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Perchè si piantano gli alberi lungo il Fiume Po

Associare alberi e arbusti per ottenere l'ecosistema più complesso è la normalità per un tecnico forestale impegnato a ripiantare alberi lungo il Po. Ce lo racconta Luca Cristaldi tecnico forestale del Parco del Po vercellese-alessandrino e con una lunga esperienza in interventi di 'rammendo' del territorio.

  • Laura Succi
  • Settembre 2019
Martedì, 3 Settembre 2019
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Panorama sulla pianura del Po: in primo piano le pendici boscate di Rocca delle Donne, quindi il Po bordato da pioppeti (Foto T. Farina) Panorama sulla pianura del Po: in primo piano le pendici boscate di Rocca delle Donne, quindi il Po bordato da pioppeti (Foto T. Farina)

 

Il rammendo è un'arte che richiede pazienza e precisione. Dove c'è un danno al tessuto si ricostruiscono la trama e l'ordito rendendo invisibile il difetto. Pure il paesaggio è un tessuto: fatto di paesi, città, strade, aree industriali, fiumi irregimentati e, a margine, grandi estensioni di campi coltivati e monocolture di piante costrette a un ordine. I ciuffi di natura sono residui, trascurati, fatti di fili da riprendere in mano con cura e sapienza in un'opera di ricostruzione del territorio che si riflette sulla salubrità dell'ambiente e sulla rigenerazione dell'aria che si respira: concretamente, un freno all'aumento di gas serra in atmosfera, la causa principale dei cambiamenti climatici.

Il tecnico forestale Luca Cristaldi ha piantato in vent'anni, lungo il corso del Po, centinaia di alberi, tutti punti di sutura. "E' stato fatto un lavoro minuzioso, abbiamo riportato il bosco su oltre 500 dei circa 20.000 ettari gestiti dall'Ente di gestione delle Aree Protette del Po vercellese-alessandrino. In un contesto molto trasformato dall'attività dell'uomo abbiamo ricostruito vari ambienti: zone umide, con la messa a dimora di saliconi e ontani neri nelle cave di sabbia e ghiaia che al termine dell'attività dovranno restituire natura alla fruizione comune; meandri dalle acque ferme, e ancora, nelle campagne, file di cespugli o salici da ceste, ormai rari ovunque. La messa a dimora non è avvenuta soltanto nelle aree protette lungo il fiume ma anche in luoghi dove i boschi non c'erano più già da molto tempo, come la Palude di San Genuario e il complesso idrico naturale della Fontana Gigante. Per riprodurre perfettamente il bosco naturale sono state prese le piante al vivaio forestale regionale di Albano Vercellese.

Vivai forestali, a cosa servono

La coordinatrice dei vivai forestali della Regione Piemonte, Eva Malacarne, spiega perché i prodotti vegetali di un vivaio forestale danno alte garanzie: "Sono tutte piante di specie autoctone nate da seme che sovente raccogliamo in proprio e questo garantisce una migliore adattabilità al particolare ambiente in cui vengono piantate. Gli alberi a uso forestale da noi prodotti sono tutti certificati per attestarne la tracciabilità e la provenienza, la nostra è una rappresentanza della variabilità genetica delle specie arboree e arbustive spontanee del Piemonte".

"Dai vivai forestali, la piantina giunge direttamente alle nostre mani e viene trapiantata nel posto definitivo dove poi crescerà, spiega Cristaldi. Normalmente si usano piante piccole per fare lavori su grandi superfici perché sono più rustiche e reagiscono meglio alle nuove condizioni nelle quali si vengono a trovare. Il primo passo è lavorare il terreno: Si parte da un pioppeto coltivato, o da un campo, o anche da un terreno abbandonato, un incolto, i casi sono tanti. A seconda delle condizioni del terreno può bastare una lavorazione superficiale oppure servire un'aratura profonda. Subito dopo, tracciamo i filari: facciamo le buche e mettiamo giù le piantine. Alle volte disegniamo lunghe file curve così quando il bosco cresce risulta più naturale. Scegliamo le linee diritte che si vedono nelle coltivazioni industriali quando la zona viene frequentemente alluvionata: la piena porta via molte piantine e insabbia il campo coprendo quelle rimaste con sabbia e residui; solo con delle righe diritte, anziché filari curvi o a semicerchio, riusciamo a capire com'erano disposte in successione e possiamo rimetterle in piedi e sostituire quelle che non ci sono più.

Successivamente iniziamo le cure colturali che nei primi due o tre anni devono essere molto intense, continua il tecnico forestale. L'erba va tagliata anche tre o quattro volte l'anno per impedire che soffochi gli alberelli: lungo il Fiume Po i terreni sono fertili e l'erba cresce molto in fretta. Poi dobbiamo proteggere le piantine con reti di 40, 50 centimetri per impedire alle minilepri di rosicchiarle facendole morire. Alla fine del primo anno facciamo il cosiddetto 'risarcimento' perché alcune piante saranno comunque morte e vanno sostituite. Solo quando serve, in estati particolarmente calde e secche, facciamo 'l'irrigazione di soccorso': si va con un trattore e una botte, e con una manichetta si bagnano a mano le piantine".

Scegliere il bosco: una questione di ecosistemi e di esperienza

L'esperienza di Luca Cristaldi si è costruita negli anni. "Normalmente associamo alberi e arbusti per ottenere l'ecosistema più complesso possibile: il nostro obiettivo è il bosco misto, con almeno una quindicina di specie. All'interno dell'area individuata piantiamo gli arbusti che prediligono l'ombra come il biancospino e il nocciolo, mentre lungo il perimetro dove c'è più sole la rosa canina o il ciliegio a grappoli. Lo stesso discorso vale per gli alberi: separiamo i gruppi di pioppi da quelli di querce, altrimenti entro sei o sette anni per preservare le querce dobbiamo tagliare i pioppi che crescono molto di più e fanno loro ombra. In piena campagna piantiamo filari di siepi campestri o piccoli boschetti per attirare molte specie di animali utili. Capita spesso che siano i Comuni a metterci a disposizione gli appezzamenti", precisa il tecnico forestale.

"Quanto ho iniziato tanti anni fa piantavo e basta e mi dicevo: qui crescerà un bosco. Poi gli alberi sono diventati grandi e, al momento opportuno, hanno prodotto frutti: così mi sono reso conto che anche un piccolo bosco, anche un filare, anche una siepe, creano un gruppo che produce seme e diffonde le proprie specie nel territorio circostante. In ambienti profondamente alterati, come la Pianura Padana, è importante piantare dei portaseme perché non ne esistono quasi più: su interi territori le uniche piante presenti sono l'acero del Nordamerica, l'ailanto originario della Cina e la robinia, anch'essa nativa americana. Ci sono solo più piante esotiche e dunque, se invece vengono creati nuclei di altre piante cominceranno allora a diffondersi anche quelle".

Il ruolo del bosco contro il cambiamento climatico

Piantando nuove piante, si può accendere la speranza. Illustra bene questo concetto il film di animazione La Principessa Mononoke (La Principessa Spettro) di Hayao Miyazaki. La storia mette in evidenza tutto il pessimismo dell'autore per il disfacimento del mondo da parte dell'uomo. La sacralità dei boschi è infatti violata e l'anima della natura - quel dio bestia che assume sembianze diverse di giorno e di notte e che può guarire dalle ferite - è colpita dall'uomo in modo irreparabile. Non è possibile avere un lieto fine nello scontro tra la stirpe umana e la natura. Eppure, resta la speranza: il principe Ashitaka riesce a «vedere con occhi non velati dall'odio» ed è così in grado di aprire gli occhi al prossimo.

I cinquecento ettari di bosco ripiantato lungo il Po possono sembrare poca cosa ma per il territorio valgono, invece, moltissimo. Anche perché i boschi sono grandi magazzini di CO2 e proprio per questo possono contribuire ad alleviare l'impatto del cambiamento climatico, imprigionando anidride carbonica nei loro tessuti ed evitando così che si accumuli in atmosfera.

 Guarda il trailer del film La Principessa Mononoke

 

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