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Tanti scrigni che conservano le tracce del passato

Pur non così numerosi come nella vicina Liguria, anche le grotte piemontesi hanno restituito importanti reperti antropici e zoologici risalenti alla preistoria. Sono un esempio le grotte del Monte Fenera, attualmente l’area più importante della Regione

  • Giuliano Villa
  • dicembre 2009
Mercoledì, 30 Dicembre 2009

L’interesse di alcune grotte di queste zone, a quota elevata, risiede nel frequente ritrovamento di scheletri di orso bruno (Ursus arctos) che in zona è scomparso attorno al XV secolo, probabilmente sterminato dalla caccia senza quartiere (analisi archeozoologiche effettuate nei resti di cucina di un castello medioevale delle Langhe hanno fornito dati di un abbondante consumo di carne di orso). In una grotta a più di 2000 metri di quota, il Piccolo Ferà, sono stati trovati, alla base di un pozzetto, numerosi individui neonati. Sono stati trovati anche soggetti adulti di cui uno, raccolto e montato parecchi anni fa dal Gruppo Speleologico Piemontese CAI Uget, è esposto al Museo della Montagna al Monte dei Cappuccini di Torino.
Uno scheletro completo di un maschio, di proporzioni notevoli, che era precipitato al fondo di un pozzo da 20 metri con un gigantesco masso, è stato trovato negli anni ottanta nell’abisso Armaduk, sempre nelle vicinanze. Il criterio più immediato per distinguere i reperti di orso bruno da quelli dell’Ursus spelaeus, estinto attorno ai 30.000 anni fa, sta nelle dimensioni, di un terzo superiori al bruno. Un reperto eccezionale è quello ritrovato in una grotta sul bordo di una dolina alla Colla dei Termini, sopra Ormea: un orso di più di 3000 anni fa (datazione al radiocarbonio) aveva raggiunto la tana dopo essere stato colpito da una freccia di bronzo ritrovata infissa in un femore. È comunque interessante notare la presenza dell’orso bruno in grotte tutte situate attorno a quota 2000 dalla rocca del Ferà fino alla Colla dei Termini sopra Ormea, un sicuro indicatore di condizioni paleoclimatiche favorevoli alla vita dei plantigradi anche a quote così elevate e attualmente quasi totalmente brulle.
Recenti studi su questi reperti di orso bruno e in particolare l’esame del radiocarbonio hanno fornito, nel corso di uno studio effettuato dalla Soprintendenza Archeologica del Piemonte e dal Laboratorio di Paleontologia Umana dell’Università di Torino, con la collaborazione del Parco della Val Pesio, datazioni che vanno da oltre 9500 anni per l’orso dell’abisso Armaduk agli oltre 8000 per numerosi reperti recuperati nella zona tra Cima Ciuaiera e Antoroto; queste datazioni hanno spostato indietro nel tempo di parecchi millenni l’età dei reperti che si credevano risalire all’epoca medievale!
Da queste notizie estremamente interessanti per lo studio delle tracce del passato nelle grotte della nostra Regione, si evince la necessità di considerare l’attività speleologica non solo con l’occhio dell’esploratore, ma anche con la curiosità e l’attenzione del ricercatore. Il ritrovamento di tracce antropiche e di faune estinte deve essere segnalato quanto prima direttamente alla Soprintendenza Archeologica della Regione o al gruppo speleologico operante in zona che si incaricherà di allertare gli esperti.

In Piemonte le grotte in cui sono stati fatti ritrovamenti del passato, tracce della presenza dell’uomo preistorico, non sono così numerose come ad esempio nella vicina Liguria, o in tante altre regioni della penisola, dove le condizioni geografiche e climatiche erano certamente più adatte alla colonizzazione da parte dell’uomo primitivo. L’interesse dello studioso per il lontano passato non è però limitato solamente alla ricerca di depositi antropici di importanza archeologica, ma riguarda sempre tutto il contesto della zona in studio. Così avremo studi di archeozoologia, studi paleontologici, paletnologici e preistorici, di paleobotanica, di paleoclimatologia. Alcune di queste discipline come l’archeozoologia, la paleobotanica ecc. trovano un sicuro interesse anche per le fredde grotte d’alta quota della nostra regione.
L’area di maggior interesse per i ritrovamenti preistorici che fino ad ora sono stati fatti in Piemonte è quella del Monte Fenera. Nelle caverne viveva, e ciò è stato documentato dal ritrovamento di resti umani fossili, l’uomo di Neanderthal. È certamente il fossile umano più presente nell’immaginario collettivo e l’emblema stesso dell‘uomo preistorico in senso lato. Innumerevoli sono infatti le raffigurazioni completamente di fantasia del secolo scorso, ma ancora presenti talora in testi scolastici attuali, di un robusto ominide barbuto e irsuto armato di clava alle prese con giganteschi orsi delle caverne!
La scoperta recente di alcuni denti umani sul Monte Fenera (e di un frammento di osso temporale umano, in passato) è avvenuta, casualmente dopo un temporale, all’imbocco della grotta Ciota Ciara, in una zona di materiali fluitati all’esterno; è pur vero che i due denti umani non sono stati ritrovati in strato nella giacitura originaria, per cui una datazione comparativa è impossibile, però accurate indagini di laboratorio e l’esame delle caratteristiche morfostrutturali, hanno comunque potuto mettere in evidenza con ragionevole certezza che si tratta di denti di Neanderthaliani, i primi reperti di Neanderthaliani dell’Italia nord-occidentale, probabilmente abbastanza antichi, attorno agli 80 mila anni fa (ricordiamo che l’uomo di Neandertal copre un arco di tempo che va dai 130 mila ai 35 mila anni fa). Ulteriori ricerche di laboratorio in materiali scavati attorno agli anni Venti hanno permesso poi il ritrovamento di un altro dente umano proveniente da una grotta vicina, il Ciutarun, recentemente attribuito anch’esso all’uomo di Neandertal. Ma le grotte del Monte Fenera hanno restituito soprattutto utensili litici preistorici e reperti di Ursus spelaeus, il ben noto orso delle caverne.
Nella stessa zona geografica troviamo un’altra celebre grotta “ad orsi”: si tratta di Sambughetto in Valle Strona.
Proseguendo un ipotetico cammino lungo l’arco alpino verso occidente troviamo la Valle Orco dove diversi anni fa è stato scavato in tre campagne successive il deposito di due grotticelle, in uno sperone di roccia che domina il paese di Salto. Si tratta della Boira Fusca e della Boira Ciera che hanno fornito, soprattutto la prima, reperti per un periodo compreso tra il Paleolitico superiore e Mesolitico. Reperti certi risalgono però al Neolitico. La grotticella è stata a lungo utilizzata come grotta sepolcrale durante il Calcolitico, la prima età dei metalli. Ma la maggior frequentazione sembra essere stata nell’età del Bronzo attorno al 1800 - 700 a.C.
Più verso occidente, nelle Valli di Lanzo, abbiamo qualche esempio di ripari sotto roccia con incisioni rupestri di epoca imprecisata, ma sicuramente non molto indietro nel tempo, e adattamenti all’uso come ovili o ricoveri, come frequentemente accade in questi casi.
Ma bisogna arrivare nella Valle di Susa, dove in ripari sotto roccia e in grotticelle è stata ampiamente documentata una frequentazione umana. A Vaie, al riparo Rumiano, sulla destra orografica della valle, sono stati trovati reperti di ceramica risalenti al Neolitico (3000 a.C.). Anche a Chianocco alcuni cavernoni che si aprono nelle pareti dell’orrido, hanno fornito documentazione della frequentazione umana del periodo Calcolitico (età del rame, primi utilizzi dei metalli, 2800 - 1800 a.C.). Alcune grotticelle nella zona (Grotta di S. Valeriano e Riparo di Celle) testimoniano interessi di culto religioso ancora attuali, ma risalenti all’epoca medioevale e forse più antichi. Pochi anni fa, durante una revisione catastale delle grotte della Valle di Susa, in una grotticella, mai più vista da decenni e nascosta dalla vegetazione, fu rinvenuto casualmente un frammento osseo umano. Allertata immediatamente la Soprintendenza Archeologica, fu effettuato uno scavo che portò alla scoperta di una sepoltura dell’età del Bronzo.
In Val Chisone circa 10 anni fa sono state effettuate campagne di scavo alla grotta Balm Chanto con indagini complete dalla preistoria alla paleobotanica e all’archeozoologia. Periodo del Rame, tardo Neolitico, Eneolitico - Bronzo (2000 - 1000 a.C.). In queste zone non c’è calcare, al massimo lenti di calcescisti, che possono raramente fornire ripari o piccole grotte; è logico che le notizie siano scarse.
Nella grotta di Rio Martino, in alta Valle Po, all’inizio del secolo scorso pare sia stata ritrovata un’ascia in pietra verde, ma del resto l’ampio portale della grotta e la presenza di acqua abbondante possono ragionevolmente fare pensare a una frequentazione umana, anche se l’esposizione non è ottimale.
Più a sud troviamo nella Valle Stura di Demonte i ripari di Aisone da cui provengono reperti di epoca neolitica (3000 a.C.) e una doppia sepoltura dello stesso periodo.
E poi giungiamo nelle zone del Cuneese e del Monregalese. In un pozzetto nel calcare sul Monte del Cros, nella bassa Valle Gesso presso Borgo S. Dalmazzo, adesso decapitato da una cava, è stata trovata, diversi anni fa, una breccia ossifera con fauna del Pleistocene (reperti di bisonte, orso speleo e bruno, lupo, istrice, caprovini). Del resto in tutta la zona del Monregalese sono molte le grotte e grotticelle con resti di orso delle caverne ma prive di tracce di frequentazione da parte dell’uomo preistorico (Bossea, Caudano, Orso di Pamparato, Navonera, ecc.).
Imboccando la Valle Tanaro, da sempre via di passaggio per le genti che provenivano dalla costa ligure dirette alla pianura padana, le grotte con testimonianze paleoantropiche tornano a essere abbondanti e inoltre è abbondante la presenza dell’orso speleo. Nell’Arma dei Grai, sopra Eca Nasagò, presso Garessio, è documentata una frequentazione del Neolitico tardo e del Bronzo (2000 - 700 a.C.) con il ritrovamento, anni fa, di focolari con numerose ceramiche e selci e resti umani craniali appartenenti a un bambino di circa un anno, probabilmente una sepoltura, oltre a reperti abbondantissimi di orso speleo e un insolito ritrovamento di Jena Spelaea, in connessione anatomica in un ramo superiore raggiungibile solo con difficile arrampicata: evidentemente in passato esisteva una comunicazione con l’esterno più agevole. Numerosi anche i reperti di industria litica nelle vicinanze. Tutta la zona, fino alla Valdinferno, potrebbe perciò essere interessante sia per l’ottima esposizione a sud e per la presenza di ampi cavernoni alla base delle falesie, con abbondante deposito. Del resto, un altro sito importante non lontano, è la grotta dei Saraceni a Ormea, con depositi dell’età del Neolitico.
Più oltre si imbocca l’adiacente Val Pennavaira, un’altra via di passaggio che comunica con la costa ligure; è veramente ricca di siti preistorici in grotta (ben documentati e studiati), soprattutto nella parte ligure. Tutta questa zona dovrebbe essere considerata con attenzione dagli speleologi, soprattutto in operazioni di scavo e disostruzione.
A occidente, i massicci del Marguareis e del Mongioie, con la severità del clima d’alta quota, non offrono molte speranze di ritrovamenti testimoni di un’antropizzazione antica. I soli ritrovamenti, casuali e all’esterno, e non sicuramente documentati, consistono in un paio di punte di freccia di bronzo di epoca probabilmente medioevale, quando in zona era frequente la pratica della caccia.

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