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La quercia che era una ghianda... tra Castagnito e Vezza d'Alba

La quercia che era una ghianda, che era una quercia, che era una ghianda... ha colonizzato tutto l'emisfero boreale temperato con numerosissime specie, seguendo le regole biogeografiche che detta la natura. Straordinariamente longeva - da alcuni secoli fino a mille anni – e fattrice di ghiande, spinge verso un pensiero universale che può nascere anche in uno spicchio di Piemonte, tra il Comune di Castagnito e quello di Vezza d'Alba. 

  • Caterina Gromis di Trana
  • Gennaio 2023
  • Giovedì, 26 Gennaio 2023
Foto Pixabay Foto Pixabay

 

Un giorno che facevo ricerche botaniche, trovai sotto una quercia, fra le altre erbe, e della stessa loro grandezza,
una pianta di colore scuro con foglie tutte chiuse e con uno stelo dritto e forte.
Quando la toccai, essa mi disse con voce ferma: "Lasciami stare! Non sono un'erba per la tua collezione,
come quelle altre erbe che la natura ha destinato a vivere per un anno. La mia vita si conta coi secoli:sono una piccola quercia".
Così colui, la cui influenza dovrà continuare per secoli, se ne sta da bimbo, da giovinetto, spesso ancora da uomo,
anzi da essere vivente in genere, simile agli altri in apparenza e come loro insignificante.
Però lasciate che venga il tempo, e col tempo coloro che riconoscono il suo valore. Egli non muore come gli altri.
(Arthur Schopenhauer)


Ha seguito le glaciazioni e il ritiro dei ghiacci, distribuendosi ovunque il clima e il suolo le offrisse un'opportunità. Pianta venerabile, sacra per i Celti, "prima madre" per i Greci, presente nell'Antico Testamento sullo sfondo di presagi e apparizioni, protagonista sul Campidoglio del tempio di Giove, che Romolo edificò accanto a un'antica quercia venerata dai pastori... Sembra esistere da sempre, certamente c'è da molto prima di noi. Il tempo l'ha portata a colonizzare tutto l'emisfero boreale temperato con numerosissime specie, seguendo le regole biogeografiche che detta la natura.

Senza andare lontano, chi resta in patria e non è un botanico merita un encomio quando sa attribuire alla stessa famiglia Quercus robur (la Farnia), Quercus petraea (il Rovere), Quercus ilex (il Leccio), Quercus suber (la Quercia da sughero), Quercus cerris (il Cerro). Sono cugine in primo grado e possono svettare fino a quaranta-cinquanta metri, ma anche avere portamento arbustivo. Hanno in comune la straordinaria longevità - da alcuni secoli fino a mille anni – e il fatto che tutte producono acheni, le ghiande.


Le querce e i pini, e i loro fratelli della foresta, hanno visto sorgere e tramontare così tanti soli,
e visto andare e venire così tante stagioni,
e svanire nel silenzio così tante generazioni,
che possiamo ben chiederci cosa sarebbe per noi "la storia degli alberi",
se questi avessero la lingua per narrarcela,
oppure se le nostre orecchie fossero abbastanza sensibili da comprenderla.
(Maud Van Buren)

Un pensiero universale può nascere in America, in Giappone, o in uno spicchio di Piemonte. Camminando lungo la strada sterrata tra il Comune di Castagnito e quello di Vezza d'Alba, quando si arriva alla località Madonna delle Campagne, la vista si apre su San Servasio di Castellinaldo e sul Torrione di Vezza.
Una farnia (Quercus robur) alta più di trenta metri sul ciglio della strada è tanto ragguardevole da mettere in competizione i due comuni. Ha tanti rami bassi che fanno perdere la percezione della dimensione del tronco quando ha le foglie, ma la sua circonferenza alla base è di più di tre metri.

Gli abitanti di Castagnito la considerano loro perché è più vicina alla frazione San Rocco di Castagnito che a Riassolo di Vezza. Tant'è, l'appartenenza della quercia si discute per uno spazio di soli due metri, che lascia pochi dubbi all'ipotesi di un albero piantato per segnare il confine oltre che la via. Avrà cent'anni? Anche duecento. Forse anche trecento.
Il tronco è almeno il doppio di quello della farnia piantata da Antonio Bodda tra le sue vigne in cima alla collina di Soarme, sul versante che guarda San Giuseppe, dove ancora abita la sua famiglia, per festeggiare la liberazione nell'aprile del 1945. Il giorno in cui fu messa a dimora quella quercia, che oggi si staglia ben visibile da molti luoghi del paese, le campane di San Giuseppe e di Castagnito suonarono a festa tutto il giorno.


Se noi ci tramandiamo leggende su un passato bucolico,

fatto di popolazioni dedite alla pastorizia che vivevano lungo le sponde del Mediterraneo,
quelle stesse popolazioni avevano invece leggende su un passato
in cui i loro antenati si cibavano dei frutti delle querce.

(William Bryant Logan-La quercia, storia sociale di un albero)

Il banchetto non viene allestito tutti gli anni: la maggior parte degli alberi "da noce", querce, faggi o pini, alternano anni di grande generosità di frutti ad altri di magra. Nelle annate buone, i roditori ingrassano in autunno con una dieta ricca di carboidrati e immagazzinano l'eccedenza di ghiande in depositi a cui attingere in un altro momento. Certi scoiattoli, per evitare che le ghiande accumulate possano germinare, ne rosicchiano la punta prima di sotterrarle: così distruggono l'embrione racchiuso nel seme, lasciando intatta la riserva di cibo.
A riprova che l'evoluzione gioca di furbizia, alcuni esemplari di quercia hanno messo a punto una contromisura per fronteggiare il pericolo di perdere l'opportunità di riprodursi: producono ghiande con un embrione posizionato in un modo tale da non poter essere danneggiato dai roditori. Topi e scoiattoli non sono i soli a godere delle annate grasse: ne fanno tesoro cervi, cinghiali, uccelli, in passato anche gli esseri umani che si cibavano di ghiande. In Turchia, negli scavi archeologici di un insediamento umano del Neolitico, sono stati trovati resti di ghiande: vuol dire che, agli albori dell'agricoltura, nella cosiddetta Mezzaluna Fertile (regione storica del Medio Oriente, estesa all'incirca sugli attuali stati di Egitto, Israele, Palestina, Giordania, Libano, Siria,Turchia, Iraq, Kuwait, Iran e Arabia Saudita, definita come la "culla della civiltà" per la sua straordinaria importanza nella storia umana dal Neolitico all'età del bronzo e del ferro), le ghiande erano una componente importante della dieta, forse addirittura l'alimento primario, prima che l'uomo imparasse a coltivare l'orzo e il frumento.

Sono nutrienti, facili da raccogliere e da conservare. L'unica difficoltà nel renderle commestibili è la lisciviatura, necessaria per farle diventare appetibili. Contengono un'alta percentuale di tannini, prodotti dalle piante come difesa contro i parassiti, che vanno rimossi per renderle gustose come noci. Tutte le culture in cui è stato ipotizzato il consumo di ghiande possedevano la tecnologia necessaria a trasformarle in nutrienti benefici.


In un modo relativamente semplice, le popolazioni delle balanicolture erano in grado

di ottenere il loro pane quotidiano,
seguendo alla lettera le prescrizioni del Dio del Genesi,
ovvero cibandosi dei frutti degli alberi.
(William Bryant Logan)

Una ricetta da sperimentare è la farina di ghiande. Ecco il procedimento. Rmuovere quanto più possibile la membrana di rivestimento scura, particolarmente ricca di tannini. Schiacciare le ghiande in piccoli pezzi o macinarle in una farina grossolana. Immergere in acqua e sciacquare più volte le ghiande tritate, finché l'acqua non diventa limpida e il sapore amaro svanisce.
Far riposare e scolare, ripetendo il processo più e più volte senza lasciar ristagnare le ghiande in acqua: la lisciviatura può richiedere da un giorno a una settimana di tempo, dopo di che la farina di ghiande è pronta per essere utilizzata come prodotto da forno.


Non tagliamo i vecchi alberi anche se ci sembrano inutili!

Un castagno o una quercia "morti", se molto vecchi,
possono resistere per più di cent'anni
al loro posto: se amati, rispettati e usati dai picchi,
dalle upupe e da altri più piccoli uccelli,
giustificano in modo apprezzabile e generoso la loro romantica presenza.
(Paolo Pejrone)

Se anche da morte sono tanto preziose, figurarsi da vive. Nei secoli hanno fornito legno di eccezionale robustezza e resistenza per le impalcature portanti delle abitazioni. Celeberrime sono le navi vichinghe, costruite con il legno di querce del nord, senza togliere importanza alla flotta della Repubblica di Pisa, costruita con le farnie fornite dai boschi dell'entroterra toscano.
Dai mobili pregiati ai pavimenti, dalle doghe delle botti alle traversine delle ferrovie, un'infinità di manufatti testimonia il procedere della nostra storia in parallelo con la loro.

I tannini che si estraggono dalle cortecce servono in conceria per ammorbidire le pelli e impedirne la putrefazione, usati in farmacopea hanno proprietà astringenti, che nell'antichità sono state validi rimedi contro le emorragie dell'apparato digerente e gli avvelenamenti da vegetali.
Anche le galle delle querce, escrescenze che le piante producono come difesa da insetti parassiti, hanno i loro estimatori: da loro anticamente si estraeva un inchiostro da pergamena, oltre che una polvere cicatrizzante.

Se i parassiti attaccano le foglie, come la famigerata Tortix viridana, testimoniata dall'intramontabile lavoro sul campo dell' entomologo che raccoglie le larve con l'ombrello per determinarle, il danno si rimedia più in fretta. Il parassita esaurisce la sua attività in un solo ciclo vitale, dopo di che le querce dall'aspetto spelacchiato in primavera, possono ricominciare e vegetare in pace, recuperando in fretta il tempo perduto e una forma smagliante.

Per non trascurare nulla e dimostrare che ogni molecola di questi alberi cosmogonici ha una sua ragione d'essere per l'uomo, l'antica arte profumiera estraeva dal muschio di quercia un'essenza al buon odore di bosco, usata come nota di fondo per molti alambicchi e capace di trasmettere una sensazione profonda e rassicurante, come solo il più antico dei nostri sensi, l'olfatto, sa fare, scavando nel nostro atavico inconscio.

 

 

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