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Alla ricerca della flora del Parco dell'Alta Valle Antrona

Un lavoro di ricerca che inizia laddove il bosco finisce. Così si può riassumere lo studio di Francesca Pentcheva, neolaureanda che ha scelto come argomento della sua tesi di laurea un approfondito studio vegetazionale del Parco naturale dell'Alta Valle Antrona

  • Emanuela Celona
  • Dicembre 2016
Martedì, 20 Dicembre 2016
Alla ricerca della flora del Parco dell'Alta Valle Antrona

Si chiama Francesca Pentcheva, è una neolaureata in Scienze della Natura all'Università di Milano e quando presenta la sua tesi di laurea - intitolata 'Parco naturale Alta Valle Antrona: la vegetazione oltre il limite del bosco' - le piace raccontare che la sua ricerca risale agli anni 2012-2013. Nel frattempo è diventata mamma di un bimbo che ha chiamato Leonardo, "metà animale e metà pianta". Quando parla con la gente sulla 'metà animale' non ci sono problemi – per gli abitanti della Val d'Ossola è anche un omaggio al Monte Leone, oltre a ricordare il grande Lev Tolstoj - ma è sulla 'metà pianta' che sorgono le perplessità. «Eppure il nardo non è solo una specie molto comune sulle nostre Alpi» - spiega Francesca Pentcheva - «ma va anche a costituire un tipo di vegetazione, il nardeto, che è il tipico pascolo alpino su suoli acidi che in condizioni di sfruttamento equilibrato è cosparso di fiori colorati».

La sua tesi di laurea inizia laddove il bosco finisce «... Sono andata a studiare nel dettaglio le comunità vegetali che formano le tipiche praterie subalpine e alpine fino a quelle che si instaurano in condizioni estreme come pendii acclivi, stazioni con forte vento, rupi, vallette nivali e dossi ventosi, macereti, morene e zone pre-glaciali», spiega l'autrice.
L'idea di studiare questo aspetto della Valle Antrona è derivata dalla scoperta che l'area protetta, essendo il più giovane parco dell'Ossola, necessitava di uno studio vegetazionale approfondito.
Francesca Pentcheva non conosceva bene la Valle Antrona, ma: «Nelle due stagioni a venire il vento condusse mi condusse, insieme al mio compagno Andrea Bonizzoni – di qua, di là, di giù, di su – portandoci a toccare tutte le vette principali e a tornare negli stessi luoghi attraverso sentieri segnalati, sentieri nascosti dalla fitta vegetazione e in ultimo fuori sentiero, dove abbiamo avuto la fortuna di incappare anche in una piccola popolazione di pino cembro...», racconta l'autrice.

Dopo il riscontro positivo avuto dall'Ente delle Aree Protette dell'Ossola sull'utilità dello studio, l'autrice ha messo mani al progetto con l'appoggio del professore Carlo Andreis. Due gli obiettivi, formalmente distinti ma intrinsecamente connaturati e soprattutto ambiziosi: lo studio della vegetazione oltre il limite del bosco per arrivare all'acquisizione di conoscenze fondamentali nel percorso di conservazione dell'area protetta e l'esplorazione floristica, che permetterà di ripercorrere la storia delle segnalazioni botaniche e di arricchire le informazioni relative al corteggio floristico del parco.

La ricerca ha permesso di censire gli aspetti botanici più peculiari dell'area protetta. Tra le specie di maggiore pregio segnalate nello studio che arricchiscono la check-list del parco si trovano: il Pinus cembra, raro nel Piemonte settentrionale dove finora è stato rinvenuto in piccole popolazioni solo in Valsesia, Valle Anzasca e Val Formazza; l'Herminium monorchis; la Saxifraga biflora, il Rhaponticum scariosum, la Traunsteinera globosa. Sono state ritrovate, inoltre, nuove stazioni di specie rare: la Drosera rotundifolia; la Valeriana celtica, l'Armeria alpina, l'Eritrichium nanum e la Gentianella tenella. Infine, dopo oltre settant'anni dal suo avvistamento, è stata riconfermata la presenza di Androsace vitaliana al Passo Andolla.

La ricerca ha fatto anche emergere, purtroppo, una nuova perdita di biodiversità legata all'abbandono delle terre marginali. «È un po' come osservare una foto a bassa risoluzione: rimane ancora la visione d'insieme (il livello di paesaggio), ma sfuggono i particolari; si perde il corteggio delle specie caratteristiche che per definizione vanno a caratterizzare gli ambienti di cui si riconosce ancora l'elevato valore estetico, ma che pian piano divengono sempre più anonimi e frammentati», spiega l'autrice.

E siccome non c'è presente senza un passato, lo studio ripropone anche le immagini, le impressioni, i contatti umani, i dialoghi e i cenni storici che hanno permesso di entrare in contatto con la realtà locale, che meglio di ogni altro aspetto sono in grado di esprimere i sentimenti degli antronesi nei confronti delle problematiche più sentite, a cominciare dall'abbandono delle attività agro-silvo-pastorali.

Racconta Francesca Pentcheva: «In oltre sessant'anni, l'abbandono della Valle è andato acuendosi fino alla situazione attuale. Escludendo gli itinerari principali, molti sentieri sono ormai invasi dalla vegetazione. Il pietrame si accumula su prati e pascoli mentre il bosco avanza riprendendosi ciò che gli spetta. Fini equilibri si rompono; vie d'acqua si disperdono, si asciugano, si infiltrano portando alla scomparsa di quella rete idrica minore che silenziosamente riforniva gli alpeggi, incanalata con sapienza, indispensabile per la vita d'alpe di uomini e animali, e che indirettamente portava alla formazione di scorrimenti, pozze e torbiere che arricchivano il paesaggio e incrementavano la biodiversità.
Una storia comune a tutte le Alpi, ma dalle note più amare per la Valle Antrona (e per l'Ossola in genere) dove l'abbandono delle attività agro-silvo-pastoriali non è sopperito né rallentato dalla fruizione turistica come nei paesi d'oltralpe.
Oggi è rimasto un ultimo pastore, Roberto Ghivarelli, che ormai da oltre 15 anni sale ad Alpe Cheggio, e che dal 2013 è riuscito a risistemare la casera per la trasformazione del latte, togliendo alla Valle Antrona il "primato di unica valle ossolana senza un formaggio ufficiale". Di fronte a questi successi, la cornice della porta d'ingresso dell'Alpe Ogaggia reca la scritta "Ultima avventura del pastore Nicolino della Valsesia, agosto stagione 2009". È lì che emerge, più che in ogni altro luogo, il senso di desolazione e di abbandono. Dopo aver perso la sua centralità a causa dell'avvento della strada del Sempione e della frana del 1642 e dopo oltre tre secoli di povertà, fatica e miseria, la Valle Antrona si è ripresa economicamente grazie all'avvento dell'ENEL e allo sfruttamento dell'energia idroelettrica, l'ultima attività redditizia che ancora oggi lega l'uomo alla montagna smuovendo ingranaggi e interessi. Il relativo benessere derivato dalla costruzione delle dighe ha portato a un sentimento diffuso di indifferenza verso l'attività turistica, che gli abitanti di questa Valle non hanno mai cercato di richiamare.

L'8 gennaio 2010 nasce, però, il Parco Naturale dell'Alta Vale Antrona, tra interessi della popolazione locale e desiderio di conservazione degli habitat naturali e semi-naturali, cedendo ad alcuni inevitabili compromessi che si concretizzano nella frammentazione dei confini del parco e nell'esclusione degli Alpi di Cama, di Alpe Cheggio e della zona del Montalto, settori che racchiudono un incredibile valore naturalistico e che per quanto possibile vengono ugualmente sottoposti a studio e tutela. L'ente parco sta attivamente cercando di coinvolgere la comunità con una serie di incontri e appuntamenti mirati ad accrescere il consenso e a sviluppare la partecipazione nelle attività di riconoscimento, conservazione e valorizzazione del territorio. È una sfida che potrà aprire nuovi orizzonti, o che almeno rappresenta un primo passo verso l'integrazione tra gli obiettivi di conservazione e la realtà locale».

In questo contesto, la ricerca di Francesca ha dimostrato il valore aggiunto che deriva dalla presenza del parco e contribuisce a valorizzare la biodiversità che l'ente tutela. Infatti, ci spiega: « Alpe Cheggio, la zona del Montalto, la cresta di confine che collega i cinque passi, la testata della Val Loranco, la zona del Pizzo del Ton e la zona Larticcio-Lareccio si sono dimostrate aree a elevato valore paesaggistico, scrigni di specie di grande pregio per bellezza e rarità. D'altra parte, sono evidenti le numerose contraddizioni e problematiche che insistono su prati e pascoli, vegetazioni su cui il bosco sta avanzando provocando un'irreparabile perdita culturale, paesaggistica e di biodiversità.
Il parco non ha armi per impedire lo svolgimento di queste dinamiche e anche singoli interventi di tutela possono solo rallentarle, se non inseriti nell'improbabile contesto di una capillare rivitalizzazione della solida economia montana che un tempo permetteva la gestione e la cura di ogni lembo di terra. L'abbandono della montagna è purtroppo un fenomeno sociale a cui non si può trovare facile soluzione: ciò che rimane è uno spazio da riscoprire attraverso la diffusione della cultura storica e naturalistica, la divulgazione appassionata, la gestione lungimirante e rispettosa del territorio». Benvenuto, quindi, Parco naturale dell'alta Valle Antrona.

 

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