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In un guscio di noce

Un viaggio nel tempo e nella geografia alla scoperta della noce, che non è frutto ma seme, portatrice di sostanze benefiche ma anche malefiche, croce e delizia (da sempre) del genere umano.

  • Caterina Gromis di Trana
  • Gennaio 2023
  • Martedì, 14 Febbraio 2023
Foto pixabay Foto pixabay

Nel giardino dei noci io sono sceso  per vedere i germogli della valle...

Cantico dei Cantici 6,II

Largamente coltivato nelle regioni temperate, il noce (Juglans regia) è originario delle vallate montagnose dell'Asia centrale, dove già lo conoscevano le popolazioni neolitiche 7000 anni fa.

Appartiene alla famiglia delle juglandacee, la cui etimologia pare derivi da Jovis e glans, "ghianda di Giove", perché la noce era considerata cibo degli dei.

Il primo riferimento scritto a questa pianta è attribuito alle popolazioni della Caldea in Mesopotamia, l'odierno Iraq. Le iscrizioni su antiche tavolette d'argilla descrivono orgogliosamente le coltivazioni di noce comune nei giardini pensili di Babilonia, intorno al 2000 avanti Cristo. Come tante piante originarie dell'Asia ha viaggiato verso occidente, dalla Cina al Caucaso alla Persia alla Grecia a Roma. Negli scavi archeologici di Pompei e di Ercolano furono trovate numerose noci carbonizzate, insieme a fichi e melagrane. I Romani lo introdussero in Inghilterra e, da lì, le navi mercantili inglesi lo portarono in tutti i porti commerciali.

La mia testa è una nuvola schiumosa,
il mare è nel mio petto.
Io sono un noce nel parco.
(Nazim Hikmet)

Ormai naturalizzato ovunque, il noce è però sensibile tanto al freddo eccessivo che alla siccità: si trova fino a 1000 metri nei boschi, ma vegeta al meglio in nuclei isolati e riparati dal vento vicini ai centri abitati. Anche per questo in Italia è stato introdotto il noce nero americano (Juglans nigra), più robusto e molto longevo, apprezzato per il legno e utilizzato con successo per parchi e viali alberati. Pianta tra le più grandi delle nostre terre, imponente e magnifica, fa un ombra molto fitta e scura che impedisce a ogni erba o arbusto di sopravvivere sul terreno circostante.
Duro, liscio e resistente, il suo legno è impiegato per sculture e incisioni, perfino per il calcio delle armi sportive. E' un legno pregiato, che per secoli è stato usato per costruire mobili eleganti e preziosi.

 

E' un gran noce di grandezza immensa

germogliava d'estate e pur d'inverno

sotto di questa si tenea gran mensa

da streghe, stregoni e diavoli d'inferno

(Storia della famosa noce di Benevento,

poemetto popolare ottocentesco)

 

La convinzione che streghe e demoni prediligessero il noce per i loro sabba era diffusa in tutta Italia. A Roma una leggenda narra che la chiesa di Santa Maria del Popolo fu costruita per ordine di Pasquale II nel luogo in cui precedentemente cresceva un noce, intorno al quale migliaia di diavoli danzavano nella notte. Anche a Bologna si narra di un noce sotto il quale si radunavano le streghe, soprattutto nella notte di San Giovanni. E nelle campagne di Pescia, in Valdinievole, si favoleggia di un albero in cui le streghe andavano a dormire. Quello che divenne l'albero delle streghe per eccellenza fu però il noce di Benevento. La sua storia è molto diffusa: un contadino scopre che sua moglie è una strega e si fa portare al Noce, dove canta e balla contento, poi alla mensa insiste per avere il sale. Quando finalmente glielo portano, contravvenendo alle leggi del Sabba, che vietano di nominare il Signore, dice: "Dio sia lodato". Immediatamente tutto svanisce, si ritrova a Benevento e deve camminare ben due mesi per ritornare a casa, viaggio che con l'unguento della strega aveva richiesto pochi minuti. La leggenda arriva dal fiume Sabatus, l'attuale Sabato, che fiancheggia la città prima di confluire nel Calore. Grazie a quel nome era facile ricollegare il noce sacro, presso il quale si svolgevano riti precristiani, al sabba delle streghe, ottimo pretesto per estirparli e demonizzarli.

Lo stretto legame del noce con il mondo degli inferi, quello che divenne l'"inferno" della cristianità, gli ha conferito anche un simbolismo funesto che è stato tramandato in alcune superstizioni. In campagna ancora oggi si dice che se si dorme sotto un noce si fanno brutti sogni e ci si risveglia facilmente con il mal di testa, se non addirittura con la febbre. O addirittura non ci risveglia più. Un'altra credenza forse è legata alla juglandina, sostanza tossica contenuta nelle foglie e nelle radici che, se penetrano nelle stalle, farebbero deperire il bestiame. Il mallo delle noci, inutile per usi comuni, rimane per terra, disdegnato dagli animali come alimento. Disfacendosi penetra nel terreno e per la sua natura amarissima ne caccia via lombrichi e altri invertebrati che conducono esistenza sotterranea.. Si mettono mallo e foglie di noce negli orti, vicini agli ortaggi, per tenere a distanza talpe, grillotalpe e altri nocivi.

 

Potrei essere rinchiuso in un guscio di noce

e tuttavia ritenermi Re di uno spazio infinito,

se non fosse che faccio brutti sogni.

(William Shakespeare, Amleto)

 

Dal punto di vista botanico la noce non è un frutto, ma il seme di una drupa.

E'uno dei cibi più antichi e sani: 30 grammi di noci contengono il 100% della dose quotidiana consigliata di grassi e antiossidanti Omega 3. Il loro consumo favorisce chi soffre di malattie cardiache, riduce il rischio di tumore alla prostata e al seno, è benefico per il cervello e contrasta il diabete di tipo 2. E'stato scoperto che le noci contengono melatonina, l'ormone che regola il ciclo sonno/veglia negli uomini e negli animali. Le loro doti erano note fin dall'antichità: durante il Medioevo erano ritenute efficaci per combattere l'azione tossica dei veleni; si credeva anche, al contrario, che avessero il difetto di procurare l'abbassamento di voce. Si diceva così: "Una noce dà giovamento; due portano danno, tre guai". C'è dell'esagerazione in questo detto, anche se è vero che, possedendo il 55% di grassi (a volte anche il 65%) possono risultare pesanti alla digestione. La noce è tradizionalmente considerata simbolo di fortuna. I romani facevano piovere noci sugli sposi, usanza rimasta viva anche a Modica, in Sicilia, fino agli inizi del Novecento.

 

Il genio può essere confinato dentro un guscio di noce

e ciononostante abbracciare tutta la pienezza della vita

(Thomas Mann)

 

Alla notte del solstizio d'estate è collegato un liquore tipico della val Padana, il nocino. Secondo la tradizione le donne devono staccare le noci che servono per il liquore nella notte di San Giovanni, quando la drupa è ancora verde, con una falce o una lama di legno, mai di metallo. L'infusione dà un liquore considerato una panacea.

I segreti della ricetta per la preparazione del nocino sono contesi, copiati, personalizzati e tramandati un po' ovunque in Europa. Non a caso il nocino fatto in casa è sempre un mix del tutto personale a gusto e "occhio" di chi lo prepara e che, se viene buono, lo tramanda di generazione in generazione, quasi fosse avvolto da un'aura di sacralità.

Gli ingredienti devono essere di ottima qualità:

15 noci, che vanno raccolte il giorno della festa di San Giovanni, il 24 giugno. Devono essere verdi, nè troppo dure, nè troppo molli.

La scorza di un limone verde biologico, a cui va eliminata la parte bianca

Una stecca di cannella

Tre chiodi di garofano

Mezzo litro di alcool a 95° (meglio ancora, metà parte di alcol e metà di vino moscato rosso)

Mezzo litro di acqua

Mezzo kg di zucchero

Procedimento: Tagliare le noci e i malli, metterli in un barattolo grande di vetro, aggiungere la cannella, il limone, i chiodi di garofano e l'alcol. Agitare tutto e lasciare macerare per 40 giorni avendo cura di agitare il vaso quotidianamente e di spostarlo alla luce durante il giorno. Al termine dei 40 giorni preparare uno sciroppo con acqua e zucchero, lasciarlo raffreddare, filtrare le noci dal liquido, mischiare il tutto e imbottigliare. Non aprire prima del giorno di S. Andrea, il 30 novembre. Se si accorciano i tempi, per la golosità o per la fretta, si compromette il risultato.

La preparazione del nocino sembra una sfida ai giorni nostri governati dalla fretta e dall'impazienza. E se invece fosse un appiglio per riappropriarci del nostro tempo e della concentrazione necessaria a leggere i sottili messaggi che ci arrivano dalle piante? Forse vale la pena sperimentare la ricetta, seguendo le istruzioni dall'inizio alla fine quasi come una terapia. Non vale usare le noci comprate al supermercato.

 

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