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Biomimetica, la natura che ci insegna il futuro

Dai plantoidi alla robotica soft, dal polpo agli endoscopi, dalle foglie di loto ai materiali autopulenti: molte sono le ricerche della biomimetica che si ispirano al mondo naturale per affrontare le sfide del futuro. 

  • Alessandra Fassio
  • Marzo 2021
  • Lunedì, 15 Marzo 2021
Cecilia Laschi mamma di Octopus, il primo robot “soffice” (Foto: Jennie Hills, The London Science Museum) Cecilia Laschi mamma di Octopus, il primo robot “soffice” (Foto: Jennie Hills, The London Science Museum)

 

Biomimetica. Ovvero lo studio e del trasferimento di processi biologici dal mondo naturale a quello artificiale: "mimando" i meccanismi che governano la natura, e ispirandosi a questi processi, l'uomo può infatti trovare la soluzione ad innumerevoli problemi.

Molti sono gli esempi: edifici costruiti applicando i principi dell'autoraffreddamento e della ventilazione osservabili nelle tane delle termiti africane o la creazione di un materiale altamente adesivo in cui ispiratore è stato il geco in grado di arrampicarsi su qualsiasi superficie solida, indipendentemente dal suo orientamento, grazie alla miriade di peli microscopici che ricoprono le sue zampine. Anche la pianta di loto ci può insegnare qualcosa: le sue foglie sono dotate di microscopiche sporgenze che rendono la superficie simile alla cera, respingendo l'acqua e con essa anche lo sporco. Gli esempi potrebbero continuare all'infinito, come infiniti sono i suggerimenti della natura per chi è capace di ascoltarla. Ogni dettaglio di quella natura che, troppo spesso diamo per scontata e pretendiamo di conoscere, nasconde formule di equilibrio e insegnamenti silenziosi: sta a noi osservare, imparare, riscoprire.

Citando Albert Einstein: "Ogni cosa che puoi immaginare, la natura l'ha già inventata!". 

Il polpo che insegna la robotica soft

Osservando un polpo muoversi nell'acqua la prima caratteristica che salta agli occhi è che è sinuoso: il suo corpo si deforma e si adatta a spazi anche piccoli rispetto alle sue dimensioni. I suoi tentacoli si flettono in ogni punto e in ogni direzione, si allungano e si accorciano e si possono irrigidire in alcune parti, quando serve. I polpi inoltre sanno afferrare e manipolare gli oggetti, nuotare, camminare, tutte caratteristiche che hanno contribuito a portare una grande rivoluzione nella robotica, dando vita a quella che a livello internazionale è conosciuta come "la soft robotics", la robotica soft.

Cecilia Laschi, Professore Ordinario di Bioingegneria Industriale della Scuola superiore Sant'Anna di Pisa, è considerata una delle pioniere della soft robotics. Il gruppo di lavoro da lei coordinato, infatti, è riuscito a creare un vero e proprio polpo robotico, che imita la nuotata e la camminata di questo straordinario animale. I polpi sono molluschi cefalopodi molto intelligenti, anche grazie al loro corpo, così particolare. Il concetto di intelligenza artificiale, infatti, presuppone l'esistenza di un corpo che interagisce con l'ambiente, in abbinamento al cervello. Il segreto del corpo del polpo è la struttura del suo braccio - o tentacolo - che è chiamata "muscolar hydrostat" ed è formata da muscoli longitudinali, trasversali e obliqui: la combinazione delle contrazioni di questi muscoli dà origine a tutti i movimenti dell'animale. La caratteristica più importante per le applicazioni robotiche è data dalla capacità dell'animale di indurre contrazioni muscolari simultanee che fanno irrigidire i tentacoli, creando una sorta di "scheletro modificabile".

Ma quali possono essere gli utilizzi di un "polpo robot"? Può svolgere dei compiti sui fondali marini, ad esempio, dove è in grado di spostarsi agevolmente, anche sulle barriere coralline. Oppure in medicina, dove ha trovato applicazione come endoscopio, per la sua capacità di muoversi e compiere operazioni all'interno del corpo umano. 

I Plantoidi e la bioispirazione

Altre fonti di ispirazione per la robotica sono le piante, in particolare le loro radici, che hanno ispirato la realizzazione di robot che si muovono all'interno del suolo per il monitoraggio dell'ambiente. I ricercatori sono nuovamente partiti dalla scienza di base per risolvere problemi reali.

Nell'immaginario collettivo le piante sono spesso considerate degli organismi passivi; al contrario esse sono in grado di muoversi, di interagire e di comunicare in maniera molto efficiente.

I ricercatori del gruppo di Bioinspired Soft Robotics coordinati da Barbara Mazzolai, responsabile del centro di microbiorobotica IIT (l'Istituto Italiano di Tecnologia) a Pontedera, hanno "copiato" proprio la radice della pianta. Fondamentale è stato studiare il modo in cui si muove nel suolo, un ambiente estremamente complesso, dove le pressioni e gli attriti sono elevati già nei primi centimetri. La radice si allunga a partire dalla punta, mediante l'accrescimento delle cellule, e poi penetra sempre più nel terreno, "toccando" continuamente l'ambiente circostante per capire la strada migliore da percorrere. Inoltre interagisce con le sostanze che incontra come acqua, luce, sostanze chimiche ed è influenzata nella sua "marcia sotterranea" anche dalla gravità terrestre. Il modello biologico permette di applicare i suoi principi, semplificandoli, in tecnologia e di costruire un prototipo di radice robotica.

La vera novità sta proprio qui: grazie all'imitazione di quanto avviene in natura sono state create delle radici robot che crescono, uno strato dopo l'altro, evitando gli ostacoli che incontrano. In linea di principio le applicazioni sono molteplici: una delle idee è quella di utilizzarle per applicazioni ambientali come il monitoraggio del suolo, la ricerca dell'acqua o dei metalli pesanti inquinanti. Oppure nelle applicazioni mediche: gli endoscopi del futuro potrebbero essere flessibili e, proprio perché imitano il movimento della radice, non creare danni ai tessuti biologici.

Anche se la natura può aiutarci a capire come trovare soluzioni sostenibili a problemi estremamente complessi, non mancano ovviamente limitazioni di natura tecnologica, perché alcune idee della biomimetica non si possono realizzare nella pratica e altre si rivelano alla lunga troppo complicate.

I mitili, molluschi dai superpoteri

E' noto che anche la più forte colla artificiale è completamente inutile quando si tenta di utilizzarla sott'acqua, ma quando si tratta di mitili l'adesione è garantita! Attraverso il bisso, un fascio coriaceo di filamenti proteici, la cozza si ancora agli scogli per resistere alla forza del mare e per scoraggiare i predatori che cercano di portarle via. Finora nessuno si era ancora spinto a studiare il comportamento delle sue proteine per misurare la portata di questa "collosità". L'insolita ricerca, pubblicata su Nature Communication, è stata condotta dai ricercatori dell'Istituto di nanotecnologia del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Nanotec) di Rende (Cs), in collaborazione con i ricercatori dell'Università della Calabria e con il gruppo di ricerca di Ali Miserez della Nanyang Technological University di Singapore. I ricercatori hanno presentato una nuova colla "biomimetica", ispirata ai molluschi come le cozze.  

Si tratta di un risultato di grande rilevanza applicativa perché anche i più tenaci tra i moderni adesivi sintetici si rivelano inefficaci nel generare adesione in presenza di molecole d'acqua. È stata misurata l'adesione che le proteine delle cozze riescono a generare tra due superfici completamente immerse in un mezzo acquoso. Lo studio ha così rivelato che la cozza dapprima produce una proteina che rimuove le molecole d'acqua e successivamente si lega fortemente al substrato. Su questo primo strato superficiale di proteine viene progressivamente costruito un complesso tessuto proteico in cui ogni proteina svolge una funzione specifica (protezione dall'ambiente esterno, resistenza alle sollecitazioni meccaniche, ecc.).

Nuove prospettive si sono aperte grazie a questo studio, in particolare la creazione di adesivi sintetici biomimetici, biocompatibili e biodegradabili ispirati a molecole biologiche. Una "colla subacquea" potrebbe avere importanti applicazioni nel settore navale, ma senza dubbio straordinarie risulterebbero le applicazioni in campo medico finalizzate, ad esempio, ad evitare inestetiche suture chirurgiche, a ricostruire tessuti danneggiati oppure ossa fratturate, a riparare i distacchi di retina o ad integrare materiali biomedicali in presenza di liquidi biologici.

 

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