fauna acquatica dalla Regione, sia dei piani di tutela delle acque previsti dalle normative vigenti da parte dell'ARPA. Nessuno meglio di lui è in grado di descrivere con puntualità lo stato dei fatti. "La qualità chimico fisica delle acque nel territorio piemontese in generale e del Po in particolare non è migliorata e non è neanche peggiorata, grosso modo negli ultimi anni è rimasta la stessa; sì ci sono casi sporadici di inquinamento nel Sangone e nel Chisola, ma influenzano poco il contesto nel suo complesso", spiega. 

Il fiume sta meglio di qualche tempo fa

La situazione è decisamente più positiva rispetto alla seconda metà del secolo scorso quando i fenomeni di inquinamento erano evidenti, con pure alcune situazioni compromesse in modo eccezionale, come il Bormida dell'Acna di Cengio. La tendenza pare essersi invertita, in primo luogo grazie alla costruzione di depuratori, ma anche per la parziale riduzione delle attività industriali che hanno caratterizzato il territorio per decenni. Il risultato in termini di ricchezza di esseri viventi che popolano le acque si vede. Per esempio, nel tratto del Po cittadino e soprattutto a monte, si sono conservati ambienti ricchi di vegetazione, macchie e boschetti subacquei, che stanno offrendo rifugio in particolare agli esocidi e a molte specie di ciprinidi di fondo, pesci tipici delle nostre acque.

Non è tutto oro quello che luccica però, e lo stato ottimale è lontano dall'essere raggiunto. Il problema principale resta la gestione delle risorse idriche: "La Regione Piemonte si è data delle regole, esiste un piano di gestione delle acque e dei regolamenti che stabiliscono le portate minime che devono essere lasciate al fiume al netto delle derivazioni, ma queste restano in parte disattese, soprattutto per mancanza dei controlli. Le verifiche infatti non sempre sono facilmente praticabili, e questo per varie ragioni che vanno dal sempre più ridotto personale delle pubbliche amministrazioni alla sete di acqua dell'agricoltura", dice Perosino. 

Il punto dolente sono le siccità estive sempre più pronunciate e le derivazioni d'acqua, per usi idroelettrici, soprattutto in montagna e agricoli in pianura. Sempre più spesso la situazione è drammatica, interi corsi d'acqua vengono totalmente prosciugati, ed è lapalissiano che senza acqua il fiume non esiste più. E quando l'acqua è scarsa gli effetti delle sostanze inquinanti sono esaltati e i processi di autodepurazione funzionano male fungendo da concausa alla crescita abnorme delle piante acquatiche normalmente presenti, come recentemente accaduto nel tratto del Po cittadino, con il risultato di causare squilibrio.

Il problema della flora e fauna esotica invasiva

Di conseguenza argomento correlato di discussione è l'eliminazione artificiale delle idrofite, prima tra tutte il Myriophyllum acquaticum, una pianta infestante particolarmente aggressiva originaria del Sud America dalle radici carnose che si insediano nel fondale o che si aggrappano ai materiali solidi, ai ciottoli per esempio. Per Perosino la loro eliminazione meccanica è del tutto inutile: "E' sufficiente una piena annuale per ripulire tutto ciò che serve: il lavoro artificiale di rimozione non è risolutivo, non sarebbe comunque possibile eliminarle tutte, quelle che rimarrebbero ricrescerebbero rigogliose e saremmo di nuovo daccapo. Anche l'idea di asportarle dalla parte centrale del fiume tralasciando le sponde non è realizzabile visto che è impossibile per chi fa materialmente questo lavoro stabilire con esattezza dove intervenire".

Un'altra spina nel fianco è l'inquietante diffusione di specie ittiche originarie di altri paesi europei alle spese di quelle nostrane che di conseguenza scompaiono. "Di fatto è in atto un'invasione di pesci-alieni, dice Perosino. Quando si va a pescare o si fanno i campionamenti e si trova qualche cavedano, o qualche vairone, o un paio di lasche, si stappa la bottiglia!". Impossibile pensare a interventi risolutivi anche perché appaiono sempre nuove specie, è una lotta senza fine, o meglio, senza confine.

Tra i pesci autoctoni c'è anche il pigo, una specie molto difficile da trovare e molto rara che spesso sfugge alle catture a scopo scientifico, ma che certi pescatori riescono a scovare: si stanno divertendo con lui immediatamente a monte del ponte sul Po a Moncalieri. "Teniamo presente, precisa Perosino che oggi la maggior parte dei pescatori non mangia più il pesce, lo pesca e lo ributta in acqua, e non causa danni di spopolamento. "La questione è che mentre prendono i pighi pescano anche i barbi e spesso questi barbi sono barbi europei o ibridi". Il barbo autoctono è presente oggi come lo era cinque o sei anni fa, ma di recente anche nel tratto cittadino sono iniziate le catture di alieni come i barbi europei. Perosino è preoccupato per gli effetti futuri dell'invasione degli esotici: "Stanno risalendo il Po, con quali conseguenze lo vedremo solo fra qualche anno, adesso siamo solo all'inizio".

Le specie autoctone che resistono

Nonostante tutto le specie che da sempre vivono nel Po, come le trote marmorate e i cavedani, resistono. Al Valentino ci sono anche i lucci, gli splendidi predatori del nostro fiume. Il corso d'acqua in questo tratto è relativamente tranquillo, arrivato in pianura deve affrontare la collina di Torino, è costretto ad aggirarla e questo blocco rende le sue acque meno turbolente. Nel tratto cittadino le barriere artificiali lo rallentano ancora rendendo le sue acque adatte alla navigazione, ma anche allo sviluppo delle piante acquatiche di cui il luccio ha bisogno per deporre le uova.

Ma quale luccio? Fino a 10 anni fa lo si riteneva una specie europea con un areale di distribuzione comprendente anche l'Italia, poi gli studi sistematici si sono raffinati, anche grazie all'indagine del DNA, e si è constatato che il luccio italico (Esox csalpinus) è una specie diversa da quella europea (Esox lucius). "Accade anche per altre specie ittiche, come la scardola, il temolo, il gobione.... Stiamo scoprendo poco alla volta che sono diverse da quelle europee, magari realizzeremo che tutte le specie in Italia sono endemiche, d'altra parte è anche prevedibile visto che siamo separati dal centro Europa dalle Alpi", spiega Perosino.

"Nel Po a valle di Torino, nel chivassse e nell'alessandrino, la situazione è la stessa", racconta Massimo Pascale, ittiologo che ha collaborato alla redazione del piano di gestione delle Aree protette del Po vercellese-alessandrino. "Le nostre specie diventano sempre più rare mentre quelle aliene vivono bene e sono in espansione verso monte. Il siluro, per esempio, originario del bacino del Danubio, fino a una decina di anni fa era stato rinvenuto a valle di Chivasso, mentre di recente i dati di campionamento lo individuano a monte di Torino, nel territorio di Moncalieri, alla confluenza del Chisola".

L'aspio invece, per fortuna, al momento vive solo nelle acque lente della pianura alessandrina. Anche questa specie è originaria del Danubio, ed è una vera calamità per l'ambiente acquatico. Bisogna sapere che le acque sotto riva sono adatte ai pesci di piccole dimensioni che si radunano lì nelle prime fasi di vita. La sciagura è che negli ultimi anni gli avannotti di aspio occupano quegli spazi e non c'è posto per le altre specie. C'è sempre meno spazio per gli altri pesci anche al centro della corrente dove gli aspi si spostano una volta arrivati ai due o tre chili, quando iniziano a predare, a differenza degli altri ciprinidi che amano mangiare insetti e piccoli crostacei e molluschi, questi pesci mangiano anche i consimili. Altri ambienti come le rapide o comunque le acque che scorrono molto veloci sono invase da barbi europei, con il risultato che l'ambiente è saturo e le specie autoctone vengono sfrattate.

Una nuova area naturale da tutelare

Un fiume raccoglie le acque del suo bacino imbrifero, le depura attraverso il sistema complesso di organismi viventi che lo popola, e le porta altrove. Proprio come essere vivente ha bisogno di condizioni favorevoli e di equilibrio per prosperare e, dunque, per analogia, può essere considerato tale. Un essere vivente a tutti gli effetti, per legge, lo è già il Fiume Whanganui, un corso d'acqua lungo 145 chilometri che si trova sull'Isola del Nord della Nuova Zelanda, sacro ai Maori, che dal 2017 non solo è tutelato come parco ma anche con lo status di persona giuridica quale ''essere indivisibile e vivente con tutti i suoi elementi fisici e spirituali''.

Nei prossimi mesi anche il Po piemontese sarà un parco a tutela di un unico nastro di acqua e di natura di oltre 150 chilometri, un fiume con la sua foresta in divenire a disposizione di tutti. Sarà così che vedrà la luce un nuovo essere vivente. 

 

Potrebbe interessarti anche...

In questa primavera dal caldo anomalo, si va alla ricerca di luoghi in cui trovare un po' di ombr ...
Come ogni anno, nel mese di gennaio, nelle Aree protette del Po piemontese si è svolto il censim ...
Il paesaggio è dominato dalla presenza del complesso monumentale della Basilica di Superga, capo ...