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Attento… che ti mangio!

L'intreccio che unisce la pianta alla sua preda è un affascinante, benché crudele, esempio di competizione tra doti di mimetismo, velocità e grandi astuzie. Tutti fenomeni che è possibile osservare a ogni livello dell'ecosistema: dalle grandi savane africane al giardino di casa

  • Alma Pesce
  • gennaio 2010
  • Venerdì, 29 Gennaio 2010

La quotidiana lotta per la sopravvivenza è evidente nel regno animale: il camaleonte che si mimetizza per catturare l'insetto; il gatto appostato in attesa del topo; il leone che insegue la gazzella. Inaspettatamente, anche il regno vegetale annovera alcuni "feroci predatori": le cosiddette piante insettivore.
Talora definite carnivore per la tendenza di alcune specie a catturare piccoli mammiferi e invertebrati, le piante insettivore sono vegetali che nel corso dell'evoluzione hanno modificato le proprie strutture fogliari in modo da formare delle trappole capaci di catturare e digerire organismi viventi. La vocazione al "carnivorismo" è frutto di un adattamento ad ambienti di vita difficili, come paludi, torbiere, rocce affioranti accomunati da suoli poveri di sostanze nutrienti, in particolar modo d'azoto, che la pianta carnivora ricava dalle sue prede.
Le piante insettivore a livello mondiale contano circa 600 specie suddivise in 15 generi e sono presenti in tutti i continenti, eccetto l'Antartide. La maggior parte si concentra nelle aree tropicali e ha, in genere, dimensioni più elevate rispetto alle specie dei climi temperati e boreali. Tra queste, le famiglie delle Nepenthaceae e Serraceniaceae sono spesso ospitate in giardini botanici e coltivate dagli appassionati per la loro bellezza. Le trappole di queste specie sono costituite da una sorta di sacco, talvolta dotato di coperchio, che per colorazione e odore attira gli insetti al proprio interno. Una volta intrappolato, l'animale viene digerito grazie agli enzimi prodotti dalla stessa pianta e infine assimilato. Altrettanto nota e coltivata è la Dionaea muscipula, della famiglia delle Droseraceae, detta "acchiappamosche" per via dell'aspetto delle sue trappole simili a bocche dentate. Le "bocche" restano aperte in attesa degli insetti, che attratti dai colori vivaci, vi si posano sopra, stimolando così i peli recettori della trappola.
Nella flora italiana, le piante carnivore sono rappresentate da quattro generi: Drosera, la più cosmopolita a livello mondiale e presente in Italia con tre specie (Drosera rotundifolia, D. anglica e D. intermedia). Spontanee nell'Italia settentrionale, si spingono a sud fino alla Toscana. Queste carnivore hanno habitat caratteristico in torbiere, paludi oligotrofiche e sfagni, ovvero in suoli saturi d'acqua, tendenzialmente acidi e poveri di sostanze nutritive biodisponibili. Le trappole del genere Drosera sono costituite da modificazioni delle ghiandole che ricoprono le foglie basali. Le ghiandole in questione assumono forma di piccoli tentacoli lunghi pochi millimetri sulla cima: gli insetti posandosi sui tentacoli rimangono invischiati dalla sostanza collosa di cui sono ricoperti inducendo un meccanismo riflesso che fa scattare il tentacolo richiudendolo verso la foglia.
La Pinguicula, detta anche "erba unta" per l'aspetto bagnato delle foglie, è rappresentata nella penisola italiana da 6 specie. Tra queste, la Pinguicula alpina, la P. vulgaris e la P. leptoceras, sono diffuse sulle Alpi e nell'Appennino settentrionale a quote comprese tra i 400-500 m, fino a 2500 m. La Pinguicula corsica è presente, invece, nell'omonima isola e la P. reichembachiana è diffusa sulle Apuane e nell'Appennino Abruzzese; infine la Pinguicula hirtiflora vive in Calabria e Campania a quote comprese tra i 100 e i 1300 m.
Le Pinguicule delle Alpi si trovano in paludi, prati umidi, pascoli alpini, sfagni, dove risultano facilmente individuabili per il colore verde brillante delle foglie di forma lanceolata e riunite in rosetta basale. L'Aldrovanda, della famiglia delle Droseraceae, prende il nome dal naturalista Ulisse Aldrovandi a cui il Botanico Giuseppe Monti, nel 1747, dedicò l'Aldrovanda vesiculosa unica specie spontanea in Italia. Questa carnivora, che vive sommersa o natante in acque dolci paludose, non presenta vere radici e si sviluppa in filamenti che possono raggiungere i 20-25 cm di lunghezza su cui si dispongono le trappole. Le foglie modificate che costituiscono le trappole consistono in 2 lobi che insieme formano una trappola a scatto, simile alla Dionaea muscipula.
L'Aldrovanda ha il suo habitat naturale in acque stagnanti e torbiere a quote comprese tra 0 e 600 m s.l.m.; in Piemonte è segnalata sul Lago di Candia e Viverone.
L'Utricularia, della famiglia delle Lentibulalriaceae, è la seconda delle piante carnivore acquatiche spontanee d'Italia. Il nome deriva dal latino utriculus (fiasco o otre) derivato dalla forma delle sue trappole. L'Utricularia ha un caratteristico aspetto dato da una serie di stoloni, lunghi e sottili, natanti appena sotto la superficie dell'acqua, cui sono attaccate piccole foglie e trappole che diventano una piccola "bocca" d'ingresso dell'utricolo. Quando la preda tocca i peli che ricoprono la bocca della trappola, questa si apre e risucchia al suo interno la preda e l'acqua che la circonda. Una volta che la trappola è piena d'acqua la "porta" si richiude, la preda è in trappola e l'acqua risucchiata viene eliminta. In Italia si contano 5 specie del genere Utricularia. La più comune è la Utricularia vulgaris, rappresentata, in quasi tutte le regioni, in paludi e stagni mesotrofi da 0 a 1000 m. s.l.m.. Presente in molte regioni italiane è anche la U. minor , a quote variabili da 0 a 1800 m s.l.m mentre l'U. intermedia e la U. ochroleuca sono presenti solo nell'Italia nord orientale. Infine l'Utricularia australis che si differenzia dalle precedenti per l'habitat prediletto: vive in acque ricche di sostanze nutritive e sopporta bene l'inquinamento e per questa ragione è diffusa nelle risaie.
Le piante carnivore, un tempo ampiamente diffuse sul nostro territorio, sono oggi considerate specie rare. Così come accade per le specie carnivore tropicali, anche le nostrane risultano minacciate dall'urbanizzazione, dal disboscamento, dall'agricoltura e dall'allevamento. E proprio per l'elevata sensibilità che dimostrano agli agenti inquinanti e all'eutrofizzazione delle acque, devono essere considerate valide indicatrici della qualità ambientale, oltre a elementi importanti per la biodiversità, e per questo protette e valorizzate.

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