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Quando anche in pianura c'erano le foreste

Gli ultimi lembi di boschi planiziali sono tutto ciò che rimane delle foreste, un tempo invece regine incontrastate della pianura Padana. Un recente convegno alla Mandria ha illustrato un approccio multidisciplinare alla loro tutela

  • Loredana Matonti
  • ottobre 2011
  • Mercoledì, 5 Ottobre 2011



2011: un anno decisivo. Sta presentando in modo inesorabile un conto maturato in secoli sfociato in eventi naturali e sociali di portata tale da costringere l'Uomo a riflettere sul costo e la sostenibilità di un progresso incurante delle altre forme di vita del pianeta. Non a caso quindi, è stato proclamato anche "Anno internazionale delle Foreste", polmoni della Terra tanto indispensabili quanto attualmente minacciati, come risulta alla luce di studi che destano preoccupazione. La pianura Padana, che ci appare oggi come uno sterminato serpentone di coltivi alternati a costruzioni civili e industriali, a tratti sbuffante fumi inquietanti, doveva suscitare un tempo una ben diversa sensazione a chi la osservava. Un'immensa foresta ricopriva in modo pressoché ininterrotto, come un guanto di velluto verde, l'intera pianura dell'Italia settentrionale. Ben 7000 anni fa infatti, si affermò il querceto misto in cui dominavano varie specie di querce, farnie nelle zone più pianeggianti e paludose e roveri sui pendii e zone più asciutte, con presenza anche di frassini, tigli, olmi, aceri, carpini. Nelle zone più acquitrinose dominava l'ontano nero, mentre i fiumi erano costellati di salici e pioppi. Man mano, nel corso dei secoli, a partire dal neolitico, l'uomo è intervenuto pesantemente distruggendo e modificando la vegetazione naturale ma, per ironia della sorte, la conservazione di molti boschi si deve alla passione venatoria dei nobili, dai Gonzaga in Lombardia ai Savoia in Piemonte, che li sottraevano all'inesorabile avanzata delle opere umane per farne riserve di caccia, mentre tutto attorno il territorio si trasformava radicalmente. Come è accaduto per un'area verde alla periferia di Torino, attualmente parco della Mandria e Sito di Interesse Comunitario (SIC), ma che nel XVI secolo fu destinata a tale scopo proprio dai Savoia. Così oggi il bosco originale a querceto misto è riuscito a sopravvivere fino ai giorni nostri e, coi suoi ben 2550 ettari, rappresenta il più importante ed esteso relitto delle antiche foreste planiziali della pianura Padana. I numerosi habitat di pregio naturalistico conservati nel parco permettono la sopravvivenza di altre specie vegetali rare, protette dalla Direttiva Habitat e inserite nella Lista Rossa italiana e/o regionale, come ad esempio Eleocharis carniolica, Gladiolus palustris, Gentiana pneumonanthe o la rara felce Thelypteris palustris. Ben si comprende quindi, l'importanza di un'area protetta come questa, il cui ruolo strategico è proprio quello della conservazione di habitat naturali ormai rari e fortemente minacciati. Tuttavia, se è vero che la continuità nella copertura forestale alla Mandria non è mai venuta meno, di certo non si può dire che i boschi abbiano mantenuto le stesse caratteristiche fisionomiche delle foreste primarie, a causa dei passati rimboschimenti a quercia rossa e pino strobo, entrambe specie nordamericane e a rapido accrescimento, per ricostituire il bosco che già negli anni '50 soffriva di deperimento. Negli ultimi vent'anni invece, il parco ha adottato una diversa politica nella gestione forestale e si sono interrotte alcune di queste pratiche come il pascolo, il taglio boschivo, l'utilizzo di alcune aree a prato, anche se l'eccessiva presenza di ungulati, come cervi e daini, incide ancora pesantemente sulla rinnovazione del bosco. Pertanto, seppur lentamente, la foresta della Mandria sta recuperando quegli indici di naturalità che caratterizzavano le foreste vetuste con l'accumulo di legno morto. Proprio nell'anno internazionale delle foreste, il parco della Mandria ha deciso di realizzare, lo scorso 10 giugno, un convegno nazionale dal titolo "Foreste di Pianura: ultimi relitti di un ambiente straordinario", volto a sottolineare l'urgenza di una loro tutela su scala nazionale ed europea. Una giornata decisamente interessante, in cui si sono avvicendati esperti nelle varie discipline naturalistiche, dalla botanica alla zoologia, ricercatori e docenti universitari, con illuminanti interventi volti alla comprensione dell'importanza delle foreste planiziali per l'intero ecosistema e illustrando le varie minacce alla loro sopravvivenza, nonché i problemi di conservazione e gestione delle stesse. Il Direttore del parco, la dottoressa Grella, nel discorso di apertura ha posto l'accento sul ruolo cruciale del parco quale naturale corridoio ecologico tra le Alpi occidentali, la pianura e i rilievi collinari e appenninici piemontesi. Diversi gli zoologi, esperti di fauna delle foreste, dal dottor Caprio del WWW Piemonte che ha illustrato gli effetti della gestione forestale sull'ornitofauna, alla dottoressa Patriarca, ricercatrice della Stazione Teriologica Piemontese, che ha spiegato il ruolo cruciale delle foreste per i pipistrelli: la maggior parte di queste specie infatti, predilige proprio questi ambienti e vi trascorre tutte le fasi del ciclo biologico. Una colonia di venti femmine ad esempio, ha bisogno di almeno cinquanta alberi "rifugio" detti "roost". Il guardiaparco Rastelli del Parco Po cuneese ha rimarcato il ruolo cruciale della legislazione europea e nazionale nel tentativo di conservare gli habitat necessari per la sopravvivenza di numerose specie di insetti saproxilici, ovvero che si nutrono di legno. Risulta così evidente l'esigenza di conservare alberi secolari di grosse dimensioni, sia morti sia in fase di deperimento, necessari ad esempio per la tutela del coleottero Osmoderma eremita, specie prioritaria della Direttiva Habitat, rilevata in due siti del parco su farnie pluricentenarie. Tra gli interventi ecologici quello del professor Bogliani, dell'Università di Pavia, che ha relazionato sulla discussa strategia di rimboschimento dei relitti forestali planiziali. Il prof Spada dell'Università della Sapienza di Roma invece, ha evidenziato il valore eccezionale rappresentato proprio dell'evoluzione naturale della vegetazione alla Mandria, soprattutto nel contesto della pianura padana, oramai priva di vasti ecosistemi naturali non ancora intaccati dall'espansione umana. Numerosi gli interventi di ricercatori e docenti dell'Università di Torino: la professoressa Siniscalco ha paventato il rischio per la biodiversità derivante dall'invasione di specie esotiche invasive, come Lonicera japonica e Spirea japonica, purtroppo presenti anche nel territorio del parco mentre il dott. Miserere, briologo, ha evidenziato come la copertura forestale qui presente ha permesso lo sviluppo e il mantenimento di una notevole biodiversità briofitica, ovvero di muschi, con la presenza di ben 131 specie, tra i quali alcuni nell'elenco della Direttiva Habitat come Ortotricum rogeri, o addirittura a rischio di estinzione in Italia come Dicranum viride. Il prof Vizzini ha poi enfatizzato lo straordinario valore nell'ecosistema forestale dei funghi, che rappresentano la maggior parte della biomassa del suolo. Tra l'altro, proprio nel parco sono state ritrovate specie nuove per la scienza come Macrolepiota velicopia e indicatrici di foreste vetuste e di maggiore naturalità come Phaeolus schweinizii e Grifola frondosa. Affascinante anche la scoperta della complessa trama del micelio dei funghi, che, diramandosi nel sottosuolo, trasporta prodotti della fotosintesi anche a piante molto diverse per Famiglie e persino per Ordine. Quasi un'invisibile "rete internet", che evoca la suggestione di una modalità di comunicazione fra esseri vegetali tipo "network", ancora inimmaginabile e misteriosa. In realtà non c'è troppo da stupirsi, almeno se si pensa che le foreste sono tra le più complesse forme viventi del pianeta. Ecco perché solo un approccio multidisciplinare consentirà di mettere a comun denominatore le conoscenze dei vari specialisti, trovando soluzioni alle sfide di tutela e conservazione che ancora ci attendono al varco del nuovo millennio. E forse, più di tutti, sarà ancora l'amore per tutto ciò che ci circonda a salvarci da noi stessi, quello che uno dei relatori definiva bonariamente "sacerdozio della Natura"; una nuova coscienza, basata sul rispetto di tutte le forme di esistenza e forte della consapevolezza che, anche a questi preziosi habitat, è legata la continuità della nostra specie.

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