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Dimmi che pianta studi e ti dirò che scienziato sei!

Tephroseris balbisiana è una specie endemica rara delle Alpi sud-occidentali, poco studiata e raccontata. I fiori gialli di questa pianta schiva ci insegnano che anche nel campo della botanica l'apparenza ha la sua importanza.

  • Francesco Garello e Martino Adamo
  • Febbraio 2022
  • Mercoledì, 16 Febbraio 2022
Tephroseris longifolia, Paneveggio - Foto M. Adamo Tephroseris longifolia, Paneveggio - Foto M. Adamo

Camminando nei valloni tra le Alpi Liguri e Cozie può capitare di trovarsi circondati da piante dai petali gialli simili a grandi margherite. Dai piccoli capolini di Artemisia umbelliformis, ai grandi fiori dell'Arnica montana, fino al metro e mezzo dei fusti di Doronicum austriacum, sono tutte specie "cugine", appartenenti alla grande famiglia delle Asteraceae. Tra le più ampie e diffuse di tutto il regno vegetale, questa famiglia raccoglie circa ventimila specie che vanno dagli alberi agli arbusti alle più svariate piante erbacee, incluse le comuni margherite. Alcune di queste specie sono commestibili, ad esempio la lattuga, altre trovano grande utilizzo nella medicina come l'arnica, altre ancora sono infestanti e alcune... sembrano semplicemente non avere meriti particolari, almeno ai nostri occhi. In natura, infatti, ogni elemento ha una sua funzione, un ruolo che si è ricavato o che gli è stato cucito addosso da millenni di co-evoluzione, per questo è più corretto dire che alcune specie della famiglia delle Asteraceae sono poco interessanti soltanto ai nostri occhi di esseri umani, che raramente le studiamo o le notiamo.

Una specie poco attraente

E' il caso di Tephroseris balbisiana, un "fiorellone" giallo che può arrivare al metro e venti di altezza e si nasconde in rare e particolari aree umide d'alta quota. Si tratta di una specie poco nota perché apparentemente priva di attrattive, ma forse proprio per questo potrebbe rivelarsi utile per capire qualcosa del mondo della biologia e anche della psicologia umana.

Nonostante T. balbisiana sia una specie endemica delle Alpi sud-occidentali è decisamente rara nel settore alpino italiano, tanto che sono note e accertate solo una decina di stazioni.

Secondo un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi dell'Università degli Studi di Torino i fiori gialli di questa pianta schiva potrebbero essere utili per spiegare il concetto di corredo genetico e la sua importanza per le sfide climatiche del futuro. Attraverso lo studio dell'ecologia, la distribuzione e la filogeografia di Tephroseris balbisiana, gli studiosi hanno cercato di capire lo stato di salute di questa specie indagando la diversità genetica e i rischi per la conservazione. Lo studio ha mostrato come le popolazioni italiane, piccole e lontane tra loro, sono geneticamente isolate e questo le rende vulnerabili e a rischio di estinzione se non si interviene per preservare l'habitat in cui sopravvivono.

Se questo è il principale risultato della ricerca ad alcuni componenti del gruppo non è sfuggito un altro particolare che, più che fornirci indicazioni sulla biologia della pianta, suggerisce alcune conclusioni sulla psicologia dei ricercatori e dell'uomo in generale.

Per comprendere appieno i risultati delle analisi genetiche, infatti, è necessario considerare tutti gli aspetti della biologia, dell'evoluzione e della storia di una specie, ma le informazioni a disposizione nel caso di Tephroseris balbisiana sono estremamente scarse e spesso risalenti al XIX secolo: un mondo che ormai ha poco in comune con la nostra realtà di cambiamento climatico ed economia post-industriale. Si può dire che questa pianta, per quanto endemica e rara non abbia richiamato l'attenzione degli studiosi e men che meno del pubblico cosa che invece hanno saputo fare alcune altre specie come ad esempio Saxifraga florulenta o Berardia lanuginosa, di cui ci siamo già occupati proprio su questo sito.

Come mai? Cosa rende alcune piante più attraenti di altre agli occhi di botanici, naturalisti e biologi? Perché per alcune specie selvatiche si fanno numerose ricerche e si scrivono articoli su articoli, mentre altre non ricevono le stesse attenzioni? È solo questione di valore scientifico?

La fiera delle vanità

Se lo sono chiesti due degli autori dell'articolo su T. balbisiana che sono partiti dall'assunto che l'interesse del mondo della ricerca per un determinato argomento può essere quantificato attraverso il numero di articoli scientifici pubblicati a riguardo. Da qui si può poi procedere per capire quali sono le caratteristiche che rendono più interessante agli occhi degli scienziati una pianta piuttosto che un'altra.

I risultati sono stati sorprendenti e sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista internazionale Nature Plants. Dall'analisi delle pubblicazioni scientifiche in botanica è infatti emerso che le piante più alte e con fiori di colori sgargianti come blu e viola sono significativamente più studiate delle altre. Inoltre non sono state trovate correlazioni tra il numero di pubblicazioni e la rarità o il rischio di estinzione delle specie. In altre parole: le piante più belle e appariscenti sono le più studiate anche quando hanno un minor interesse scientifico! Secondo gli autori la ricerca scientifica si è concentrata su specie gradevoli alla vista, generando una distorsione (o bias) nello studio della biodiversità vegetale a favore di alcune specie e a discapito di altre.

Uno dei principali rischi di tale atteggiamento è di perdere di vista alcune componenti della biodiversità che seppur poco attraenti, potrebbero nascondere segreti importanti per capire il funzionamento della natura. Per quanto ignota ogni parte di un ecosistema è importante per il suo funzionamento, per questo è fondamentale lavorare per la conservazione della biodiversità tutta e non solo della singola specie. In questo contesto la ricerca dei bias nella scienza è importante per rilevare delle criticità e prendere le giuste misure di correzione.

Umano, troppo umano

La storia di Tephroseris balbisiana è un esempio dei filtri che anche l'uomo di scienza applica nell'indagare la natura. A ben vedere anche in questo ambito i criteri con cui si sceglie che cosa studiare e che cosa non possono essere sorprendentemente simili a quelli con i quali si sceglie cosa indossare o cosa comprare.

L'idea dello scienziato disinteressato e completamente distaccato dalle influenze mondane potrebbe non essere poi così vera. La ricerca ci mostra come in fondo anche le scelte dei ricercatori possano essere dettate, sebbene a loro insaputa, da criteri estetici. Ciò evidenzia come l'uomo sia mosso da motivazioni e criteri che vanno al di là del suo controllo e che influenzano le sue scelte anche quando queste sembrano essere frutto di un'analisi prettamente razionale. Parafrasando le parole del grande filosofo tedesco Nietzsche si può concludere che anche la scienza è umana, troppo umana!

Tutte le fotografie di questo articolo sono di M. Adamo

 

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