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Musica per le piante e chi le ama

Le piante sentono la musica? Rispondono ai modi in cui sono nutrite? Hanno percezioni sensoriali? O ancora, hanno un cervello? E comunicano tra loro? A queste e altre domande proviamo a dare una risposta.

  • Laura Succi
  • Settembre 2019
  • Martedì, 13 Agosto 2019
Musica per le piante e chi le ama

 

'Musica per le piante e per chi le ama è il sottotitolo di Mother Earth's Plantasia, album musicale di Mort Garson. Una raccolta di brani per aiutarle a crescere sane e forti, si promette in copertina, con tanto di piccolo manuale del perfetto giardiniere, scritto da due botanici e illustrato sontuosamente da Marvin Rubin. In altre parole, musica per violette, pothos e begonie in salsa elettronica in perfetto stile Anni '70.

Secondo quanto pubblicato dal Global Times, giornale diffuso in Cina, i contadini di un villaggio nella provincia di Fujian hanno dichiarato che la musica buddista suonata nei campi aiuta le piante ad aumentare la produzione di riso. Nei dintorni di Liáng Shān, il "gradevole villaggio sulla montagna", la produzione è salita infatti del 15% dopo che i residenti hanno installato 500 diffusori a forma di loto nelle risaie per sommergere i raccolti con un'ondata di mantra rilassanti.
Pur non essendoci consenso scientifico sull'effetto della musica sulle piante, i ricercatori della China Agricultural University di Pechino hanno sostenuto l'esperimento, affermando che alcune onde sonore, come quelle presenti nei canti ritmici come i mantra, possono stimolare i pori sulle foglie ad assorbire più luce solare.

A tale proposito, anche George Millstain, presidente della New York Horticultural Society e dentista pazzo per le bromeliacee, credeva che tutte le piante avessero bisogno di acqua, luce, nutrienti e di una colonna sonora swinging-Sixties, per crescere. E infatti, ogni canzone dell'album del 1970 Music to Grow Plants – di cui è autore - inizia con un fischio acuto che secondo le note di copertina agisce sui modelli di crescita delle piante incorporando note non udibili dall'orecchio umano.

Lo spettacolo del mondo vegetale

Per quasi tutto il Novecento ci furono degli scienziati 'puri' che si cimentarono con lo spettacolo del mondo vegetale e produssero studi, musica e immagini. I botanici Thomkins e Bird realizzarono nel 1973 il documentario La vita segreta delle piante indagando sulla coscienza dei vegetali e Doroty Retallack, pianista e botanica, scrisse The sound of music and plants, sostenendo che sentendo il sithar di Ravi Shankar, le piante erano così contente da arrivare quasi ad avvolgere le casse acustiche.

Jagadish Chandra Bose - fisico e botanico indiano nato nel 1858 in Bengala – fu un pioniere della radio dove produsse una serie di esperimenti sulla propagazione delle onde elettromagnetiche e, agli inizi del Novecento, indirizzò i suoi interessi verso la fisiologia vegetale, producendo studi sulla crescita delle piante e le loro reazioni in presenza di campi elettromagnetici. Per valutare esattamente il loro tasso di crescita creò uno strumento chiamato Crescograph, capace di ampliare fino a 10mila volte le variazioni di sviluppo riscontrate.

Nel libro Work Songs Duke, University Press, Ted Gioia racconta che: "Nel 1962, il dott. T. C. Singh, capo del dipartimento di botanica dell'Università indiana di Annamalai a Chidambaram in Tamil Nadu, sperimentò l'effetto dei suoni musicali sul tasso di crescita delle piante e scoprì che alcune balsaminaceae crescevano a un ritmo che aumentava del 20% in altezza e del 72% in biomassa, quando esposte alla musica. Inizialmente le sottopose a dosi di musica classica, poi passò alla musica raga suonata con flauto, violino, harmonium e veena (uno strumento tradizionale dell'India del sud)". Soddisfatto delle sue ricerche, sperimentò gli effetti delle vibrazioni causate dalla danza a piedi nudi dei ballerini di Bharatanatyam, lo stile di danza più antico dell'India, sulle petunie e la calendula che fiorirono due settimane prima del normale.

Le basi scientifiche

Agli inizi del Novecento gli strumenti e le tecniche a disposizione degli scienziati non sempre erano sufficientemente efficienti, e spesso le conclusioni erano troppo entusiastiche provocando spinte innovative, anche in campo musicale, che non avevano basi scientifiche. In seguito, una buona parte del mondo scientifico si oppose a quelle ricerche fin troppo fantasiose ed è per questo motivo che, per molti anni, gli studi sulla sensibilità delle piante hanno subito una battuta arresto. Di contro "è veramente notevole quello che è stato studiato negli ultimi vent'anni", afferma Consolata Siniscalco, vicedirettrice del dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi dell'Università di Torino e presidente della Società Botanica Italiana. "Le piante hanno sicuramente delle reazioni a eventi che possono essere meteorici, periodi di aridità o di presenza di acqua, rumori, scariche elettriche... Noi tutti sappiamo che molte piante producono volatili di vario tipo, che noi esseri umani in alcuni casi percepiamo come profumi, ma questi volatili possono anche servire alle piante per comunicare tra loro. A fronte di un massiccio attacco, ad esempio, da parte di larve di lepidotteri che si nutrono di foglie, sembra che la pianta mangiata emetta sostanze specifiche per allertare le sue consimili; pare, invece, che non li emetta se viene danneggiata artificialmente in parte, magari per strappi subiti a pochi pezzetti di foglia. Oggi sappiamo che le piante hanno un DNA molto ampio e che certi geni vengono attivati o no a seconda delle condizioni ambientali. Questo accade anche quando si verificano stimoli positivi, quando un certo fungo che poi vivrà in simbiosi con la pianta, penetrando nel suolo in prossimità della radice: è a questo punto che questa si prepara ad accoglierlo, ancora prima di entrare in contatto fisico con le sue ife. Tutti questi studi sono svolti nel dipartimento del professore Massimo Maffei", spiega la Siniscalco.

"Le piante hanno una capacità di reazione straordinaria, immediata e molto forte. Non sono assolutamente da meno degli esseri animali, anzi, sono ancora più raffinate. Non hanno gambe per spostarsi, quindi devono reagire per sopravvivere. Rispondono perfino alle differenze di campo magnetico, tant'è che ci sono moltissimi studi che riguardano il settore spaziale, per capire come crescerebbero le piante in assenza di campo magnetico. Sono ricerche che vengono fatte anche a Torino da alcune società come l'Alenia ed è sempre più urgente capire se è possibile portare nello spazio serre di pomodori o di altri vegetali che, consumati freschi, sono certamente più vantaggiosi delle pillole di vitamine", conclude la studiosa. 

Belle e intelligenti

Donato Chiatante, professore dell'Università dell'Insubria, chiama le piante belle e intelligenti. Indubbiamente belle, trasmettono serenità a chi le guarda, tutta questa bellezza è al servizio dell'evoluzione: profumo e forme selezionate dalla natura attirano gli insetti che hanno lo scopo di perpetuare la specie attraverso l'impollinazione. Intelligenti, sono esseri viventi che hanno una capacità adattativa ai cambiamenti temporanei delle condizioni ambientali. Come gli umani che, quando fa freddo si mettono un golf, le piante hanno la capacità di adattarsi immediatamente a uno stimolo esterno che può essere, appunto, di luce, di azoto, di acqua o di carenza di acqua.

Sono intelligenti, ma se ci si chiede se hanno un cervello la risposta è no. "Non ci sono assoni, né neuroni. Non si deprimono. Non hanno problemi di autorealizzazione. Ma quello che hanno le piante è qualcosa di molto simile a ciò che possediamo noi: l'abilità di comunicare usando l'elettricità. Usano solo degli ioni diversi rispetto a noi, ma fanno la stessa cosa. Il nostro sistema nervoso si è evoluto perché è elettrico", spiega su TED Greg Gage, neuroscienziato cofondatore di Backyard Brains, società che ha lo scopo di rendere accessibile la strumentazione universitaria per la ricerca neuroscientifica alle scuole medie e superiori. "Sono veloci a rispondere agli stimoli esterni e si muovono se ne hanno bisogno", conclude l'esperto.

La pianta che sa contare

Nel 1760, Arthur Dobbs, Governatore della Carolina del Nord trovò nello stagno dietro casa sua una pianta che si chiudeva all'improvviso, ogni volta che un insetto ci cadeva dentro. La chiamò acchiappamosche. Nel giro di un decennio, la pianta arrivò in Europa, dove il grande Charles Darwin la studiò e ne rimase stupefatto. La cosa più fantastica era che questa pianta sapeva contare.
"Dentro la sua foglia ci sono tre piccoli peli sensibili ma quando una mosca vi si posa, la Venere acchiappamosche non si chiude. Perché? Per alcuni motivi: ci vogliono dalle 24 alle 48 ore prima che la trappola si riapra se non c'è alcuna mosca all'interno, perché questa funzione richiede molta energia e non ha bisogno di mangiare tante mosche durante l'anno ricava gran parte dell'energia dal sole. La pianta apre e chiude poche volte la trappola fino a quando la trappola muore. Perciò deve essere assolutamente 'certa' che ci sia un pasto all'interno, prima di azionarla". E come fa? Spiega ancora Greg Gage: "Conta il numero di secondi tra i tocchi successivi dei peli sensibili. L'idea quindi è che ci sia una alta probabilità che i peli vengano strofinati se c'è una mosca all'interno e, quindi, quando riceve il primo potenziale d'azione, la pianta inizia a contare: uno, due, tre... Se arriva a venti e non ci sono altri potenziali d'azione, allora non si chiude. Se invece ce n'è uno entro quella cifra, l'acchiappamosche si chiude".

Una grande varietà di stimoli elettrici, sonori, elettromagnetici arriva in modalità differenti alle "orecchie" delle piante che reagiscono a modo loro, mentre le interpretazioni umane di questi fenomeni sono ancora tutte da scoprire.

PS
Roger Roger nel 1978 ammaliava le piante con Secrets de la musique pour enchanter les plantes, chissà se ci è riuscito veramente o se ci piace pensarlo.

 

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