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Percorsi gustosi nei parchi del Piemonte

Il cibo non è solo moda, ma è soprattutto cultura e biodiversità che arrivano in tavola. Di questi argomenti si discute a Torino, in occasione del Festival del Giornalismo alimentare, mentre sul valore della biodiversità agro-alimentare - anche da un punto di vista naturalistico - si concetra 'Parchi da Gustare', uno dei progetti in cui sono impegnati i parchi del Piemonte.

Per approfondire il tema, dal nostro archivio pubblichiamo 'Percorsi gustosi' e rimandiamo al numero speciale 'Parchi gustosi'.

  • Giulio Caresio
  • Ottobre 2004
Martedì, 21 Febbraio 2017
Percorsi gustosi nei parchi del Piemonte

Dal Barolo al tartufo d'Alba, dai salami alle tome d'alpeggio, il Piemonte è terra di leccornie. E i parchi fanno la loro parte, mettendo in luce un universo di gusti legati soprattutto alla tradizione rurale. Un contributo variegato e consistente, come illustrano le pagine dell'Atlante dei prodotti tipici dei parchi del Piemonte, estratto regionale dal più corposo atlante nazionale promosso dal Ministero dell'Ambiente e realizzato da Slowfood in collaborazione con Federparchi e Legambiente.

Nella carrellata di prodotti che i parchi segnalano alla nostra attenzione non si può non iniziare dalla "carne", vera vocazione della tavola del Piemonte. Innanzitutto la "razza bovina piemontese", tra le più pregiate al mondo, per le sue carni particolarmente saporite, con giusto tenore di grasso e un tasso di colesterolo estremamente basso.
Allevata dalle Alpi alle Langhe in stalle da pochi capi, è tutt'oggi una realtà a rischio di fronte alla diffusione di allevamenti intensivi di razze straniere più produttive. Sono pochi infatti gli allevatori, come quelli che segnala il Parco della Valle Pesio, che preferiscono al lato remunerativo la soddisfazione di allevare capi di qualità, spesso mettendo ancora in pratica la faticosa quanto sana abitudine di portare in estate le vacche in alpeggio. Una pratica che assicura vita all'aperto agli animali e garantisce gusto eccellente alle loro carni e al
loro latte. Ed è proprio sulla qualità delle loro carni che si basano piatti tipici semplici ma insuperabili come la carne cruda battuta al coltello o il bollito misto alla piemontese, o ancora il vitello tonnato, gli arrosti e i più elaborati brasati.
Il Parco del Po cuneese segnala invece due razze di galline piemontesi di cui rimangono pochi nuclei in purezza: la "Bionda Piemontese" e la "Bianca di Saluzzo" che crescono bene solo se libere di razzolare a loro piacimento e danno ottime carni. Il pensiero corre ai
variegati profumi di frattaglie rosolate, olio e marsala provenienti dalla memorabile "finanziera" cucinata in casa.

Nata nell'astigiano per recuperare rigaglie e frattaglie di pollo, la finanziera è un misto di creste, bargigli, ghiandole e fegatini di pollo, cui oggi si aggiungono filetti di manzo, animelle di vitello, funghi e volendo qualche verdura, il tutto cotto in maniera lunga ed elaborata con burro, olio e marsala. Un piatto imperdibile che sintetizza i dettami della cucina piemontese: da un lato, nella più autentica tradizione contadina, riciclo e riutilizzo e dall'altro una raffi nata capacità di rielaborazione, retaggio della cucina di corte e di una più ampia "cultura del mangiar bene". Nascono da questo felice connubio anche i ripieni (riciclo degli avanzi) utilizzati per le verdure ed i celebri
agnolotti, nonché i brasati (cottura nel vino di carni troppo frollate) e molti altri piatti piemontesi.

Anche l'allevamento di ovini e caprini ha un'antica tradizione, sia per il consumo delle carni legato alle feste, che per gli ottimi formaggi che si ricavano dal loro latte. Anche in questo caso non mancano razze particolari delle nostre valli. Grazie anche al Parco delle Alpi Marittime si è salvata dall'estinzione la pregiata "pecora sambucana", preziosa per la lana ma soprattutto per la carne compatta saporita e poco grassa.
Nel Veglia e Devero sopravvive la rara "capra vallesana" (anche detta capra dei ghiacciai per la sua capacità di sopportazione del freddo) di cui sopravvivono capi solo in una ventina di allevamenti.
Dalle cosce delle capre dell'Ossola nascono i sapori atavici, selvatici e affumicati del "violino di capra", un piccolo e pregiato prosciutto che deve il suo nome alla forma e alla tecnica di taglio che lo vede appoggiato a una spalla e affettato con il coltello usato a mo' di archetto. Una leccornia per pochi, per lo più di produzione famigliare, e da consumarsi rigorosamente nei giorni di festa.

Conservare e insaccare la carne è pratica che fa ampiamente parte della tradizione regionale, dalla "mocetta", carne di stambecco o camoscio conservata sotto sale (Gran Paradiso), alla "Bresaola della Val d'Ossola", meno conosciuta di quella Valtellinese, ma altrettanto buona.
Stupefacente è poi la varietà e la bontà dei salami: dai sentori selvatici e speziati dei cacciatorini di capra tipici dell'Ossola (Val Grande), alla polpa mobida e piccantina del "salam d'la doja" (Monte Fenera) che prende nome dall'antico recipiente di terracotta dove stagionavano gli insaccati ricoperti di strutto. Dal "Batiur o Mariur" (Po cuneese), un salame di sole carni suine insaccate nella vescica del maiale, consumato tipicamente in due occasioni di grande festa: battesimo e matrimonio (da cui i due nomi in dialetto).
Alla morbida e tenera "muletta monferrina" (Sacro monte di Crea), il cui nome singolare (non vengono infatti usate carni o budella equine per la sua preparazione) sembra sia stato coniato dai reduci delle guerre risorgimentali di ritorno dal fronte dopo aver fatto conoscenza con le "mule", ovvero le ragazze triestine.

Altro baluardo della tavola piemontese che ben si accompagna ai salumi è il formaggio. Incredibile è la varietà di tome di montagna: se ne trova almeno una per ogni vallata, dalle Alpi Marittime all'Ossola, tutte diverse e squisitamente insaporite da erba e fiori di pascolo. Impossibile analizzarle qui in dettaglio; ne segnalano alla nostra attenzione praticamente tutti i parchi montani: Veglia e Devero, Alta Valsesia, Val Grande, Monte Fenera, Gran Paradiso, Gran Bosco di Salbertrand, Orsiera Rocciavré, Val Troncea, Po Cuneese ed Alpi Marittime. E poi ancora: i caprini freschi dell'Ossola, la "Sola di Pecora" e i caprini di Chiusa Pesio, l'erborinato Murinengo del Gran Bosco di Salbertrand e ai confini con la Lombardia, nel Parco del Ticino, la celebre gorgonzola.

Tra i prodotti tipici un posto importante è riservato alle "verdure", di cui i piemontesi sono stati per secoli grandi consumatori, quando il pane bianco era un miraggio e la carne un privilegio di alta borghesia e nobiltà.
Non a caso proprio il piatto simbolo piemontese per eccellenza, la "bagna caoda" (un intingolo caldo di aglio, olio ed acciughe), si distingue per la bontà e la varietà delle verdure con cui si mangia.
La gustosa "bagna" nasce in Provenza nel Medioevo dalla fantasia degli operai delle saline, che, seduti in circolo, Conservare e insaccare la carne è la adottano come espediente collettivo per ammorbidire e rendere più gustoso il loro terribile pane. Grazie alle peregrinazioni commerciali attraverso le Alpi, questo piatto povero e semplice da preparare si diffuse poi nel mondo contadino piemontese che lo personalizzò sostituendo al pane le verdure della terra piemontese.
Ancora oggi, la "bagna caoda" conserva il carattere festoso di rito sociale e collettivo e si consuma intingendo in uno scaldino comune le verdure del Piemonte: il cardo gobbo di Nizza Monferrato, i peperoni di Carmagnola, i topinambur, cavoli, cipollotti e molte altre verdure autunnali sia cotte che crude. Proprio queste verdure sono le assenti più celebri dalle pagine dell'atlante, segno che i parchi hanno ancora del lavoro da fare per tutelare in modo adeguato le tipicità della nostra regione.

Pregevole è invece l'attenzione cha sta portando a riscoprire antiche varietà montane di patata: dal Gran Bosco di Salbertrand che segnala la piccola e saporita "Patata del Bur" da bollire e mangiare con la buccia, alle Alpi Marittime dove si sta recuperando la "Piatlìna" di Entracque dalla polpa bianca d'ottimo sapore, e ancora alle Capanne di Marcarolo dove a essere salvata è la "Quarantina Bianca Genovese" dal gusto delicato e particolare, adatta a ogni tipo di cottura e tradizionalmente usata per gli gnocchi o per accompagnare lo stoccafisso e le trenette al pesto.
Tra le coltivazioni meritano una citazione anche il riso di qualità (Lame del Sesia), la menta e le erbe romatiche (Po Cuneese) e il "fagiolo di Cuneo" (Alpi Marittime), uno splendido borlotto screziato di rosso, ingrediente immancabile per il "marsènc", tipico minestrone di verdure cotto a lungo in un recipiente di terracotta.

Per finire il nostro "menu", come da tradizione, non mancano frutta e dolci. Innanzitutto le Martin Sec, pere piccole e irregolari dalla polpa gialla croccante e granulosa e dalla sottile pelle color ruggine (Alpi Marittime). Un ingrediente irrinunciabile per alcune celebri ricette: la cognà (mostarda d'uva), il timballo e le pere al vino (delizioso dessert). Vanno citate anche la fragola di San Mauro e la fragolina di Rivodora (Collina torinese), nonché le antiche varietà di mele (pare che all'inizio del secolo scorso il Piemonte ne vantasse migliaia) rustiche, belle, aromatiche e profumate, come la Grigia di Torriana, la Buras, la Dominici, la Carla, la Runsé... (Po cuneese).
Per i dolci vi rimandiamo all'atlante, sperando che questa rapida carrellata vi abbia convinto che non è solo lettura interessante e ricca di spunti squisitamente culinari, ma anche strumento trasversale per avvicinarsi e capire, attraverso gastronomia e prodotti tipici, parte del complesso intreccio tra natura e cultura che le aree protette piemontesi sono chiamate a tutelare.

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