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Accoglienza d’antan tra le antiche foreste

Al centro del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna sorge il Poderone, un agriturismo gestito da Lorenzina e dal nipote Nicola. È l'esempio di come si possa offrire un'accoglienza sostenibile all'insegna del rispetto di tradizioni e natura

  • Testo e foto di Claudia Reali
  • Novembre 2021
Giovedì, 18 Novembre 2021
Nicola, uno dei gestori del "Poderone", al lavoro nei campi - Foto C. Reali Nicola, uno dei gestori del "Poderone", al lavoro nei campi - Foto C. Reali

Immaginate una sera d'inverno in una grande casa di campagna. Fuori solo la neve e qualche luce che arriva da lontano; dentro un camino acceso, una tavola apparecchiata e poche persone che condividono cibo ed emozioni. Si parla di tante cose: di politica, di libri e dei lupi che spesso fanno capolino nelle notti fredde. «Quando cominciano a ululare un brivido profondo sale lungo la schiena. I cani prima protestano e poi guaiscono. La paura è ancestrale», racconta Lorenzina Benilli. È la proprietaria del Poderone, un agriturismo nel territorio di Santa Sofia (FC) a 900 metri di altitudine nel cuore del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna. L'area protetta, che si estende per 36mila ettari lungo la dorsale appenninica, tra Emilia Romagna e Toscana, è entrata quest'anno nella Green List dell'IUCN (International Union for the Conservation of Nature), ossia la massima certificazione ambientale per i siti che si sono distinti in termini di conservazione naturalistica e gestione sostenibile a livello planetario. Attorno al maestoso casolare di mattoni – otto posti letto, tavoli apparecchiati con tovaglie a quadri, legno e pietra ovunque - c'è una distesa infinita di verde interrotta dalle stradine sterrate e qualche casetta. Il Poderone è la porta del Parco e Lorenzina la sua custode. Lei, insieme al nipote Nicola, sono l'esempio di come si possa offrire un'ottima accoglienza rispettando le caratteristiche di un luogo così straordinario e le tradizioni comunitarie. Uomo e natura, mano nella mano.

Ecologia... monastica

Da un versante all'altro del Parco il paesaggio cambia repentinamente: dolce, con morbide e agevoli pendenze quello toscano; scosceso e accidentato quello romagnolo. Il cuore dell'area protetta è rappresentato dalle Foreste Demaniali Casentinesi, un unico splendido complesso forestale – il più grande dell'Appennino – allungato lungo lo spartiacque tra il Monte Falterona e il Passo dei Mandrioli. L'oculata gestione territoriale inizia con i monaci camaldolesi, primi abitanti del territorio nell'XI secolo. Si legge nelle Costituzioni Camaldolesi del 1080: "Abbiano i padri somma cura e diligenza che i boschi e le abetaie non siano diminuite in niun modo, ma allargate con nuove piantagioni". Tra le fitte faggete e gli abeti bianchi si avverte un senso di sacralità e misticismo. Secondo la leggenda, sul Monte della Verna, dove oggi sorge un santuario dedicato, nella propaggine meridionale del Parco, San Francesco ricevette le stimmate nel 1224. Nel 1838 le foreste entrarono a far parte del Demanio Granducale sotto Leopoldo II che le amministrò con parsimonia salvaguardandole. Nel 1959 venne invece istituita la Riserva integrale di Sasso Fratino, la prima in Italia: 764 ettari tra i 900 e i 1520 metri di quota dove vivono faggi che hanno quattro o cinque secoli. L'istituzione del Parco nazionale risale al 1993.

Una donna dalle idee chiare

Lorenzina "gira i tegami", come dice lei, da cinquant'anni. Prima del Poderone gestiva con la famiglia due impianti di risalita e uno chalet nella zona dei Prati della Burraia, sempre dentro i confini del Parco. «Ma di anno in anno la neve era sempre meno e i conti troppo salati. Ho cercato di coinvolgere gli enti pubblici per andare avanti, ma niente da fare. È stato un periodo molto difficile. Intanto avevo acquistato il Poderone dove pensavo di realizzare la mia casa. Era una struttura tutta malandata, in vendita da molto tempo. Già la conoscevo. Ci abitava una famiglia umile; i genitori con i loro 11 figli. Quando qualcuno andava a trovarli, il marito diceva: "Sciacqua un bicchiere che gli offriamo da bere!". Non avevano neanche un bicchiere a testa. Finita l'esperienza alla Burraia, ho quindi deciso di trasformare il Poderone in un agriturismo. Ogni giorno mi recavo alla sede del Parco per avere tutte le autorizzazioni necessarie. Avevo un grande vantaggio. Ero una donna e per di più zitella. Ero libera di dire ciò che volevo. Li ho messi tutti all'angolo. Ho inaugurato l'agriturismo il 19 novembre 1995. Era il giorno di San Fausto. Mi telefonò un mio amico e mi disse "Lori hai trovato il santo bono!"».

Seguendo i ritmi della natura

Fin dall'apertura la gestione è stata volta alla conservazione del territorio, alla riscoperta di antiche tradizioni culinarie, all'uso di materie prime sceltissime, a "metri" zero. Ad aiutare in questa impresa Lorenzina è suo nipote Nicola, in azienda da quando era un ragazzino. Tra le tante cose, lui si occupa delle coltivazioni. «Sto percorrendo la strada dell'agricoltura biodinamica. In sostanza assecondo i ritmi naturali; scelgo le cultivar autoctone, che sono più resistenti; produco di anno in anno i semi che mi serviranno per l'anno successivo. L'orto è misto agli alberi da frutto, che già erano lì. D'altra parte se una pianta cresce in un determinato punto in modo spontaneo significa che è il posto giusto. Non si ammalerà né darà mai problemi. Il mio obiettivo è rendere un'azienda come la nostra completamente autosufficiente. Ora lo siamo all'85%. A 900 metri di altitudine le rese sono più limitate ma il vantaggio è che non ci sono insetti e patogeni come in pianura e così non c'è bisogno di fare trattamenti specifici. Nel tempo poii abbiamo creato una rete di produttori del Parco da cui poter avere frutta, verdura e altre materie prime non prodotte da noi di altissima qualità. Una cosa di cui sono particolarmente orgoglioso è l'aver ritrovato una qualità antica di mais locale che era scomparso. Insieme al professor Graziano Rossi dell'Università di Pavia abbiamo recuperato da un signore di Santa Sofia, Piero Romualdi, alcune pannocchie. Si chiama mais "Romualdi di Santa Sofia". Oggi è conservato anche presso la Banca del Germoplasma Vegetale di Pavia ed è registrato all'albo regionale delle sementi antiche».

Cucina, foreste e perle di saggezza

Al Poderone sono passati molti personaggi pubblici: politici, giornalisti, scrittori. È un posto che ti entra dritto dritto nel cuore e non ti lascia più. Lorenzina ti fa sentire parte di una grande famiglia. «Siamo un bruscolino in capo al mondo ma è il mondo ad essere venuto qui». Il cibo fa rima con amore, cura e rispetto. Per gli uomini e per la natura. A tavola ci sono tanti piatti a base di verdura di stagione, la pasta ogni mattina viene fatta in casa, le torte sono semplici e profumate. Mele, susine, pere volpine, ciliegie diventano marmellate speciali da gustare a colazione con il pane fresco. Una specialità su tutte? Gli spaghetti alle rape rosse. L'agriturismo è in una posizione strategica. Da qui si può partire per le tante escursioni alla scoperta del Parco, scavallando facilmente il confine regionale ed entrando in Toscana. Da non perdere: la diga di Ridracoli; il monastero di Camaldoli; la Verna; il lanificio di Stia, le cascate dell'Acquacheta; l'abbazia di Badia Prataglia; Monte Falterona e il Castagno d'Andrea; Campigna e naturalmente le foreste da esplorare attraverso la fitta rete sentieristica. Si torna poi alla sera con gli occhi colmi di bellezza e ci si accomoda ad ascoltare Lorenzina, seduta sulla sua sedia a dondolo di fronte al camino. «Mia madre mi diceva: "Lori tu puoi scegliere il colore del vestito che indosserai ma la strada principale spesso è già segnata. La cosa importante però è esserci, essere protagonisti della propria esistenza. Non devi seguire l'onda. Devi farla l'onda!"».

 

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