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Mauritius isola del Dodo

20° di latitudine sud, isola di Mauritius, un paradiso tropicale per il popolo delle vacanze ma anche un luogo emblematico per riflettere sulla biodiversità e sul futuro del pianeta.

Venerdì, 4 Maggio 2012

Quella del dodo è davvero una storia particolare: nessuno può dire di averlo visto, eppure il robusto e caricaturale uccello è conosciuto da tutti (o quasi) ed è diventato il simbolo e il biglietto da visita dell'isola stato delle Mascarene. Del mitico dodo, un colombone della grandezza di un cigno incapace di volare che viveva lungo le spiagge del nord est dell'isola, si conservano un solo scheletro rinvenuto nel 1865 a "Mare aux Songes" e ricostruito da uno scienziato scozzese, pochi altri resti, qualche approssimativo disegno e le relazioni dei primi viaggiatori olandesi che scoprirono Mauritius.Neppure nel fornitissimo museo di scienze naturali di Torino dove è custodito ad esempio un rarissimo esemplare di tilacino (il lupo della Tasmania) ce n'è traccia.

L'isola è emersa dal fondale oceanico da 8 a 10 milioni di anni fa e benché geograficamente faccia parte dell'Africa, non ha mai avuto, a differenza del non lontano Madagascar, contatti con la terraferma e non è mai stata abitata. Mauritius è stata ed è uno straordinario laboratorio biologico dove l'uomo e le sue male arti sono cosa relativamente recente. Sufficientemente grande per ospitare una pluralità di habitat e popolazioni in grado di evolversi autonomamente, isolata in quanto emersa dal mare come vulcano senza contatti quindi con il continente africano da cui ad esempio il Madagascar si è separato, ma non lontanissima da altre terre. Troppo piccola però perchè i popolamenti sono facilmente vulnerabili. Era conosciuta dagli arabi e dai portoghesi, ma i primi coloni furono olandesi. Ad essi presto succedettero i francesi che introdussero la monocultura della canna da zucchero e gli schiavi neri per lavorala. Con l'emancipazione degli africani conseguente alla rivoluzione francese, furono gli indiani a trasferircisi massicciamente tanto da essere oggi la maggioranza della popolazione. Il "dodo", come lo battezzarono gli scopritori olandesi, è un grosso piccione giunto in volo dal sub-continente indiano (il cugino più prossimo si troverebbe nell'arcipelago delle Nicobare) in epoca imprecisata e adattandosi alle condizioni di vita dell'isola, ricca di frutti ma priva di predatori naturali (l'unico mammifero endemico è un chirottero fruttivoro) si è sedenterizzato aumentando di stazza (aveva un peso di circa 20-30 kg) divenendo incapace di sollevarsi da terra. Scoperto sul finire del XVI secolo (1598), pochi decenni dopo era da considerarsi estinto (l'ultimo esemplare fu avvistato tra il 1662 e il 1681, non primo e neppure ultimo di una lunga serie di estinzioni provocate dall'uomo). Sulle cause di questa scomparsa i pareri sono discordanti: c'è chi l'attribuisce alla caccia scriteriata dei marinai per procurarsi carne fresca (secondo alcuni però assai disgustosa) chi all'arrivo di ratti e altri predatori alieni, chi alle modifiche dell'ambiente conseguenti dell'introduzione di specie vegetali esotiche, chi alla razzia di uova. Fatto è che il dodo vive ormai solo più nell'immaginario collettivo e nei molti gadget souvenir per i turisti. Se il dodo è perduto per sempre anche altri rappresentanti della fauna mauriziana non se la passano tanto bene. Delle specie avistiche originarie non ne restano che nove. Il parrocchetto (un pappagallo), la colomba rosa (nel 1980 non ne restavano che 20 esemplari nei pressi del Bassin Blanc) e il gheppio di Mauritius hanno toccato soglie critiche e soltanto col disperato impegno dei naturalisti si è per ora scongiurato il pericolo di estinzione. Estinti invece il piccione blu, il pappagallo grigio, l'anatra di Maurizio, il gallo rosso. In particolare all'inizio degli anni '70 di gheppi non restavano che sei esemplari, quattro in libertà e due in cattività. Con una fortunata azione conservativa si è riusciti ad allevare i piccoli rapaci in cattività, tanto che oggi fortunatamente i gheppi, che nel frattempo si sono convinti a modificare la loro dieta, sono tornati a volare sui loro territori di caccia, anche se la minaccia è tutt'altro che scongiurata. Neppure la flora se la passa tanto bene. Molte delle oltre 300 specie endemiche che costituiscono più di 1/3 dell'intera flora isolana sono in pericolo e il 15% si stima sia già scomparso per sempre. I motivi sono evidenti: meno di 2000 km2 di superficie, 1.300.000 abitanti (nel 1983 erano 968.000), 800.000 turisti all'anno, 77.000 ettari coltivati a canna da zucchero! Uno degli alberi più significativi è il Tambalacoque chiamato anche "albero del dodo". Si pensava che non restassero che 13 esemplari, tutti molto vecchi, perchè i semi protetti da un robustissimo endocarpo non riuscivano più a germogliare dopo la scomparsa del dodo che li ingoiava mangiando i frutti. Altri alberi nel frattempo però sono stati ritrovati (in tutto forse un centinaio) e con le moderne tecniche silvoculturali molte piantine sono state riprodotte. Il vero problema è che della foresta originaria di Mauritius resta meno del 2%. Su alcune delle isolette esterne (disabitate) da qualche anno sono in corso operazioni di naturalizzazione reimpiantando le specie endemiche e estirpando quelle alloctone. Istituito nel 1994 nel sud ovest dell'isola il "Black River Gorges National Park è l'unico parco nazionale terrestre dell'isola. Si estende per circa 68 km2 su quella che era un riserva di caccia e che per la sua morfologia accidentata è scampata al disboscamento. Nel suo perimetro troviamo una pluralità di ambienti: montagne, altipiano e le strette vallate, le gorges, dove i torrenti precipitano con alte cascate come quelle di Chamarell, di Alexandra o del View point. Un autentico scrigno naturalistico che custodisce i lembi superstiti di una delle più rare foreste tropicali del mondo. Il parco è habitat di più di 309 specie di piante e di 9 di uccelli endemici. Con un po' di fortuna si possono avvistare il gheppio, il parrocchetto, il piccione rosa, e la volpe volante, il pipistrello di Mauritius. Stupisce anche la variabilità climatica in un area così piccola: sull'altipiano cadono ogni anno più di 4000 mm di pioggia (le terre alte sono i condensatori naturali dell'area umida oceanica), che si riducono a 1000 in basso verso la costa. Porta d'accesso principale del parco, quella più vicina ai grandi insediamenti urbani dell'altipiano, è il "Petrin information centre". Poco lontano è il Grand Bassin, l'occhio di Shiva, lago naturale che occupa un cratere vulcanico luogo sacro agli Indù, dove ogni anno a febbraio in migliaia si recano in pellegrinaggio. Dal centro informazioni, con area picnic, chiosco dove si può acquistare la cartina del parco con gli itinerari consigliati, iniziano alcuni dei sentieri segnalati più interessanti, in particolare il Machabee Forest (n.1) che con un percorso di 14 km permette di conoscere al meglio e di immergersi nell'atmosfera della foresta tropicale il "Machabeè trail" con la variante "Colophanes trail" (n.2) che con spettacolari punti di vista scende ripido verso il Black river. Dal Vieux point qualche chilometro a sud ovest inizia il sentiero (n.5) che conduce alla sommità del Piton de la Petite Riviere Noire che con i suoi 828 m è la montagna più elevata dell'isola. Il sentiero è abbastanza facile eccetto gli ultimi metri per raggiungere il picco. La cascata più spettacolare è quella di Chamarel, straordinaria nella stagione delle piogge. Nelle vicine Terre colorate (area privata) si trovano esemplari della grande tartaruga terrestre di Aldabra introdotta per sostituire l'estinta tartaruga di Maurizio e begli esempi della flora endemica con cartellini identificativi.

L'Isle de Aigrettes, a poche centinaia di metri dalla costa sud est di Mauritius, ha una superfice di soli 26 ettari ma è uno scrigno per la conservazione della biodiversità. Riserva naturale dal 1985 è il laboratorio dove il MWF (Mauritian Wildlife Foundation) sta lavorando per reimpiantare l'originaria foresta a ebano eradicando le piante aliene intrusive In questo autentico laboratorio per la conservazione dell'ambiente, sono stati introdotti alcuni degli uccelli endemici a rischio e per differenziare le popolazioni limitate al solo parco nazionale. È il caso del Fody di Maurizio (Foudia Roubia) ridotto nel Black River a 93 coppie nel 2003 (erano ancora 260 nel 1974). Dal 2003 al 2006 grazie all'azione del Gerald Durrell Endemic Wildlife Sanctuary è stato possibile allevare e liberare all'Aigrettes 56 uccelli diventati oggi 136.

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