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Ossola, una ricerca sulla farfalla più rara d’Europa

Il suo nome scientifico è Erebia christi. Le Aree Protette hanno promosso uno studio che ne svela aspetti sconosciuti

  • Ivano De Negri Andrea Battisti
  • maggio 2016
  • Mercoledì, 18 Maggio 2016
Erebia christi Erebia christi

Le Aree Protette dell'Ossola (che riuniscono i parchi naturali dell'Alpe Veglia e Devero e dell'Alta Valle Antrona) ospitano una tra le farfalle più rare d'Europa, l'erebia dei ghiacciai, forse nota ai più con il suo nome scientifico: Erebia christi. Si tratta di una specie caratterizzata da una distribuzione concentrata in poche località di alcune vallate alpine situate tra il Piemonte settentrionale e le valli svizzere a meridione del passo del Sempione. Quasi tutte le località di presenza conosciute per il versante italiano ricadono entro i confini delle Aree Protette dell'Ossola, che ha quindi un enorme responsabilità nella conservazione di questa farfalla. La sua estrema rarità e le caratteristiche dell'habitat frequentato ne fanno uno tra i lepidotteri meno conosciuti in Europa. Per questo motivo le Aree Protette dell'Ossola hanno promosso una ricerca, condotta dai naturalisti Andrea Battisti e Matteo Gabaglio e dalla professoressa Simona Bonelli dell'Università degli Studi di Torino, che mira a svelare alcuni aspetti dell'ecologia di questa specie ancora almeno in parte sconosciuti. –

Erebia christi (Rätzer, 1890) è una farfalla della famiglia Nymphalidae, conosciuta in Italia con il nome di "Erebia dei ghiacciai" proprio perché vive in un'area particolarmente fredda dell'arco alpino, a quote comprese tra i 1600 e i 2100 m. Si tratta dalla farfalla più rara d'Europa! E' una specie inserita negli allegati II e IV della Direttiva Habitat, figura come Vulnerabile (VU) nella lista rossa IUCN delle farfalle diurne italiane, ed è citata nell'allegato II della Convenzione di Berna (1979), insomma una specie di altissimo valore naturalistico, da qui il dovere di tutelarla.

Erebia christi fu descritta per la prima volta in Svizzera a fine '800 e "scoperta" in Italia da G. Leigheb solamente nel 1972. La sua rarità le ha creato non pochi problemi di conservazione, attirando le attenzioni di collezionisti da tutto il mondo. La raccolta cui è stata sottoposta per soddisfarne le richieste ha contribuito a ridurre numericamente alcune delle popolazioni più conosciute e facilmente raggiungibili. Attualmente, tutte le popolazioni conosciute su entrambi i versanti del confine italo-svizzero sono protette e la raccolta degli esemplari è vietata.

Le scarsità di conoscenze disponibili su questo lepidottero è dovuta ad un insieme di fattori. Si tratta di una specie caratterizzata da un periodo di volo molto breve ed uno stadio larvale biennale, non facilissima da riconoscere poiché simile ad altre farfalle del genere Erebia sp., molto più comuni e frequenti su tutte le Alpi. Ma soprattutto si tratta di una specie che vive in ambienti poco accessibili. Le segnalazioni storiche disponibili e quelle raccolte nell'ambito di un progetto LIFE che ha visto protagonista il parco dell'Alpe Veglia e Devero durante la metà degli anni 2000, si riferivano ad esemplari catturati principalmente lungo pendii molto ripidi posti alla base di pareti rocciose. Capire per quale motivo fosse così difficile trovare gli esemplari adulti è stato un passo fondamentale per gettare le basi per potere avviare un progetto che ci consentisse di studiare l'ecologia di questa specie e di monitorare l'evoluzione delle popolazioni nel tempo.

Parte della ricerca è stata quindi dedicata alla verifica dell'ipotesi che uno dei motivi per cui questa farfalla fosse così difficile da trovare fosse dovuto al fatto che la si cercasse nel posto sbagliato. Abbiamo quindi rivolto le nostre ricerche in luoghi dove un entomologo difficilmente si avventura: le pareti rocciose. Grazie ad un'attrezzatura più consona all'alpinismo che all'entomologia sono state esplorate alcune pareti, sia in siti in cui la presenza della specie era nota che esplorando località nuove. In un mese di ricerca sul campo sono stati trovati, studiati e fotografati decine di esemplari, consentendoci di descrivere per la prima volta il vero habitat in cui questa rara farfalla si è evoluta e specializzata. Grazie a questi primi studi è stato possibile monitorare in modo soddisfacente una di queste popolazioni e spiegare, almeno in parte, perché fosse così difficile osservare gli individui adulti. Per la prima volta è stato sperimentato un metodo di campionamento piuttosto estremo e insolito rispetto ai comuni monitoraggi sulle farfalle, ma necessario se si vuole studiare Erebia christi nel suo vero habitat, ovvero lassù, dove osano aquile e stambecchi.

Il secondo passo di questa ricerca sarà quello di definire la reale distribuzione della specie, indagando con la metodologia da noi sperimentata nuovi siti potenzialmente idonei alla presenza del lepidottero. Contemporaneamente, verrà messo in atto un sistema di monitoraggio che ci consentirà di comprendere l'evoluzione delle popolazioni nel tempo. Erebia christi vive in un ambiente peculiare, dove l'impatto diretto delle attività umane è probabilmente poco rilevante, ma una specie che si è evoluta in un ambiente tipicamente alpino potrebbe dimostrarsi molto sensibile ai mutamenti climatici, soprattutto in termini di riscaldamento globale.

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