Stampa questa pagina

Veleni a colazione

  • Bruno Gambarotta
  • Gennaio febbraio 2011
  • Mercoledì, 21 Maggio 2014

Sfoglio le pagine de La Stampa. I titoli che contengono la parola veleno sono quattro, due nelle pagine nazionali: "Latte avvelenato, i cinesi condannano chi vuole la verità" e "Milano, il centro residenziale sopra una discarica di veleni". Gli altri due nella cronaca locale: "Aveva sete, l'ho uccisa con un cocktail di veleni" (è una citazione della signora di Bruino che ha tolto di mezzo la moglie del suo amante) e "Porta Susa: caos e fumi velenosi". È la prova che, se sono numerosi gli animali che usano il veleno per attaccare o per difendersi, gli umani non scherzano. Gli animali sono giustificati dalla lotta per la sopravvivenza, gli umani un filino meno. Nel 1987 la Rai mi affiancò ad Adriano Celentano perché lo seguissi nella preparazione dei copioni di "Fantastico '87", ricordato negli annali per i famosi monologhi del cantante. Ispirati dall'attualità, spaziavano sui più vari argomenti. Non mi ricordo più per quale puntata, Adriano si fece ispirare dalla copertina del settimanale Panorama che sparava il titolo "La mela avvelenata", con palese allusione alla fiaba di Biancaneve, per lanciare un'inchiesta sull'abuso degli anticrittogamici nel mondo. Mi offrii di collaborare spiegando che pochi mesi prima avevo lavorato con Piero Bianucci a un programma didattico che sviscerava a fondo i vantaggi e i pericoli della chimica in tutte le sue moderne applicazioni. Adriano, come al solito, preferì fare da solo, e quel sabato si lanciò in una filippica manichea sparando a zero contro la chimica nei campi, quasi si trattasse di una nuova peste. Rivedendo con lui e gli altri autori la registrazione della puntata, tentai di spiegargli che quelli che lui aveva bollato come veleni, migliorando la resa delle coltivazioni nel Terzo Mondo, avevano permesso di alleviare la fame. Adriano, sensibile ai temi umanitari, rimase colpito dai miei argomenti ma reagì dicendo: "Ho fatto bene a non darti retta, perché mi avresti solo confuso le idee".
Non c'è dubbio. Usare, nei titoli e nel testo dei servizi, la parola veleno e i suoi derivati, alza la temperatura emotiva della comunicazione: nutriamo tutti la paura inconscia di finire avvelenati, per sbaglio o di proposito. Ad ogni anniversario napoleonico, viene rinverdita con nuove prove la tesi che l'imperatore dei francesi, esiliato nell'isola di sant'Elena, sia morto per un lento e progressivo avvelenamento da arsenico ad opera dei suoi carcerieri inglesi. Di recente, per spiegare il declino dell'impero romano, qualche studioso ha affacciato l'ipotesi che sia dovuto al lento e inarrestabile avvelenamento dal piombo con cui erano confezionate le loro stoviglie e le coppe dove mescevano il vino. Infine l'Amleto di William Shakespeare è intriso di venefici dall'inizio alla fine. Nell'atto primo il fantasma del padre compare ad Amleto sugli spalti del castello di Elsinore e gli rivela che non è stato morso da un serpente velenoso nel sonno: "Tuo zio violò la mia ora di pace. Aveva una fiala di succo del maledetto giusquiamo, e versò nella conca dei miei orecchi quell'essenza lebbrosa". Nel quinto e ultimo atto Claudio avvelena le punte dei fioretti per il duello fra Amleto e Laerte, e anche il vino destinato a dissetare Amleto. La regina Gertrude, brindando a una stoccata del figlio, resta vittima della coppa avvelenata. In totale sono in cinque a morire per mano del veleno: il re, la regina, Amleto, Laerte e Claudio. Scendendo a più bassi livelli, nei romanzi alle origini del genere "detective story" troviamo una grande abbondanza di veleni usati per delinquere. Qui la regina è la digitale purpurea, da cui si estrae la digitalina, che cura affezioni cardiache e in eccesso diventa un veleno mortale. Del resto, cos'è se non la paura di finire avvelenati, a fare da motore del dilagante fenomeno delle intolleranze alimentari? Oggi come oggi, se non hai almeno un'intolleranza per terrorizzare chi si appresta a nutrirti, cuoco di ristorante o moglie dell'amico che incauto ti ha invitato a cena, non sei nessuno.