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Passi di memoria e impegno alle Capanne di Marcarolo

Domenica 19 marzo, alla cascina della Benedicta, il Parco Capanne di Marcarolo con il Presidio di Novi Ligure dell'associazione Libera, ricorderanno insieme le vittime innocenti delle mafie, in occasione della XXII Giornata della Memoria e dell'Impegno.

Per l'occasione ripubblichiamo, dal nostro archivio, 'La Benedicta, luogo della memoria' di Gianni Repetto.

  • Redazione
  • Marzo 2017
Lunedì, 13 Marzo 2017
Passi di memoria e impegno alle Capanne di Marcarolo

Una passeggiata lungo il "Sentiero della Pace", un percorso ad anello di circa 5 chilometri, caratterizzato da modeste pendenze, parte integrante del progetto "La Benedicta Parco della Pace", nato per ricordare l'eccidio partigiano avvenuto nella primavera 1944 e per promuovere la zona monumentale ad esso dedicata.

Con questo percorso, l'Ente di gestione delle Aree Protette dell'Appennino Piemontese e il Presidio di Novi Ligure dell'associazione Libera, celebreranno insieme la XXII Giornata della Memoria e dell'Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie.

Un appuntamento che ricorre, ogni anno, nel primo giorno di primavera, simbolo di rinascita, in cui la rete di Libera, gli enti locali, le realtà del terzo settore, le scuole e tanti cittadini, assieme alle centinaia di familiari delle vittime, si ritroveranno in tanti luoghi in tutta Italia, per ricordare nome per nome tutti gli innocenti morti per mano delle mafie, creando in tutto il Paese un ideale filo di memoria, quella memoria responsabile che dal ricordo può generare impegno e giustizia nel presente.

La passeggiata, organizzata per domenica 19 marzo è intitolata "Passi di memoria e impegno nel Parco naturale delle Capanne di Marcarlo' e partirà alle ore 10, nei pressi presso i ruderi della Benedicta, simbolo di memoria e impegno per la pace.

Tutti i dettagli sulla passeggiata nella sezione Appuntamenti

Scarica la locandina dell'appuntamento

 

La Benedicta, luogo della memoria (dal nostro Archivio

di Gianni Repetto

Il visitatore che sale verso Capanne di Marcarolo incontra, poco prima di raggiungere la frazione che dà il nome all'omonimo Parco naturale, il Sacrario dei Martiri della Benedica e, subito dopo, i resti della cascina omonima, antica grangia cistercense.

Ruderi recentemente restaurati che, come una colossale scultura, si stagliano sulla montagna di Marcarolo a perenne ricordo di chi lasciò la vita su questi monti in difesa della libertà.

Il passato

Era la primavera del 1944, il secondo conflitto mondiale volgeva al termine con il suo strascico di sangue e distruzione. La storia della Benedicta, però, inizia molti anni prima. L'origine della fondazione della Grangia di Bruvera (o Riversa, da rovere), che prenderà poi il nome di Benedicta, è dovuta ai monasteri cistercensi che nei secoli XII e XIII tentarono di introdurre una gestione più produttiva del territorio sulla montagna appenninica. In particolare, l'impulso si deve alla prima abbazia cistercense italiana, quella di Tiglieto, che favorì la fondazione del monastero femminile di Santa Maria di Banno nel bosco del Monte Colma, lungo un'antica via "marenca" (per il mare), e quella di Rivalta Scrivia, i cui monaci ottennero nel 1188 dal Marchese Guglielmo di Parodi il permesso di poter ricavare legname da costruzione dal bosco di Sommaripa.

Gli stessi monaci ricevettero nel 1195 in dono dal marchese l'intera "Alpe di Palodio", ovvero i territori che dal Gorzente salgono fino a Marcarolo. In cambio, l'abate si impegnò a edificare una grangia e una chiesa e ad assicurare alloggio ai pellegrini che percorrevano la via "cabanera". Nel 1206 la grangia risulta già edificata, ma la sua vita è subito difficile come del resto quella di Santa Maria di Banno. Entrambe devono infatti difendersi dalle pretese degli abitanti della Val Polcevera, sul versante ligure dell'Appennino, che vantano diritti sul bosco di Capanne di Marcarolo.

Mentre le monache di Banno si alleano con la comunità di Rossiglione per contrastarne gli attacchi, i monaci della Benedicta chiedono protezione direttamente al Comune di Genova e nel 1279 danno in affi tto la proprietà a Oberto Spinola, Capitano del Popolo e Signore di Casaleggio Boiro.

Inizia allora il rapporto della grangia con gli Spinola genovesi, un ramo dei quali ne diverrà in epoca moderna proprietario a tutti gli effetti. E la Benedicta diventerà la residenza ufficiale del fattore delle loro proprietà a Capanne.

Insieme ai borghesi Pizzorno essi saranno i grandi proprietari del sistema di cascine sparse della montagna di Marcarolo, sistema che durerà con le sue caratteristiche organizzative fino al secondo dopoguerra.

La storia di ieri

È in questo contesto socio-ambientale che, nel corso del secondo conflitto mondiale, avvengono alla Benedica i fatti tragici della settimana santa del 1944. L'armistizio dell'8 settembre 1943 aveva dato avvio anche  sulla montagna di Marcarolo ai primi movimenti di partigiani per contrastare l'occupazione nazifascista. Piccoli nuclei, stanziati in alcune cascine della Valle del Gorzente come il Brignoleto e il Lombardo. Soltanto nel febbraio marzo del 1944 cominciarono a salire in montagna gruppi sempre più numerosi di giovani renitenti che non volevano combattere per i fascisti. Si ritiene che nella primavera del 1944, al momento dell'eccidio, fossero presenti tra Marcarolo e il Monte Tobbio circa 800 partigiani, raggruppati nella III Brigata Garibaldi "Liguria" e nella Brigata Autonoma "Alessandria". Un carico eccessivo per un territorio con un'economia ai limiti della sopravvivenza, caratterizzato da difficoltà di comunicazione, tuttavia facilmente raggiungibile da truppe che vi avessero messo in atto un rastrellamento. La stessa Commissione Alleata dichiarò il territorio adatto a ospitare non più di 100 partigiani.

Nonostante questo, i partigiani si organizzarono nel tentativo di gestire la massa dei giovani affluiti, garantendo loro un minimo di vitto e alloggio. La Brigata Liguria stabilì proprio alla Benedica la sua "intendenza", mentre il comando era situato in una cascina "segreta" nella valle della Pùnzema, verso Campo Ligure (la Cascina Nuova).

La Brigata Alessandria era invece stanziata alla Cascina Roverno con tutti i suoi 200 effettivi. Va detto che tutti i gruppi erano composti da giovani disarmati e privi dell'istruzione militare necessaria per affrontare un qualsiasi fatto d'armi. Nonostante non fosse adatta all'insediamento di gruppi stabili di ribelli, la zona di Marcarolo costituiva per il comando tedesco di Genova un sito strategico fondamentale: era infatti ritenuta assai probabile l'eventualità di uno sbarco alleato sulla costa ligure. Ecco perché la mattina del 6 aprile l'operazione di rastrellamento scattò in tutta la sua efficienza con l'impiego di circa duemila fanti della 356esima divisione, appoggiata da alcune centinaia di italiani tra militi della GNR e bersaglieri. All'alba del giorno dopo, 98 giovani catturati alla Benedicta e nelle immediate vicinanze, vennero fucilati a gruppi di cinque da un plotone di esecuzione composto da bersaglieri italiani.

Il rastrellamento non ebbe però termine con le fucilazioni: nella notte tra il 7 e l'8 aprile trenta partigiani garibaldini vennero catturati sul Monte delle Figne e quindi tradotti a Voltaggio per essere giudicati da un tribunale di guerra. Altri 14 furono trucidati a Passo Mezzano e 7 a Isoverde; l'8 aprile ne vennero fucilati 13 a Villa Bagnara a Masone e 8 a Voltaggio, tra cui Emilio Casalini, comandante del V° distaccamento garibaldino di stanza alla Cascina Grilla, sulla Colma (Casalini è autore del testo della canzone partigiana "Siamo i ribelli", scritta e musicata proprio alla Grilla).

Infine, l'11 aprile, ancora a Voltaggio, vennero fucilati 8 appartenenti alla Brigata Alessandria. A questi, occorre aggiungere un mese più tardi la fucilazione al Passo del Turchino di 17 partigiani insieme a 42 prigionieri politici. Senza contare il numero considerevole di deportati (207 secondo Manganelli-Mantelli) nel campo di concentramento di Mauthausen, di cui soltanto una trentina fecero ritorno alle loro case.

Un bilancio terribile per il movimento partigiano che faticò a riprendersi dal duro colpo. Tuttavia, già nell'estate del '44, si era costituita la divisione "Mingo" che, pur avendo sede operativa nella Valle dell'Orba, disponeva di distaccamenti anche nella zona di Marcarolo.

Attorno al nucleo sopravvissuto, guidato dal Vicecomandante Merlo, si ricostituì anche la Brigata Autonoma Alessandria. La prima partecipò attivamente nella primavera del '45 alla liberazione di Ovada e della stessa Genova, la seconda fu protagonista della liberazione di Gavi.

Continua a leggere l'articolo su Piemonte Parchi n. 170 (novembre 2007 / pg 3- 5)

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