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Elogio dell'ortica

Poche erbe sono vittime dei luoghi comuni quanto l'ortica. Da sempre fioccano proverbi e modi di dire su di lei, Urtica dioica, che la presentano sotto una luce negativa, quando non addirittura sinistra.

  • Caterina Gromis di Trana
  • Novembre 2021
  • Giovedì, 16 Dicembre 2021
Foto Pixabay Foto Pixabay

Un giorno, stava guardando alcuni contadini del luogo, occupatissimi a strappare ortiche. Diede un'occhiata a quel mucchio di piante sradicate e già secche e disse: «È morta: eppure, sarebbe una buona cosa che si sapesse servirsene. Quando l'ortica è giovane, la foglia è un ortaggio eccellente; quando invecchia, ha fili e fibre come la canapa e il lino, e la tela d'ortica vale quella di canapa. Tritata, l'ortica è buona per le galline e, triturata, per il bestiame; il grano dell'ortica, misto al foraggio, dà lucentezza al pelo degli animali, mentre la radice mescolata col sale, dà un bel colore giallo. Del resto, è un fieno eccellente, che può essere falciato due volte. E che cosa occorre all'ortica? Poca terra, nessuna cura e nessuna coltivazione; solo, il grano cade a mano a mano ch'essa matura ed è difficile da raccogliere. Ecco quanto, con lieve briga, l'ortica sarebbe utile, mentre, se la si trascura, diventa nociva, ed allora la si uccide. Quanti uomini somigliano all'ortica!» E soggiunse, dopo una pausa: «Tenete presente, amici miei, che non vi sono né cattive erbe né cattivi uomini: vi sono soltanto cattivi coltivatori.  (Victor Hugo, I miserabili)

Di una persona beffarda e mordace si dice: "Punge come un'ortica". Colpa dei peli ghiandolari urticanti, di cui sono ricoperte foglie e piccioli, composti da una cellula rigonfia alla base che forma una sorta di fiaschetto a collo lungo, e impregnati di una sostanza contenente acido formico. Per lo stesso motivo certe meduse dell'ordine degli Scifozoi sono chiamate, non per complimento, "ortiche di mare".

Che cosa c'è di più evocativo, per definire la desolazione dei terreni incolti, che dire: "Sono abbandonati alle ortiche"? E' come sussurrare per gli spretati: "Hanno gettato alle ortiche la tonaca".

Anche Dante la nominò nel Purgatorio (XXXI,85-87), per figurare l'aculeo del pentimento: "Di pentèr sì mi punse ivi l'ortica, /che di tutte altre cose qual mi torse/più nel suo amor, più mi si fè nemica".
E se non bastasse, anche per la religione fu simbolo sinistro, quando S. Antonio da Padova interpretò allegoricamente il versetto di Osea: "L'ortica erediterà il loro amato argento e nelle loro tende cresceranno le lappole". L'ortica che brucia raffigura il fuoco dell'inferno, la lappola che si attacca indica l'accanimento della pena che tormenterà le anime degli empi.

 

"Se nella repubblica delle piante ci fosse il suffragio universale, le ortiche esilierebbero rose e gigli".
(J. L. Arréat)

E' buona pratrica in primavera liberare i fiori coltivati nei giardini dalle malerbe che, incontenibili, avrebbero la meglio su di loro lasciati a se stessi, ma non è scontato l'accorgimento di munirsi di guanti e strappare le ortiche per conservarle, con doppia intenzione: preparare una minestra di primavera con le foglie più tenere tritate e bollite, e poi un macerato efficacissimo come insetticida naturale nell'orto. Grande soddisfazione riempire di ortiche la carriola, rende l'idea della mitica formula "nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma". E che orgoglio trasportare la consapevolezza di aver raccolto una pianta dalle molte proprietà: contiene proteine, zolfo, calcio, ferro e potassio, ha azione diuretica ed emostatica, le sue radici, bollite nel latte per mezz'ora, sono rimedio contro i calcoli biliari, i cataplasmi di foglie pestate curano le ferite... Del decotto contro tosse e raffreddori parlava già Catullo (XLVI): "Finché nel seno tuo fuggito/ riposo e decotti di ortica/mi hanno guarito".
Sotto forma di lozionedi radici tritate in acqua e aceto, è capace di arrestare la caduta dei capelli e di eliminare la forfora. Usata nella cucina povera dei contadini di un tempo per insaporire frittate e minestroni, oggi è tornata alla ribalta nelle ricette più raffinate che cercano sapori antichi e ingredienti naturali. Mentre in Marermma serve a condire uno squisito risotto, a casa mia si serve anche da sola, tiepida, verdissima, lessata e condita con olio, limone e sale.

Nel suo Florario, Alfredo Cattabiani racconta che gli Ostiachi, una popolazione della Siberia occidentale, lasciano crescere le ortiche intorno alle loro abitazioni per ricavarne fibre tessili che forniscono una speciale tela verde, praticamente indistruttibile. Mi fa venire in mente la fiaba di Andersen dei Cigni Selvatici, dove la bella Elisa rompe l'incantesimo dei suoi undici fratellini trasformati in cigni, tessendo per loro undici tuniche con le ortiche che ha raccolto nottetempo al cimitero. Riesce a salvarli inextremis, gettando loro le tuniche dal carro che la sta portando al rogo, accusata di essere una strega senza potersi difendere, perché ha giurato il silenzio. Lieto fine: i cigni tornano principi ed Elisa viene chiesta in sposa dal re che l'aveva condannata. Unico neo nel mio ricordo illustrato: nella fretta estrema, all'ultima tunica di ortica manca una manica, e uno dei principini resta per sempre con un'ala di cigno al posto di un braccio...

 

Arriva di nuovo Natale, la gente è più falsa di prima, s'insegna ai bambini a mentire, si aiuta l'ortica a salire.
(Mina)

Botanicamente parlando... l'ortica è una pianta erbacea perenne, decidua, alta tra i 30 e i 250 centimetri, con fusto eretto, peloso, striato e scanalato a sezione quadrangolare con un diametro tra i 3 e i 5 millimetri.
Si diffonde grazie al rizoma strisciante, cavo e molto ramificato, che le permette di allargarsi e colonizzare ampie superfici. Le foglie grandi, ovate e opposte, lanceolate, seghettate e acuminate, sono verde scuro sul lato superiore, più chiare e pelose nel lato inferiore. La lamina è lunga fino a due volte il picciolo.

I fiori femminili e quelli maschili sono portati da piante distinte. Quelli femminili sono raccolti in lunghe spighe pendenti, mentre i maschili sono riuniti in spighe erette. Entrambi hanno quattro tepali che racchiudono i quattro stami nei fiori maschili, o l'ovario nei fiori femminili, dai quali si sviluppa un achenio ovale, di pochi millimetri, con un ciuffo di peli all'apice, che contiene i semi.

 

Virtù! Sciocchezze! Sta in potere nostro esser così o cosà! Il nostro corpo è il nostro bel giardino, e la volontà nostra il giardiniere: piantare ortiche o seminar lattuga, metter l'issopo ed estirpare il timo, guarnirlo d'erbe d'una sola specie o variegarlo con specie diverse, mantenerlo infruttuoso per pigrizia o concimarlo per farlo fruttare, la facoltà di fare tutto questo e d'agire nell'uno o l'altro modo sta tutta nella nostra volontà.
(William Shakespeare, Otello)

La più gran virtù delle ortiche è che non c'è bisogno di piantarle, né di metterle al riparo dai rigori dell'inverno, e neppurte di innaffiarle nell'arida calura dell'estate: crescono dappertutto senza necessità di cure, di concimi, di tutori: se non fossero considerate le erbacce per antonomasia, sarebbero la più gran soddisfazione di ogni giardiniere. Il loro fascino sta forse proprio in quella prepotente personalità di erbe selvatiche, capaci di nascondere segreti di benessere che si svelano solo a chi non si ferma davanti all'apparenza e va un po' più in là, fino ad arrivare al ripieno dei ravioli. Mescolare alla ricotta le ortiche anziché gli spinaci è una scoperta per il palato che riconcilia con il mondo.

 

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