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Il cane, migliore amico dell'uomo anche nei parchi

Spesso l'ingresso del migliore amico dell'uomo nei parchi è interdetto. Eppure anche il cane potrebbe essere utile nello studio della fauna selvatica, nonché incentivare quel turismo verde che è anche cinofilo. Ovviamente fatte salve delle regole - come la raccolta degli escrementi - che devono essere rispettate più dal padrone che dal quadrupede.

  • Daniele Pesce
  • Marzo 2019
Lunedì, 4 Marzo 2019
 (Foto Pixabay) (Foto Pixabay)


Nei parchi naturali, spesso, la fruizione è limitata a coloro che hanno amici 'pelosoni' al seguito. I motivi sono diversi: non c'è solo la protezione della fauna, ma anche esigenze economiche dei territori (no cani, no turismo) e culturali. Recentemente in Svizzera la proposta di istituire un nuovo parco nazionale è stata, ad esempio, ritenuta inaccettabile perché i residenti avrebbero trovato, tra l'altro, intollerabile subire delle limitazioni all'escursionismo canino. Tanti soldi in meno... ma passeggiate più libere! Eppure i cani, anche nei parchi naturali, possono avere un ruolo importante.

I cani e lo studio della fauna

L'uso dei cani per il rilevamento di varie specie è emerso per la prima volta nel 1890, quando i cani sono stati utilizzati con successo per localizzare gli ultimi kiwi neozelandesi (Apteryx spp.) e i kakapo (Strigops habroptilus), un pappagallo inetto al volo, salvandoli di fatto dall'estinzione. Fino all'inizio degli Anni '90, i cani venivano usati prevalentemente per il rilevamento di uccelli vivi. Recentemente, invece, c'è stata una rapida differenziazione. Il rilevamento a fini protezionistici comprende ora una serie di attività, tra cui il censimento della fauna selvatica, il rilevamento delle carcasse di uccelli e pipistrelli intorno alle turbine eoliche e il rilevamento di escrementi, patogeni e altri materiali biologici. Diverse relazioni indicano che, in molti casi, i cani sono più efficienti di molti altri metodi nel rilevare la presenza / assenza e l'abbondanza relativa di piante e animali selvatici. Per dire, ci sono casi in cui i rilevatori umani hanno un successo del 10% e i cani del 100%.

I cani nei parchi

Non vanno dimenticate alcune altre presenze canine fondamentali nelle aree protette: i cani per il soccorso, i cani da pastore, i cani per la vigilanza... tutte presenze che prevedono alta professionalità, anche per la controparte umana. Non è così per i cani da compagnia.
Il cane sarà anche il primo animale addomesticato dall'uomo, ma dopo così tanto tempo continuiamo ad avere difficoltà nel gestirlo. Sarà che al momento dell'adozione, i cuccioli non vengono forniti di manuale delle istruzioni?
Esiste un patentino per 'porto di cane', con relativo corso teorico pratico che, pur previsto dalla legge, è demandato alla buona volontà dei singoli Comuni, sentiti i servizi veterinari, ecc.
Tanto varrebbe non farli, considerato che gli eventuali partecipanti - volontari - sono proprio coloro che meno ne hanno bisogno. Sempre in Svizzera, dove pure il patentino era un tempo obbligatorio, nel 2017 si è deciso di trasformarlo su base volontaria: una pratica evidentemente troppo avanti, anche per gli elvetici.
Il fatto è che dopo millenni di selezione genetica delle capacità cinegetiche (vuol dire venatorio, non è uno scioglilingua) non è possibile convincere i nostri cani che, all'improvviso, la selvaggina non è più selvaggina, ma fauna protetta. Lo dico da possessore di cagnolina anziana, dalla genetica incerta, ma dalla incrollabile certezza che un capriolo è selvaggina e quindi va inseguita. Perciò in tutto il mondo, nelle aree protette con elevata concentrazione di fauna selvatica, i cani dei visitatori, tendenzialmente, non sono ammissibili.

La situazione in Piemonte

C'è da mettersi le zampe nel mantello, perchè ogni area fa per sé. Ci sono situazioni in cui territori simili, addirittura adiacenti con lo stesso Ente di gestione, si presentano l'uno con il divieto assoluto di ingresso, l'altro senza nessuna limitazione.
Inutile dire che è una situazione che genera confusione nel pubblico, ignaro sia delle diverse leggi di istituzione emanate in anni diversi, sia dei recenti accorpamenti degli enti gestori. Per cui può capitare di entrare in un'area protetta senza alcuna indicazione su rischi e potenziali danni - situazione molto diseducativa - così come trovarsi all'improvviso di fronte a divieti assoluti che spesso rafforzano il messaggio, fuorviante: "parco = vietato fare tutto". Non è così!
Una domanda a questo punto, sorge spontanea: ce lo possiamo ancora permettere? Quando cominceremo a trasmettere l'idea dei parchi come luoghi dove "si può", anziché luoghi dove "non si può"? Una bella sfida comunicativa, anche per Piemonte Parchi, non facilitata dalla diversità regolamentare che i parchi possono legittimamente assumere.

E se ci fossero regole uguali in tutti i parchi?

Constatata la situazione, sorge spontanea una domanda: un'unica normativa per tutte le aree protette, non semplificherebbe le cose? Un compromesso potrebbe essere, ad esempio, fare entrare i cani, a condizione che siano sempre condotti al guinzaglio e solo lungo i percorsi segnalati. Fatte salve, naturalmente, le eventuali aree di divieto assoluto, a discrezione di ogni singolo ente di gestione.
Così, forse, sarebbe anche più facile comunicare qualche basilare norma di comportamento come, ad esempio, non dimenticare di raccogliere gli escrementi, soprattutto, nei boschi: e non per una questione estetica, ma per un reale pericolo di contaminazione. Infatti anche se il cane è vaccinato (e deve esserlo!) è quasi sicuramente un portatore sano di malattie e parassiti. Non vale neppure la pensata di lasciare fare alla natura, magari con un interro frettoloso: un parassita, uno dei tanti, la Spirocerca lupi che si annida nell'esofago dei canidi, guarda caso utilizza come ospite intermedio gli scarabei stercorari, proprio gli animaletti ai quali abbiamo fornito la colazione con il nostro interro frettoloso.
Per la verità, esiste già una Legge (n.19/2009) che assegna la competenza in capo a ogni Ente di gestione. L'accesso o meno dei cani in un'area è quindi stabilita da ogni singolo regolamento di fruizione, nel rispetto ovviamente delle ZPS (Zone Speciali di Conservazione), evoluzione dei Siti di Importanza Comunitaria. Dunque ogni Ente parco, in materia, può disciplinare l'ingresso dei cani, nel rispetto dei vincoli ambientali.

Quel turismo verde che è anche cinofilo

Si sa che camminare con il cane è una delle attività più salutari che esistano, meglio ancora se lo si fa in un parco. Ma l'attività diventerà ancora più interessante se praticata insieme a un educatore cinofilo/guida naturalistica che sa spiegare come comunicare con il proprio cane, come gestirlo, come riconoscere e capire le sue emozioni. Il cane, a sua volta, diventerà l'interfaccia tra uomo e natura, un mezzo che avvicina l'uomo alla scoperta del territorio.
Se non si conoscono attività simili, da sapere che all'estero esistono. In Baviera, ad esempio si possono effettuare delle visite guidate di gruppo nelle foreste dove i cani socializzano, non incorrono in rischi e non producono alcun danno. Così il cinofilo si può godere una bella vacanza attiva. Il fenomeno è in crescita e richiede attenzione e informazioni. I cinofili berlinesi possono da poco comprare l'agile guida "Fred e Otto vanno in Brandeburgo" (Fred è il cane) che in 160 pagine, comprese le mappe, fornisce le modalità per scaricare un'applicazione per escursioni a piedi, mappa panoramica + zoom per ogni tour, dati GPS e indirizzi per l'ospitalità + contatto dal veterinario più vicino per una situazione di emergenza.
Gli itinerari sono selezionati in modo da non sovrapporsi con piste ciclabili e altre infrastrutture molto frequentate. Allo stesso tempo, vengono segnalate la presenza di acqua dove poter fare il bagnetto e zone dove correre in libertà: idee così ci vogliono!

Il problema più comune nei parchi cittadini (e non solo)

Tornando alle feci canine... pochi sanno che la loro mancata raccolta in ambiente urbano, a parte il disgusto, è fonte di forte inquinamento delle acque reflue bianche che, teoricamente prive di patogeni, non sono trattate e scolano direttamente nei corsi d'acqua. Non è tanto un problema dell'escremento in sé, quanto di concentrazione (tanti cani in pochi giardinetti).
A questo punto, l'eco-chic di turno, cioè lo scrivente che, diligentemente raccoglie e cestina, si potrebbe domandare se ci sia un'alternativa alla trasformazione di un rifiuto semi-naturale in un rifiuto speciale di difficile gestione (a parte la via poco praticabile di portarsi a casa il raccolto e smaltirlo nell'organico).
Gli eco-chic possono stare tranquilli: qualcuno ha brevettato i lampioni stradali a feci, in pratica al posto del cestino c'è un piccolo digestore anaerobico. Il materiale organico durante il giorno produce biogas che si accende di notte. A questo punto viene da commentare che sì, per l'umanità c'è speranza. Tenue come un fuoco fatuo, ma c'è!

 

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