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Parco dei Picos, il decano dei parchi spagnoli

Nel nord-ovest della Spagna c'è il "Parque nacional de los Picos de Europa", un parco dai mille ambienti. 

  • Filippo Ceragioli
  • Maggio 2020
Mercoledì, 27 Maggio 2020
Verso il refugio de Áliva | Foto F. Ceragioli Verso il refugio de Áliva | Foto F. Ceragioli

 

L'area protetta fu istituita dal re Alfonso XIII il 22 luglio del 1918. Si trattava di una novità quasi assoluta per l'Europa: gli unici parchi nazionali del continente erano nati nove anni prima in Svezia, e il Parco del Gran Paradiso vide la luce solo alla fine del 1922. In origine il nome era "Parque nacional de la Montaña de Covadonga" e la sua area, molto più limitata dell'attuale, era centrata sul santuario di Covadonga, un luogo mitico per la Spagna.

Da questa piccola encalve montana infatti Pelayo, principe delle Asturie, incominciò quella "Reconquista" che poco per volta strappò agli arabi la penisola iberica e che si concluse il 2 gennaio 1492 con la presa di Granada. «Un símbolo de esa nueva reconquista no guerrera, sino conservacionista y forestal, del propio territorio»: così il senatore asturiano Pedro Pidal, che ne fu tra i promotori, vedeva la funzione del parco, ed in effetti di riforestazione e attenzione alla conservazione della natura nella Spagna in quegli anni ce ne sarebbe stato davvero un grande bisogno. La prima metà del Novecento non lasciò però molto spazio alla nascente coscienza ecologica e alla protezione delle aree naturali, e anche i Picos de Europa e i loro abitanti furono coinvolti dai tragici eventi della guerra civile.

Visto l'isolamento della zona i combattenti repubblicani riuscirono a lungo a sfuggire alle truppe nazionaliste e il piccolo centro di Tresviso, nella zona cantabrica del parco, fu l'ultima roccaforte repubblicana della Spagna a cadere in mano franchista il 17 settembre 1937. Dopo una lunga stagnazione sotto il regime franchista anche l'attenzione all'ecologia riprese quota e, prima nel 1995 e poi nel 2015, il parco venne ampliato. L'area tutelata arrivò così agli attuali 67.455 ettari (più o meno come quello del Gran Paradiso, che copre circa 70.000 ha), distribuiti tra tre diverse "comunità autonome" (l'equivalente delle nostre regioni). Negli ultimi vent'anni alla tutela come parco nazionale si sono sommati il riconoscimento da parte dell'UNESCO come "Riserva della Biosfera" e l'istituzione, all'interno del parco, di vari SIC (i "Siti di Importanza Comunitaria" della rete NATURA2000).

Un parco mille ambienti

Come altre "grandi" aree protette anche nel parco dei Picos de Europa esiste una notevole varietà di ambienti. Un primo fattore di diversificazione è naturalmente l'altitudine, con circa 2500 metri di dislivello tra le montagne più alte (la Torre de Cerredo tocca i 2648 m) e il fondo delle vallate che attraversano il parco. Un altro potente fattore di variabilità ecologica è il clima: le zone più vicine al Mar Cantabrico hanno infatti un tipico clima oceanico, con scarsa escursione termica annuale e precipitazioni abbondanti e ben distribuite nel corso dell'anno. Il clima delle zone più meridionali, che guardano verso la Meseta e il centro della penisola iberica, è invece parzialmente continentale, con inverni più freddi e precipitazioni più discontinue.

L'intricata topografia della zona permette poi l'esistenza a bassa quota di piccole aree dal clima praticamente mediterraneo, favorite dall'esposizione ottimale e dalla pendenza del terreno. Da un punto di vista conservazionistico tra gli habitat più interessanti ci sono i prati falciabili, ricchissimi di biodiversità ma minacciati dal progressivo abbandono delle pratiche agricole tradizionali. Come in tutto il continente europeo molto preziose sono anche le aree umide, in particolare stagni e torbiere. In un ambiente calcareo come quello dei Picos - con la permeabilità del suolo che tende a smaltire rapidamente le precipitazioni – queste sono molto importanti nei mesi meno piovosi per dissetare il bestiame, ma in caso eccessivo utilizzo tendono a degradarsi.

Rare sono anche le aree coperte da ginepri a portamento strisciante, sopravvissute al sovra-sfruttamento zootecnico del passato solo in zone poco accessibili e con lunga permanenza della neve durante l'anno. E poi ci sono le grotte, numerose e spesso profondissime, che danno rifugio a una fauna fragile e molto particolare. Ben più diffuso è il bosco misto atlantico, che anche visivamente caratterizza la zona e la colloca a buon diritto in quella "Spagna verde", sempre apprezzata durante l'estate dai turisti che vengono dal centro e dal sud della penisola.

Bentornato quebrantahuesos!

Anche la fauna del parco è molto differenziata a tutti i livelli della catena alimentare, dagli insetti erbivori ai super-predatori come il lupo o l'aquila reale. I fiumi che si addentrano nell'area protetta, ecologicamente in buono stato di salute, ospitano alcune specie che in Italia tediamo ad associare ai climi nordici, come il salmone e la lontra. Più sfuggente è la presenza del desmàn pirenaico (Galemys pyrenaicus) sottospecie rufulus , un animaletto semi-acquatico parente delle talpe ed endemico del nord-ovest della penisola iberica.

Altre interessanti specie endemiche si trovano tra gli anfibi e i rettili, come ad esempio la rana iberica e la vipera cantabrica (Vipera seoanei). Ci sono poi gli animali simbolo della montagna: la pernice bianca, il gallo cedrone e l'orso, per il quale la zona dei Picos de Europa, grazie alla scarsa accessibilità, ha rappresentato un'area rifugio. E poi vanno segnalati alcuni importanti ritorni tra i quali il gipeto e lo stambecco iberico (Capra pyrenaica), che dopo essere stato reintrodotto in una vicina riserva di caccia si è spontaneamente espanso nel territorio del parco. Il gipeto invece, che da queste parti risponde al nome un po' sinistro di "quebrantahuesos" ("spaccaossa"), visitava già sporadicamente il parco provenendo dai Pirenei ma è stato oggetto di uno specifico progetto di reintroduzione. L'iniziativa sembra avere avuto finalmente successo e nel marzo del 2020, dopo circa settant'anni dalla scomparsa di questa specie dalla zona, è stata documentata la prima nascita da una coppia nidificante.

Nel blu dipinto di blu

Tra i punti di forza della gastronomia dei comuni del parco ci sono senza dubbio i prodotti legati alla zootecnia e, in particolare, all'allevamento bovino basato sul pascolamento. Oltre alla carne, apprezzatissima in una cultura gastronomica che rimane piuttosto "carnivora", la zona produce vari formaggi tradizionali tra i quali spicca il mitico "queso de Cabrales". Si tratta di un formaggio erborinato molto saporito e prodotto con latte bovino, al quale in certi periodi dell'anno può essere aggiunto anche latte ovicaprino. Viene affinato facendolo riposare tra i due e i quattro mesi in grotte naturali, dove il clima è fresco e umido indipendentemente dalla stagione.
Prende il nome da Cabrales, uno dei paesi del versante asturiano del parco, e fin dal 1981 è tutelato da una "Denominación de Origen Protegida". Molte ottime ricette del nord/ovest della Spagna, come ad esempio il filetto di cinghiale o il "cachopo" (una specie di bistecca alla valdostana in formato XXL), si adagiano su salse e intingoli dall'inconfondibile viraggio verso il blu.

Ci sono poi i salumi ("embutidos") tradizionali della zona, che oltre ad essere consumati da soli vanno ad accompagnare i fagioli, la verza e a volte i ceci nella preparazione di robusti "cocidos" e "fabadas", piatti unici per palati forti. Il pesce d'acqua dolce è certamente più raffinato, e accanto alla trota sta riprendendo quota in questi anni, grazie a una gestione ittica più attenta, anche il consumo dei salmoni locali. Insomma, chi visita il parco difficilmente potrà lamentarsi dell'offerta gastronomica, a prezzi tra l'altro del tutto accessibili. E per accompagnarli, oltre ai vini locali prodotti nelle zone meglio esposte, c'è il tipico sidro ottenuto fermentando le mele, che da queste parti crescono particolarmente bene.

Su e giù per i picos

Il Parco dei Picos de Europa è una delle mete favorite dei "senderistas" iberici, e offre sia itinerari escursionistici più o meno impegnativi che una buona rete di rifugi e punti d'appoggio per rifocillarsi e trascorrere la notte.
Sulle cime più elevate, che vantano bellissime pareti di tipo dolomitico, è nato l'alpinismo spagnolo, e anche i climber più assatanati possono trovare pane per i loro denti tra le vie di salita a vette leggendarie come il Naranjo de Bulnes ("Arancia di Bulnes", perché dal paese di Bulnes al tramonto la montagna si colora di un arancione acceso).

Per chi invece preferisce prendersela più comoda ma non vuole rinunciare all'alta montagna esistono alcuni impianti di risalita aperti anche d'estate come la funicolare di Bulnes, scavata nelle viscere della montagna, che evita le circa due ore di camino per raggiungere questo storico villaggio non servito da strade. E poi c'è il "Teleférico de Fuente Dé", una aerea cabinovia che in quattro minuti vi deposita su un balconata a 1850 metri di quota. Una volta lì chi non si accontenta di fermarsi alla panoramica caffetteria potrà spingersi all'interno del Macizo de Urrieles - magari in mountain bike o, d'inverno, con le ciaspole. Insomma ce n'è davvero per tutti i gusti.

 

 

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